Conoscere la crisi per costruire l’alternativa

Da quasi 10 anni il nostro paese e il mondo intero sono alle prese con la fase terminale, acuta e irreversibile della crisi generale del capitalismo. Gli effetti nel nostro paese, almeno quelli più evidenti, sono noti a tutti: catastrofica riduzione delle attività produttive di beni e servizi, con chiusura, riduzione o delocalizzazione di grandi aziende, fallimento di piccole imprese e artigiani, aumento della disoccupazione, riduzione di salari e stipendi, dei redditi dei lavoratori autonomi e delle pensioni, aumento delle spese per servizi (sanità, istruzione, trasporti, energie, ecc.), esaurimento dei risparmi, aumento dell’indebitamento delle masse popolari, degrado ambientale.

Sulle cause di questo disastro se ne sentono di tutti i colori, come pure sulle soluzioni. Lasciamo da parte le illusioni e le menzogne di quelli che “la crisi passerà da sola come da sola è arrivata” e trattiamo brevemente delle cause dichiarate e delle soluzioni proposte dalla sinistra borghese, un insieme di personaggi e organismi che, a causa la debolezza del movimento comunista, ha ancora seguito, prestigio, influenza e ascendente sulle masse popolari.

Per quanto attiene alle cause della crisi, pur con varie sfumature, essa le imputa alla globalizzazione, al liberalismo selvaggio, alla speculazione finanziaria. Per quanto attiene alle soluzioni, la sinistra borghese prospetta la regolamentazione delle speculazioni e la tassazione delle rendite finanziarie, misure politiche per favorire gli investimenti nelle attività produttive, nella “economia reale”. Chiede riforme di equità e una più giusta distribuzione della ricchezza e del reddito. Chiede, insomma, l’impossibile: nessun capitalista è disposto a investire nelle attività produttive, dato che queste non gli garantiscono la valorizzazione del capitale, anzi le premesse sono fallimentari per imprese di questo tipo. Le richieste e le proposte di riformare il capitalismo sono tanto impossibili da diventare opinione, testimonianza, lamento, piagnisteo. Tanto inutili da far apparire realistiche, agli occhi delle masse popolari, persino le “soluzioni” della destra reazionaria: “prima gli italiani”, “difendere la nazione”, “cacciare i lavoratori stranieri”, insomma la guerra tra poveri.

In questo articolo esponiamo, in sintesi, un’analisi della natura della crisi e del suo decorso alla luce della concezione comunista del mondo. È un’analisi che non va di moda e in effetti la sua funzione non è quella di essere un’opinione fra le altre. È quella di essere base su cui poggiare l’azione, orientamento per capire cosa fare, strumento di lotta di classe, strumento di lotta per costruire la rivoluzione socialista. Per quelli che la costruzione della rivoluzione socialista è già un obiettivo cosciente, quest’analisi sarà utile per rafforzare la comprensione del ruolo che devono svolgere fra gli operai, gli altri lavoratori e le masse popolari. Per quelli che la rivoluzione socialista “sarebbe bella, ma è impossibile” quest’analisi sarà utile per affrontare e superare lo scetticismo e fare un passo avanti per assumere una posizione di avanguardia nella lotta di classe.

La fase acuta, terminale e irreversibile della crisi è iniziata nel 2008 a seguito dello “scoppio” della bolla speculativa dei mutui ipotecari negli USA che, in un processo a catena, ha travolto banche (che non riuscivano a riscuotere le rate dei prestiti), istituzioni finanziarie (che avevano investito nei titoli derivati dai prestiti ipotecari) e tutto il sistema del credito, fino a ridurre drasticamente il potere di acquisto e le disponibilità delle masse popolari. Tutto ciò a sua volta ha determinato il crollo degli investimenti e dei consumi che si sono abbattuti sulle attività produttive di merci, innescando il processo di chiusura di aziende, disoccupazione di massa, ecc.

È la fase acuta, perché è quella in cui si esprimono al massimo livello le contraddizioni della società borghese e gli effetti della crisi si manifestano a livello di massa causando sommovimenti e sconvolgimenti economici, politici, sociali.

È la fase terminale perché è il contesto in cui la mobilitazione delle masse popolari, alimentata dagli effetti della crisi e orientata dall’attività di organismi e individui, determinerà la strada attraverso cui la crisi generale sarà superata (la mobilitazione reazionaria che favorisce la guerra imperialista o la mobilitazione rivoluzionaria che sfocerà nell’instaurazione del socialismo).

È irreversibile perché nonostante le illusioni e le speranze non vi è alcuna possibilità di invertire la rotta e tornare al “capitalismo dal volto umano” tanto caro alla sinistra borghese e ai sindacalisti “ragionevolmente conflittuali” come Landini.

Indietro non si può tornare. Non è possibile capire il processo che sta attraversando il mondo e le soluzioni al corso catastrofico delle cose se non si considerano la natura e lo sviluppo della crisi generale del capitalismo iniziata a metà anni ‘70 del secolo scorso. È una crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale: a livello mondiale e considerando tutti i settori produttivi, il capitale accumulato è tanto che, se nell’ambito degli ordinamenti sociali e internazionali esistenti i capitalisti lo impiegassero tutto nelle loro aziende che producono merci (beni e servizi), estrarrebbero una massa di plusvalore (quindi di profitto) inferiore a quella che estraggono impiegandone solo una parte. È una crisi generale, cioè che riguarda tutto il sistema di relazioni sociali all’interno di ogni singolo paese e il sistema delle relazioni internazionali (in questo senso è una “crisi sistemica”): la crisi economica ha generato la crisi politica (degli istituti, degli ordinamenti e delle relazioni politiche interne e internazionali) e la crisi culturale (intellettuale, morale); la crisi ambientale, generata anch’essa dal capitalismo, è una componente e un’aggravante della crisi generale.

Dalla crisi dell’economia reale capitalista, come suo rimedio provvisorio, si è formata l’enorme massa di capitale finanziario e speculativo la cui valorizzazione ora è il fattore economico determinante delle manovre dei gruppi imperialisti per conservare il loro potere, i loro privilegi e le loro ricchezze nonostante la crisi del capitalismo.

L’origine storica della crisi attuale sta nel corso che la storia mondiale ha seguito negli anni che l’hanno preceduta: chi si ostina a trascurare quella storia non ragiona, ma espone impressioni e ripete luoghi comuni. La prima ondata della rivoluzione proletaria messa in moto dalla Rivoluzione d’Ottobre e dalla costituzione dell’Unione Sovietica non è arrivata a instaurare il socialismo nei paesi imperialisti. Per cause inerenti a limiti del movimento comunista cosciente e organizzato essa si è esaurita negli anni ’70 del secolo scorso e da allora in forme e con processi diversi e in misure diverse i primi paesi socialisti si sono reintegrati nel sistema imperialista mondiale, i gruppi e le potenze imperialiste hanno soffocato le rivoluzioni di liberazione nazionale in corso nei vecchi paesi coloniali e gran parte dei partiti comunisti e dei sindacati formatisi nei paesi imperialisti si sono disgregati. Dopo l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria, la borghesia imperialista e il suo clero hanno ripreso in mano la direzione del mondo: il vortice di crisi, miseria, devastazione ambientale e guerra in cui siamo immersi è il risultato della loro direzione.

Le tre fasi della crisi. Quando si è conclusa la fase di nuova accumulazione e valorizzazione del capitale iniziata dopo la Seconda Guerra Mondiale (possibile solo grazie alle enormi distruzioni che essa, insieme alla Prima, aveva causato), per i capitalisti era diventato impossibile valorizzare il loro capitale nella produzione di merci. Se i capitalisti non avessero trovato il modo di valorizzare il capitale le attività produttive sarebbero state travolte già allora dalla crisi del loro sistema. Il modo fu trovato: da metà anni ‘70 e per tutto il decennio degli anni ‘80 i gruppi imperialisti attuarono la loro ricetta basata su

a. imposizione ai paesi neocoloniali e ai paesi socialisti governati dai revisionisti moderni di contrarre debiti (la base materiale delle catastrofi umanitarie, politiche e ambientali da cui oggi scappano milioni di migranti);

b. privatizzazione di settori e servizi pubblici nei paesi imperialisti, la trasformazione in merce dei servizi pubblici (i capofila furono gli USA con Reagan e la Gran Bretagna con la Thatcher).

Questa è stata la valvola di sfogo del capitale in eccesso che richiedeva di essere valorizzato, le cui manifestazioni pratiche furono le ristrutturazioni industriali degli anni ‘70 (licenziamenti di massa dalle aziende produttrici di merci). Risolto il problema? Neanche per sogno. Il capitale complessivo è cresciuto, occorrevano nuovi ambiti di valorizzazione perché nel giro di 20 anni si presentava la stessa situazione, ma in condizioni generali peggiori: nei paesi neocoloniali le economie locali erano state devastate, le conquiste ottenute dai movimenti di liberazione erano state spazzate via (con la corruzione o in ragione della riscossione dei crediti da parte dei paesi imperialisti), le condizioni di vita diventavano insostenibili; nei paesi imperialisti le condizioni di vita e di lavoro erano peggiorate complessivamente, il potere di acquisto era sceso, la produzione di merci delle grandi aziende capitaliste richiedeva sempre maggiori sostegni di denaro pubblico. Da inizio anni ‘90 è iniziata quindi una seconda fase, caratterizzata da quel processo conosciuto come globalizzazione (estensione ai quattro angoli del mondo della produzione capitalista di merci, integrazione di ogni paese del mondo, a vario livello di coinvolgimento, nella rete del mercato mondiale) e dall’esponenziale crescita della speculazione finanziaria. Nel campo della produzione di merci, è iniziata la concorrenza planetaria fra capitalisti, base per il generale e irreversibile peggioramento delle condizioni di lavoro e salariali degli operai e dei lavoratori dei paesi imperialisti a fronte del graduale livellamento delle loro condizioni a quelle dei paesi oppressi; nel campo della finanza, è stata sviluppata alla massima capacità la costruzione di enormi castelli di carta poggiati sulle gracili basi dell’economia reale. La valorizzazione del capitale avviene in questa fase attraverso l’estorsione di plusvalore dal lavoro degli operai impiegati nelle attività produttive ai quattro angoli del mondo, ma in misura enormemente maggiore tramite le rendite speculative: le seconde hanno garantito investimenti e consumi che hanno evitato il tracollo delle prime. Fino a che anche la speculazione è diventata insufficiente a valorizzare il capitale e anzi è diventata l’innesco di sconvolgimenti (come nel caso della bolla dei mutui ipotecari USA nel 2009) i cui effetti travolgono l’economia reale.

In conclusione. La globalizzazione, “l’ultraliberismo”, le speculazioni finanziarie, esattamente come le privatizzazioni, non sono la causa della crisi attuale: a opera dei capitalisti e secondo la loro logica e i loro interessi sono state per un periodo un rimedio agli effetti della crisi generale, rimedi che ben lungi dal risolvere il problema, ne hanno amplificato e generalizzato gli effetti. Questo è, deve essere, un insegnamento prezioso per gli operai avanzati, per gli elementi avanzati delle masse popolari: la classe dominante non ha alcuna possibilità di risolvere la crisi (non ha concezione, strumenti intellettuali e morali adeguati), ogni “soluzione” che partorisce è parziale e temporanea e in definitiva crea le condizioni per cui la situazione peggiora. Come un medico che pretende di curare i sintomi di una malattia, ma non cura la malattia che nel frattempo si propaga nell’organismo: quei sintomi che in pochi giorni spariscono, si ripresentano più gravi, in altre forme, letali. Ecco perché non porta ad alcun risultato chiedere, implorare o pretendere che la borghesia, i suoi governi, le sue istituzioni trovino soluzioni: lo stato borghese e le sue autorità sono un mezzo attraverso cui i capitalisti perseguono il loro unico obiettivo, valorizzare il capitale.

Le riforme del governo Renzi-Bergoglio (in primis il Jobs Act, ma non solo) sono la manovra per imporre anche in Italia le misure che in altri paesi imperialisti (europei, come la Gran Bretagna prima e la Germania poi, gli USA) sono state imposte prima; discorso analogo per la legge loi travail contro cui oggi combattono generosamente gli operai e le masse popolari francesi. Queste sono le “soluzioni” alla crisi che la classe dominante può elaborare.

La verità è che solo le masse popolari organizzate possono imporre misure efficaci per far fronte agli effetti più gravi della crisi attraverso un loro governo di emergenza e possono imporre la soluzione alla crisi, instaurando il socialismo e avanzando verso il comunismo.

La cura di una malattia dipende dalla diagnosi che facciamo, allo stesso modo la via d’uscita dalla crisi attuale è strettamente legata all’interpretazione che diamo della crisi attuale, della natura e della causa della crisi attuale: da questo deriva anche l’idea che ci si fa della soluzione, di come porvi fine, uscirne e quindi la linea politica da seguire. Quindi l’interpretazione della crisi non è una questione per così dire accademica, ma è campo di lotta di classe. Chi indica una causa e dice che bisogna porvi fine, deve spiegare anche perché invece quella causa esiste ed è esistita, perché ha operato, chi l’ha promossa e difesa, perché.

Alcuni sostengono che la crisi attuale è dovuta a un aumento dei tassi di interesse che ha reso vizioso un circuito prima virtuoso provocando un crescente indebitamento delle famiglie e infine la loro insolvenza. La soluzione sarebbe l’annullamento dei debiti, quindi sindacati, organizzazioni comuniste, studenti, lavoratori, ecc. dovrebbero lottare per indurre il governo ad annullare i debiti. Però questa interpretazione della crisi non spiega come si potrebbe evitare che le famiglie si indebitino nuovamente, una volta condonato l’attuale debito, né perché le famiglie si erano indebitate e a cosa era servito il debito.

Altri indicano la causa della crisi nella particolarità del modello di sviluppo italiano che ha puntato a creare profitto e a competere più riducendo il costo del lavoro che innovando (nuove tecnologie). La soluzione sarebbe l’innovazione, l’investimento in nuove tecnologie e quindi l’obiettivo della lotta popolare dovrebbe essere indurre, imporre a governo, Condindustria e le altre associazioni padronali di investire in nuove tecnologie. Però perché i capitalisti e i governi hanno smesso o ridotto gli investimenti in nuove tecnologie, perché hanno ridotto il costo del lavoro da un certo punto in poi, ecc., che cosa ci assicura che non tornerebbero a farlo anche ammesso che venissero indotti per un po’ a investire in nuove tecnologie? Perché la crisi è mondiale e non solo italiana?

Altri ancora indicano la causa della crisi nella destrutturazione del lavoro, la flessibilità, le esternalizzazioni. Soluzione: la fine della flessibilità e delle esternalizzazioni e come obiettivo quello di indurre i capitalisti e le loro autorità a farlo. Però perché da un certo punto in poi la flessibilità, le esternalizzzazioni, ecc. sono diventate la regola e cosa ci assicura che non tornerebbero ad esserlo?

Altri, e sono la maggioranza, indicano la causa della crisi attuale negli eccessi delle attività finanziarie e speculative, come soluzione regolamentazioni più rigide poste a tali attività e come obiettivo la loro imposizione. In sostanza la causa della crisi attuale starebbe nelle politiche o nei comportamenti dei caporioni del sistema imperialista o delle autorità che essi hanno investito del potere politico o messo alla testa delle istituzioni finanziarie mondiali (FMI, Banca Mondiale, ecc.) o dei maggiori paesi imperialisti (Federal Reserve, Banca Centrale Europea, Commissione Europea, ecc.). È banale dire che capitalisti e le loro autorità hanno fatto politiche sbagliate, visto che erano loro a comandare (addirittura “avevano vinto sul comunismo”) e che le cose vanno male. Ma perché tutti loro hanno fatto politiche sbagliate? Sono tutti stupidi? Quali erano le politiche che avrebbero dovuto fare per evitare la crisi pur restando il capitalismo quello che è?

Altri, infine, individuano la natura della crisi attuale nella contrazione del mercato: la crisi deriverebbe dalla contrazione della richiesta solvibile (cioè da parte di persone dotate di denaro per pagare quello che acquistano) o dal volume ridotte delle spese pubbliche (le uscite della pubblica amministrazione). È banale che l’economia è in crisi perché le aziende non vendono, perché il mercato non tira. Ma perché il mercato non tira, mentre prima per un certo tempo ha tirato?

Tutti quelli che condividono queste concezioni della causa e della natura della crisi attuale, per lo più indicano soluzioni riformiste: questa o quella misura che le Autorità o la classe borghese dovrebbero adottare e che porrebbe fine alla crisi, restando comunque nell’ambito del capitalismo. Si distinguono l’uno dall’altra per il rimedio che propongono e sostengono.

In un avvenimento di dimensioni tali come la crisi attuale, chiunque avanza una teoria, trova qualche fatto da addurre a prova o almeno a sostegno di questa. Non è quindi nella quantità di fatti addotti che si ha la prova che una teoria è giusta. Una teoria della crisi è giusta se spiega l’insieme del corso delle cose e porta a soluzioni efficaci. Una teoria delle costruzioni è giusta non se spiega alcuni fatti. È giusta se spiega perché alcune case stanno in piedi mentre altre crollano e se guida a costruire case che stanno in piedi.

Indebitamento delle famiglie, taglio dei salati, mancanza di innovazione, flessibilità, esternalizzazioni, gonfiamento delle attività finanziarie e speculative, contrazione del mercato sono tutte componenti della crisi attuali, sono manifestazioni, ma non la causa della crisi attuale.

Le politiche che i caporioni del capitalismo e le autorità che loro hanno investito del potere hanno praticato negli ultimi 30 anni, sono servite a tirare in lungo, a evitare che la crisi diventasse subito, già 20 o 30 anni fa quello che ora sta diventando. Ora vengono da alcuni indicate come causa della crisi perché in effetti esse hanno creato le circostanze e le forme della crisi attuale: sono state la via seguendo la quale siamo arrivati alla terribile situazione attuale. Ma i caporioni del capitalismo e le autorità che loro hanno investito del potere hanno fatto ricorso ad esse per evitare che la crisi del loro sistema di relazioni sociali precipitasse già 20 o 30 anni fa. Per questo tutta la borghesia e tutte le classi dominanti le accettarono e praticarono. 

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