Il fatto. Il 23 giugno a Parigi scendono in piazza per l’ennesima volta (è stato un continuo da quando è iniziata la mobilitazione contro la loi Travail) 60 mila lavoratori. Pochi rispetto ai 200 mila del 14 giugno, in verità tantissimi. Perché solo due giorni prima il governo e il Presidente avevano vietato le manifestazioni nella capitale e minacciato l’uso della forza (non è chiaro cosa intendessero, visto che sono mesi che schierano polizia e blindati a provocare, picchiare, arrestare, ferire gravemente, umiliare e terrorizzare studenti, lavoratori, operai e masse popolari che scendono in piazza….). Ma la CGT, il secondo sindacato francese per numero di iscritti (711 mila – fonte CGT, congresso 2006 – un numero irrisorio rispetto alla CGIL che 724 mila iscritti li ha persi solo fra il 2014 e il 2015 – fonte Repubblica.it ) ha seriamente e serenamente annunciato che non avrebbe rispettato i divieti e avrebbe manifestato nelle strade di Parigi. Le autorità di uno dei principali paesi imperialisti del mondo hanno perso la faccia: non sono bastate le minacce, non sono bastati i più di 100 arresti preventivi, non sono servite le limitazioni di percorso e orari; hanno dovuto ritirare il divieto e concedere la piazza del concentramento. Certo non si può riassumere solo così la ricca, coraggiosa, generosa lotta della classe operaia e delle masse popolari francesi contro la loi travail, ma questo è un salto di qualità, un esempio, un messaggio a tutti gli operai e i lavoratori del mondo nella lingua internazionale della lotta e della solidarietà: passare dalla difesa all’attacco, costringere il nemico ad annaspare, bastonarlo mentre annaspa, vincere.
L’antefatto. Il 14 giugno, un grande sciopero generale aveva paralizzato il paese: 200 mila persone in piazza a Parigi bersagliate per tutta la giornata dalle botte della polizia, dagli idranti, dagli arresti hanno resistito, hanno respinto le violenze, si sono fatte valere. 200 mila erano a Parigi e un milione nel resto della Francia. Questa la dimostrazione agli occhi degli operai e dei lavoratori di tutta Europa che osservavano per verificare se fossero vere o meno le voci sul possibile “riflusso del movimento”. Tanta l’attenzione per la lotta in Francia anche nel nostro paese (vedi Rinnovo del CCNL dei metalmeccanici): a inizio giugno in varie città d’Italia i sindacati di base e alternativi hanno promosso varie iniziative di solidarietà e persino la Camusso, nella prima mattinata del 14, ha mandato la solidarietà della CGIL alla CGT. Lo sciopero del 14 giugno è stato il frutto di mesi di mobilitazioni iniziate con le manifestazioni degli studenti e le notti in piedi, proseguite con il blocco di raffinerie, centrali elettriche, nucleari e porti, scioperi, resistenza alla repressione, solidarietà di classe fra lavoratori e masse popolari dei quartieri più poveri (come quando i lavoratori dell’azienda elettrica hanno abbassato le tariffe di erogazione ai residenti della periferia di Parigi).
L’epilogo non c’è ancora. Adesso tocca anche a noi. Cosa vuol dire “fare come in Francia”? Vincerà la classe operaia francese? Lo scontro è dei più duri e ricorda le lotte dei minatori inglesi fra gli anno ‘80 e inizio ’90 del secolo scorso, perché quella è la natura. Con la promulgazione della loi travail, il governo Valls-Hollande si è assunto il compito di far recuperare alla borghesia francese il ritardo con cui ha finora imposto nel suo paese il programma comune della borghesia imperialista: l’eliminazione delle conquiste che la classe operaia e il resto delle masse popolari avevano strappato nei decenni passati. E’ un programma che negli altri paesi imperialisti si trova a uno stato più avanzato perchè iniziato prima: in Gran Bretagna nel 1979 con la Thatcher, negli USA nel 1981 con Reagan, in Germania nel 1998 con Schröder, la borghesia imperialista si è già ripresa gran parte di quanto era stata costretta a cedere. La classe dominante francese ha bisogno di rimettersi al passo: è condizione indispensabile per non soccombere nella guerra per bande fra i gruppi imperialisti mondiali.
Ma al di là del risultato della singola battaglia contro la loi travail, i lavoratori francesi hanno innalzato un testimone che ci porgono, quello della disobbedienza di massa alle leggi ingiuste, quello dell’insubordinazione, dell’ingovernabilità del paese a ogni autorità che sia emanazione della classe dominante. E col testimone, ci passano pure un insegnamento prezioso quanto lo è la loro lotta: sono le organizzazioni operaie che operano in sinergia e in concatenazione con quelle popolari a costringere i sindacati e gli altri centri autorevoli a muoversi, a mettersi alla testa della mobilitazione. La CGT non può permettersi di perdere gli iscritti che ha perso la CGIL in un anno perché scomparirebbe. Ma nemmeno la Camusso può permettersi di far finta di non vedere che la base delle confederazioni della CGIL è in fermento, che la sinistra interna non lascia il posto, non cede il passo, che chiama i dirigenti e i funzionari a fare quello per cui, nominalmente, sono pagati: mettere le strutture a disposizione delle mobilitazioni, senza se e senza ma. Da soli, spontaneamente, i dirigenti collaborazionisti coi padroni non lo faranno. Non lo fanno. Devono essere costretti. Dobbiamo costringerli a mettersi loro malgrado al servizio della lotta per costruire l’alternativa ai governi della Repubblica Pontificia. Questo ci chiede l’Europa operaia e popolare. Perché il primo paese che rompe le catene della Comunità internazionale degli imperialisti, apre le porte a tutti gli altri paesi…