Ecco le tasse che non paga l’università Pontificia Gregoriana a Roma

 

I soldi per fare i lavori che servono ci sono!

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Non ci sono i soldi per fare i lavori che servono” è l’obiezione più corrente. Ma è un’obiezione inconsistente: il paese è pieno di soldi, le banche sono piene di soldi, i ricchi sono pieni di soldi e tante cose si fanno anche senza soldi e in più ci sono sprechi, corruzione, lussi, ecc. Bisogna costringere con le buone e con le cattive le autorità, le banche e i ricchi a tirare fuori i soldi necessari e a occuparsi dei lavori necessari e delle attività connesse, a usare per i lavori necessari e le attività annesse i soldi che le autorità oggi trovano e usano per ogni spreco, per ogni grande opera, per ogni guerra, per ogni lusso, per ogni tangente che gli va bene.

 

 

 

Sotto forma di privilegi fiscali e di contributi pubblici al suo funzionamento e alle sue opere (ospedali, asili, scuole, ecc.), lo Stato regala ogni anno al Vaticano e alla Chiesa cattolica miliardi di euro… che “non ci sono” quando si tratta di scuole, ospedali e altri servizi pubblici che servono alle masse popolari.

Ma non è solo questo. Il peso economico maggiore, infatti, consiste in realtà nel fatto che il Vaticano e la Chiesa (con le diocesi, le parrocchie, le congregazioni religiose) hanno proprietà immobiliari (edifici e terreni) e mobiliari (azioni, titoli, depositi) immense che sono coperte da “segreto”: tutte le iniziative per fare un censimento delle proprietà della Chiesa Cattolica sono state sepolte in Commissioni che non hanno prodotto nulla.

Per la loro gestione e valorizzazione la Chiesa (tramite i suoi vari organismi preposti all’amministrazione dei beni) partecipa agli affari con il resto della borghesia e dei ricchi. Per difendere i suoi privilegi, le sue proprietà, i suoi affari e le sue speculazioni, assicurandosi il buon andamento e larghi margini di guadagno, la Chiesa mantiene una larga area di opacità su tutti gli affari economici e finanziari del paese, opacità in cui prosperano ogni tipo di operazioni illecite e anche criminali. Senza questa area di opacità, gran parte della evasione fiscale, delle truffe, delle speculazioni mobiliari e immobiliari, ecc. sarebbero impossibili o comunque più difficili. Lo scandalo del Banco Ambrosiano (con la “lista dei 500” esportatori di capitale clienti della Banca di Sindona sparita perché vi erano cardinali ed “economi” di curie e congregazioni religiose), l’affare del S. Raffaele e dell’Istituto Toniolo, l’affare Parmalat-Tanzi, Propaganda Fide e i palazzi nelle cui speculazioni furono coinvolti il cardinale Sepe, Scajola, Bertolaso, ecc…. non c’è scandalo finanziario (e non c’è affare o speculazione) in cui la Chiesa non abbia la sua parte. A partire dal sacco di Roma, subito dopo l’annessione del 1870, quando la nobiltà nera si arricchì su grande scala con i terreni e le costruzioni (speculazioni fondiarie e bancarie e relativi scandali che servivano per ricatti e ulteriori affari).

In Italia non è mai stato possibile fare una politica del territorio, piani regolatori seri e tanto meno gestiti con trasparenza, nominatività dei titoli finanziari, trasparenza delle operazioni finanziarie, ecc. perché questo avrebbe messo allo scoperto proprietà e affari della Chiesa. Perché la Chiesa ha bisogno del segreto? Perché si oppone alla trasparenza? Gli Stati ricorrono al segreto per ragioni dichiarate (proteggere i propri interessi dagli altri Stati che li minacciano su vari piani e dalla criminalità) e per ragioni non dette: proteggere dalle masse popolari e dai concorrenti l’uso e l’abuso del potere pubblico, dei soldi pubblici e delle ricchezze pubbliche per interessi e affari privati. La Chiesa vi ricorre per nascondere maneggi, operazioni sporche, truffe, speculazioni alcune illegali o addirittura criminali e altre tali che ne macchierebbero l’aura di santità e di carità di cui si circonda presso i fedeli e il pubblico (che versano elemosine, lasciano eredità, ecc.).

La trasparenza in Italia è cosa doppiamente rivoluzionaria. Va messa in primo piano in ogni rivendicazione e in ogni programma: stipendi, contributi, spese accessorie, ecc. tutto deve essere reso pubblico e in una forma che lo renda accessibili e comprensibile anche al cittadino comune.

Ogni Amministrazione Locale d’Emergenza deve garantire la più ampia e profonda trasparenza sul funzionamento dell’Amministrazione e documentare nel modo più semplice e accessibile lo stato da cui parte l’Amministrazione e come si sviluppa la sua attività. È una misura concreta, fondamentale per promuovere il controllo e la verifica da parte dei cittadini sull’operato dell’Amministrazione e la partecipazione alla gestione della “cosa pubblica”. È una misura che non richiede grandi oneri e spese particolari all’Amministrazione Comunale e quelle Locali, è un’attività prevista dalle attuali norme sulla gestione delle pubbliche risorse, ma volutamente violata in maniera sistematica a tutti i livelli.

Ogni Amministrazione Locale d’Emergenza deve bandire i segreti, gli accordi sottobanco, le intese su cui prosperano e di cui si avvalgono le Organizzazioni Criminali, gli affaristi, il clero e gli arrampicatori sociali. In particolare devono pubblicare sul proprio sito in modo organico, chiaro, veritiero, comprensibile a chiunque e da tutti consultabile e verificabile:

– l’inventario del patrimonio di beni mobili (comprese le partecipazioni in aziende, le aziende controllate, gli enti, ecc.) e immobili (demanio, patrimonio, stabili, ecc.) e come vengono utilizzati (affittati a chi, a che titolo e con che canone), gli appalti, i concorsi, ecc.,

– l’inventario delle spese del comune per le risorse umane: assessori, consiglieri, collaboratori, dirigenti e manager, tecnici, professionisti, membri degli staff e quanto ognuno di loro guadagna complessivamente, indicando gli altri emolumenti che percepisce per incarichi di vario tipo, per pensioni, vitalizi, ecc.,

– l’inventario del debito pubblico (elenco delle banche e delle finanziarie con i quali l’AC ha contratto mutui e prestiti, importi, durata e rate, debito residuo).

Nello stendere questi inventari, le Amministrazioni devono “partire dall’alto”: ossia partire dai vertici, dai grandi dirigenti e grandi consulenti, accorpando i dati per tipo e quantità di servizio o prestazione, per categorie e per compensi complessivi. Bisogna indicare anche (oltre ai compensi annui, i bonus, gli extra e i “servizi”) i privilegi di cui godono, se ne godono, i consulenti, i dirigenti, gli amministratori delegati: appartamento, auto blu, autista, segretaria personale, premi, spese rimborsate, ecc.

Se non si seguono questi criteri e, quindi, se si mettono sullo stesso piano i dipendenti precari dell’Amministrazione e i membri dei consigli di amministrazione delle aziende pubbliche oppure il collaboratore (“amico degli amici” o figlio, nipote di…) che percepisce più di 200 mila euro l’anno per un incarico ad hoc (spesso fittizio in tutto o in parte), nei fatti si mettono a disposizione dei cittadini una montagna di dati dove si possono camuffare i grandi privilegi. Si alimenta inoltre un egualitarismo falso e ingannevole tra esponenti della borghesia e masse popolari, che copre i grandi privilegi e le grandi speculazioni e fa ricadere le responsabilità sulle “ultime ruote del carro” alimentando la guerra tra poveri.

I lavoratori dell’amministrazione (a partire dalla sinistra delle organizzazioni sindacali) e le organizzazioni popolari vanno mobilitati per la verifica e il completamento dei dati, per individuare e denunciare lo spreco, i privilegi e l’affarismo” (Amministrazioni Locali d’Emergenza e trasparenza- dalle Tesi approvate al III Congresso del P.CARC- novembre 2012).

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