Già nel 2010 e nel 2013 le condizioni erano favorevoli per costituire il governo di emergenza popolare
Alla crisi che sconvolge il nostro paese si pone fine solo instaurando il socialismo. Questo è indiscutibile per chi ha una conoscenza scientifica dell’origine e della natura della crisi in corso in Italia e del contesto internazionale di cui fa parte. E chi vuole venir a capo della situazione con cognizione di causa deve farsela: il partito comunista è (e deve essere) anche scuola che insegna questa scienza. La concezione comunista del mondo (il marxismo-leninismo-maoismo) fornisce una spiegazione chiara ed esauriente, desunta dai fatti del passato e confermata dagli avvenimenti in corso, dell’origine e della natura della crisi: essa mostra anche che l’instaurazione del socialismo è l’unica soluzione realistica. Ed è una soluzione che permette all’umanità intera di porre fine al catastrofico corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista e dal suo clero e riprendere la via del progresso. Nel socialismo c’è posto per tutti quelli che sono disposti a fare la loro parte di lavoro: non ci sono esuberi.
Chi non ha compreso l’origine e la natura della crisi in corso si arrabatta a escogitare soluzioni che o restano allo stato di fantasie e di prediche senza effetti pratici o si rivelano inefficaci e precarie: sono soluzioni che riguardano l’uno o l’altro sintomo della malattia, non curano la malattia.
Nel nostro paese, stante la situazione che abbiamo ereditato, la via all’instaurazione del socialismo passa attraverso la costituzione del Governo di Blocco Popolare: un governo d’emergenza delle masse popolari organizzate, ma composto da esponenti della sinistra borghese, della sinistra sindacale e dagli esponenti democratici della società civile e dell’amministrazione pubblica che godono ancora della fiducia delle masse popolari organizzate e sono disposti a dare forma e forza di legge alle soluzioni che caso per caso esse indicano. La difesa di un simile governo e la sua attività apriranno la via alla rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato e quindi all’instaurazione del socialismo. Quando esponiamo questa via chiara e realistica, pratica, a cui ogni persona onesta e generosa può dare il suo contributo incominciando subito da oggi, spesso ci sentiamo ancora rispondere che in Italia è già difficile se non impossibile mobilitare su grande scala gli operai e il resto delle masse popolari a difendere i diritti e le condizioni strappate nel passato che la classe dominante, ora con il suo governo Renzi-Bergoglio, elimina l’una dopo l’altra, figuriamoci mobilitare per costituire un Governo di Blocco Popolare e addirittura per instaurare il socialismo. Ebbene, ragioniamo!
Quanto a instaurare il socialismo, siamo d’accordo che oggi è solo una parola d’ordine di propaganda, ma necessaria perché prepara la strada per l’attività pratica del futuro. Per instaurare il socialismo occorre una diffusa e forte convinzione tra gli operai e gli altri lavoratori avanzati che sia necessario e la conferma di questa diffusa e forte convinzione è la loro aggregazione attorno al partito comunista. Per il momento siamo lontani da questo punto, ma proprio per questo propagandiamo il socialismo. Quanto invece alla costituzione del Governo di Blocco Popolare, consideriamo bene gli avvenimenti di questi anni e guardiamo a cosa sta avvenendo in Francia (vedi articolo Cosa insegnano gli operai francesi?).
Per ben due volte da quando nel 2008 siamo entrati nella fase acuta e terminale della crisi generale del capitalismo abbiamo visto profilarsi in Italia sviluppi che, a determinate condizioni che non erano ancora tutte presenti – ma è del tutto evidente che possiamo crearle – portavano nella direzione della costituzione di un Governo di Blocco Popolare.
La prima occasione: tutto iniziò dagli operai di Pomigliano. La resistenza contro il Piano Marchionne alla FIAT di Pomigliano durò mesi e raggiunse il massimo picco con l’esito del referendum aziendale del giugno 2010 definito “con la pistola puntata alla testa” perché la FIAT aveva posto l’accettazione del Piano come condizione per mantenere aperto lo stabilimento (e la sorte di Termini Imerese e dell’Irisbus davano forza alla minaccia). Al referendum vinse il SI’ al Piano Marchionne, ma il NO fu votato dal 38%, una percentuale altissima se si considera il ricatto che pesava sugli operai. Una percentuale che dimostrava la loro volontà di combattere fino in fondo: su loro spinta la FIOM impugnò la bandiera della lotta contro il Piano Marchionne che, se fosse passato in FIAT, avrebbe dettato legge nei rapporti di lavoro in tutti i settori e in tutto il paese, come in effetti è poi stato. Per iniziativa e su spinta degli operai, i dirigenti della FIOM, Landini in testa, furono costretti a esporsi, ad assumere quel ruolo di centro autorevole della mobilitazione popolare (perché quando scende in lotta, in Francia come in Italia e come in ogni altro paese imperialista, la classe operaia prende la testa della mobilitazione del resto delle masse popolari), a raccogliere le aspettative, la disponibilità alla mobilitazione, la ricerca di prospettiva che da ogni angolo del paese confluì in un movimento variegato e articolato: dalle alleanze della FIOM con il movimento NO TAV alla stagione dei referendum sull’acqua e contro il nucleare (giugno 2011), dal movimento per difendere la Costituzione alla spinta alla partecipazione che rese possibile nel 2011 la vittoria delle liste “arancioni” a Napoli, Milano, Cagliari. Grazie alla scintilla innescata dagli operai di Pomigliano in tutto il pese la bandiera della FIOM si affiancava a quelle di ogni altro movimento locale o nazionale, politico o sociale. Quella stagione si è conclusa, con la dirigenza della FIOM che ha preso la via dei tribunali (ricorsi, denunce, esposti) e ha abbandonato quella della mobilitazione e del protagonismo operaio e popolare. Ma si è conclusa lasciando in eredità non solo delusione, frustrazione e riflusso, ma anche una carica di aspettative raccolte, per un certo periodo, dai sindacati di base e dalla sinistra CGIL (Comitato NO Debito), dalle reti di movimento sparse nel paese (dalla manifestazione del 14 dicembre 2010 contro la fiducia al governo Berlusconi a quella del 15 ottobre 2011, al NO Monti Day del 2012, per citare le più famose) e alimentando una speranza e una volontà di cambiamento politico, combinati al voto di protesta, di cui ha beneficiato il M5S. La “parabola” della FIOM va analizzata nel contesto politico dell’epoca: portò alla fine del regime della banda Berlusconi, alle difficoltà dei vertici della Repubblica Pontificia per trovare un sostituto, allo sfacelo della sinistra borghese che dirigeva ancora il PD. La FIOM si è ritratta piantando in asso milioni di persone che vedevano nel sindacato che fa politica la prospettiva di alternativa. Ma il contenuto di quella mobilitazione, innescata dal protagonismo degli operai FIAT contro il Piano Marchionne, ha superato il confine della lotta sindacale e ha assunto il ruolo di movimento di trasformazione politica.
La domanda non è se la FIOM non si fosse ritratta? Quello che interessa è che quella FIOM aveva il seguito e la forza, godeva della fiducia e del prestigio per mobilitare le masse popolari a fare cose che era possibile fare, che era necessario fare e che erano certamente oltre quello che essa ha effettivamente fatto: quindi ha mostrato un cammino che altri faranno. Quanto alla FIOM, il ritiro da quella battaglia di livello superiore è la causa della melma in cui è finito il suo gruppo dirigente: si è legato mani e piedi alla dirigenza della CGIL, deve espellere operai e sindacalisti onesti e combattivi, organizza le feste anziché gli scioperi, deve difendersi dagli operai combattivi che pure sono suoi iscritti. Ascesa e discredito: questo è il movimento comune di chi raccoglie le aspirazioni delle masse popolari, ma poi non fa i passi conseguenti alla fiducia che ha raccolto, non combatte per l’oggetto del contendere, il governo del paese. Questo insegna a noi e a ogni operaio combattivo che i conti con la sinistra borghese si regolano spingendola in avanti, spingendola ad assumere compiti superiori.
Oggi a quelli che ci chiedono “come è possibile costituire il Governo di Blocco Popolare?” noi diciamo di riflettere su cosa sarebbe successo se la FIOM non avesse fatto (non avesse potuto fare) marcia indietro nella primavera del 2011. Siamo d’altra parte certi che se nel paese fosse già esistita una rete di organismi operai non diciamo decisi, ma anche solo orientati a prendere la direzione del paese convinti che è l’unica alternativa realistica al corso catastrofico delle cose, il neosegretario della FIOM che incautamente aveva messo in moto la mobilitazione, o avrebbe marciato o sarebbe stato scavalcato. Presidente del Comitato Centrale FIOM era allora Giorgio Cremaschi: avremmo visto all’opera lui o altri meglio di lui.
Ma non è questo il punto. L’importante è che abbiamo visto che si può fare. Per questo insistiamo nel promuovere la costituzione di organismi operai e di organismi popolari e nel curarne l’orientamento. Il corso delle cose è catastrofico e la borghesia imperialista non è in grado di fare altro, rispetto a ciò che già fa, o fare di peggio. I contrasti nei vertici della Repubblica Pontificia sono acuti e lo diventeranno ancora di più (gli anni seguiti all’iniziativa di Landini & C., dal 2010 a oggi, lo confermano). I centri della sinistra borghese che a livello nazionale hanno ancora prestigio, seguito e influenza tra le masse popolari (è un’eredità della storia, fa parte della situazione concreta e da essa, finché non l’ha cambiata, nessun marxista, prescinde nel decidere la sua attività), non possono che oscillare scompostamente e sempre più furiosamente e disperatamente tra destra e sinistra, quindi certo da sinistra a destra, ma anche da destra a sinistra (solo gli opportunisti vedono sempre e solo nero!). Quindi situazioni del genere di quella che si è presentata tra il 2010 e il 2011 si presenteranno ancora. Ci possiamo e quindi ci dobbiamo contare. E dobbiamo metterci in condizioni di sfruttarle a vantaggio della costituzione di un governo di emergenza popolare attraverso cui promuoviamo la rinascita del movimento comunista.
La seconda occasione: questa volta la marcia indietro l’ha fatta il M5S. Alle elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013 il M5S ha raccolto più del 25% dei voti validi per la Camera dei Deputati, è stata la lista singola più votata. Ha raccolto cioè una parte significativa dell’onda lunga generata dal sommovimento degli anni precedenti che in ambito elettorale, se a livello locale nel 2011 aveva premiato le “liste arancioni”, a livello nazionale non trovava altri canali di espressione. Con l’affermazione elettorale e a seguito degli attacchi a opera dei vertici della Repubblica Pontificia, il M5S è diventato in breve un organismo atipico, contraddittorio, ma radicato a livello territoriale, radicato nelle mobilitazioni popolari (in particolare su ambiente, sanità, difesa della Costituzione, contro la corruzione), con un ruolo positivo di aggregazione e di promozione della discussione politica. In altri termini, in breve, il M5S (i suoi dirigenti e i suoi eletti a livello nazionale e i suoi portavoce e attivisti locali) è diventato un autorevole centro di orientamento delle masse popolari. L’apice della sua parabola fu nel periodo della elezione del Presidente della Repubblica nell’aprile 2013. Per districare la crisi politica che attanagliava i vertici della Repubblica Pontificia e isolare il M5S, Napolitano si rese artefice di un golpe bianco in tre atti (sospensione unilaterale dell’iter per la formazione di un governo coerente con i risultati elettorali; manovre per la sua rielezione alla carica di Presidente della Repubblica; imposizione di un governo delle larghe intese – Letta e poi Renzi).
In reazione al golpe bianco, il giorno dell’elezione del Presidente della Repubblica il M5S lanciò l’appello a difendere la democrazia e a occupare le piazze di Roma: migliaia di persone si precipitarono nelle strade, decine di migliaia si prepararono a partire da ogni parte d’Italia, dopo alcune ore di silenzio fu lo stesso Beppe Grillo a rinunciare alla mobilitazione, spiegando – vero o falso che fosse – di aver ricevuto esplicito invito dalle autorità a disinnescare la mobilitazione dato che non sarebbero stati prevedibili gli esiti. La sostanza della questione a tre anni di distanza (anche se sembra passata un’eternità), è che Grillo e il M5S non si sono assunti la responsabilità di usare la fiducia che avevano riscosso, le aspettative, le ambizioni di cambiamento per dare una spallata ai vertici della Repubblica Pontificia e installare un governo che fosse coerente con il risultato del voto. Certo, il M5S non aveva (e non ha) la concezione e la linea per compiere fino in fondo questo passo, motivo per cui si è ridimensionato nelle pretese e si accontenta oggi di essere credibile e responsabile opposizione ai vertici della Repubblica Pontificia. Come nel caso della FIOM, la domanda è se non avesse potuto fermarsi, se la valanga che aveva messo in moto avesse continuato il suo corso?
Da questi fallimenti c’è da imparare. Entrambi i casi mostrano che in un paese reso ingovernabile dall’alto, la costruzione di una nuova governabilità dal basso è una tendenza ricorrente e inevitabile. I fallimenti degli esempi riportati non sono da imputare alla viltà o incapacità personale di Landini o di Grillo: quando parliamo degli “esponenti della sinistra borghese, della sinistra sindacale e degli esponenti democratici della società civile e dell’amministrazione pubblica che godono della fiducia delle masse popolari organizzate e sono disposti a dare forma e forza di legge alle soluzioni che caso per caso esse indicano” come ministri di un futuro Governo di Blocco Popolare, non parliamo di comunisti (pensiamo ai governi di Fronte Popolare del 1936 in Spagna e in Francia e al Governo Parri del 1945 in Italia: non erano certo composti dalla “crema” del movimento comunista!). Sono persone che non si sono mai proposte di rovesciare i vertici della Repubblica Pontificia, non hanno una formazione, una concezione, una linea, una strategia, una tattica per essere alla testa delle masse popolari nel farlo. Ma stante la posizione che occupano, il corso delle cose li obbliga a svolgere quel ruolo o perire.
Gli esempi illustrati mostrano che le masse popolari possono spingere quelli come loro a fare ciò che non avrebbero mai pensato di fare. La questione è che né nel 2010 né nel 2013 le condizioni necessarie alla costituzione del Governo di Blocco Popolare erano “mature” nel campo delle masse popolari: le organizzazioni operaie e popolari non erano abbastanza numerose, quelle esistenti erano ancora in larga misura orientate a delegare. La rete di relazioni fra gli operai, i lavoratori e gli organismi di massa al di fuori delle organizzazioni gestite dalla classe dominante (sindacati di regime, associazioni, reti, ecc.) non era abbastanza sviluppata o comunque non era abbastanza indipendente ideologicamente dalla sinistra borghese: non era ancora convinta che l’unica soluzione era il Governo di Blocco Popolare. Questo è il motivo per cui i centri autorevoli, arrivati al dunque, hanno potuto tirarsi indietro. Ma quello che ci importa qui illustrare è l’indirizzo preso dagli avvenimenti.
Le forme e il contenuto della lotta di classe oggi in Italia. La crisi politica della Repubblica Pontificia in questa fase pone all’ordine del giorno la mobilitazione per imporre il Governo di Blocco Popolare (vedi La maledetta primavera di Renzi su Resistenza n. 5/2016). A questo proposito si devono combinare due movimenti: – il movimento che dal basso rende sempre più difficile se non impossibile ai vertici della Repubblica Pontificia e alle loro autorità governare il paese (movimento favorito da ogni contrasto che si sviluppa nei vertici); – il movimento che crea una rete di nuove autorità pubbliche dal basso. Entrambi hanno come base materiale gli operai, i lavoratori e le masse popolari organizzate. Quanto più prendono loro l’iniziativa in mano, tanto più costringono i centri autorevoli esistenti ad assumere un ruolo positivo nelle operazioni che creano il nuovo assetto politico del paese, la governabilità dal basso, le nuove autorità pubbliche:
– raccogliere la parte attiva e più avanzata delle masse popolari, azienda capitalista per azienda capitalista, azienda pubblica per azienda pubblica, quartiere per quartiere, città per città;
– indicare quali sono i problemi e le contraddizioni principali a cui bisogna fare fronte ambito per ambito;
– indicare soluzioni possibili e iniziare a praticarle mobilitando chi è disposto a darsi da fare;
– entrare in relazione reciprocamente fino a costruire una rete che si estende e prende in mano le sorti della vita associata delle masse popolari, imponendo ciò che è legittimo perché conforme agli interessi collettivi anche se è dichiarato illegale dalle autorità e dalle istituzioni borghesi, avvalendosi di quanti fra funzionari, tecnici e partecipanti al funzionamento delle istituzioni borghesi a qualunque livello, vogliono o possono contribuire.
I centri autorevoli che possono assumere un ruolo in questo processo esistono già, ma sono impegnati prevalentemente a lamentarsi di quanto è cattivo Renzi e in certi casi a lamentarsi di quanto sono arretrate le masse popolari che non li seguono nelle loro timide iniziative rivendicative che perseguono obiettivi al ribasso, irraggiungibili o inutili, come più volte confermato dalla realtà (pensate alle marce contro la guerra in Afghanistan e Iraq del 2001 e 2003). Quindi quanto più cresce la mobilitazione dal basso, tanto più questi centri autorevoli dovranno assumere un ruolo positivo, pena la loro progressiva disgregazione, avvitamento, marginalizzazione.
Il processo, illustrato in sintesi, non si afferma spontaneamente e non si sviluppa da subito su larga scala (motivo per cui anche mentre nasce e cresce appare invisibile a chi non impara a vederlo e a valorizzarlo). Al contrario si afferma in virtù dell’azione dei comunisti che orientano, dirigono, aggregano e mobilitano quella parte delle masse popolari che ha già, come lascito del vecchio movimento comunista, la bandiera rossa nel cuore e la volontà di cambiare il corso delle cose e con questa tutte quelle persone che dalla preoccupazione passano alla volontà di costruire il proprio futuro, nell’unico modo realistico in cui la cosa è fattibile. I comunisti aggiungono scienza e metodo ai sentimenti e alla volontà della parte più avanzata e generosa delle masse popolari. Le barricate, che ci saranno, saranno una manifestazione epidermica di un sommovimento che scuote la società fino a disarcionare i vertici della Repubblica Pontificia e indurli ad accettare come rimedio “passeggero e necessario” il Governo di Blocco Popolare.
Non si parte da zero – cosa valorizzare e come. Nel nostro paese ci sono migliaia di operai che hanno la bandiera rossa nel cuore, decine di migliaia di lavoratori e centinaia di migliaia di elementi delle masse popolari che hanno volontà e intelligenza da dedicare a quest’opera. Ognuno di essi, a vario titolo e in varie forme è già oggi animatore, promotore, protagonista delle mille forme di resistenza organizzata agli effetti della crisi. Da qui partiamo, usando ogni occasione per promuovere il processo di costituzione del Governo di Blocco Popolare: la mobilitazione per il rinnovo dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro è un ottimo contesto per creare organizzazioni operaie che si occupano dell’azienda ed escono dall’azienda; la mobilitazione per la campagna elettorale crea ottime condizioni per far scrivere alle masse popolari il programma della loro Amministrazione Locale di Emergenza, promuovere la costruzione di organizzazioni popolari e far assumere a quelle esistenti un ruolo più avanzato (vedi articoli a pag. 4).
Socialismo. La retorica della Resistenza come movimento trasversale che ha unito tutti gli antifascisti è, appunto, una retorica della propaganda anticomunista: nasconde il ruolo che i comunisti hanno giocato ieri e quello che devono giocare oggi. La verità è che la guerra di Liberazione fu preparata, costruita, condotta, combattuta e vinta soprattutto dagli operai e dai lavoratori comunisti che si organizzarono nelle città e nelle montagne, nelle formazioni militari e in quelle civili, che costituirono clandestinamente i loro centri di potere alternativo alle autorità fasciste, i CLN, che insorsero all’appello del CLN-Alta Italia dopo anni di persecuzioni, deportazioni, torture, confino e fucilazioni; insorsero e vinsero perché avevano costruito le condizioni per vincere. Gli operai e i lavoratori comunisti salvarono l’Italia dalla dittatura terroristica della borghesia, oggi come allora hanno lo stesso compito di costruire le condizioni per vincere: di portare le masse popolari a organizzarsi e imporre il loro governo di emergenza per fare fronte agli effetti più gravi della crisi e aprire la via all’instaurazione del socialismo, per aprire un corso nuovo al paese e all’umanità intera. Perché la costituzione del Governo di Blocco Popolare crea condizioni più favorevoli per la rinascita del movimento comunista.