Il 12 maggio a Roma si è svolta l’assemblea nazionale del Sindacato è un’Altra Cosa (SAC) che prendeva spunto dalla dichiarazione di “incompatibilità” pronunciata dal Collegio Statutario Nazionale della CGIL contro i delegati FIOM che hanno dato vita al Coordinamento dei lavoratori FCA del Centro-sud e dal “licenziamento” da funzionario della FIOM di Sergio Bellavita, portavoce nazionale del SAC.
Durante l’assemblea alcuni delegati hanno occupato la sede della CGIL: un’iniziativa che andava nella direzione di rilanciare l’offensiva contro il sistema Marchionne. Il grosso dei dirigenti del SAC ha lasciato cadere l’occasione (usandola per ottenere un incontro con la Camusso e smobilitando appena quest’ultima ha dato l’ok per l’incontro… durante il quale la Camusso ha ovviamente risposto picche alle loro richieste) e dopo l’assemblea si sono divisi tra chi è per restare nella CGIL (a loro volta divisi tra chi è per mantenere il SAC e chi è per scioglierlo) e chi è per andarsene (dividendosi tra chi è per entrare nell’USB, chi è per andare un altro sindaco di base e chi è per dare vita a un nuovo sindacato). La questione reale però non è la collocazione organizzativa: tutti i sindacati, sia quelli di regime sia quelli conflittuali, sono in crisi e lo saranno sempre di più finché non andranno oltre il terreno rivendicativo e si impegneranno nella trasformazione dell’ordinamento politico ed economico del paese. La questione reale è rafforzare ed estendere su grande scala l’offensiva contro il progetto di Marchionne, di Renzi e di tutta la borghesia, farne una campagna per promuovere la mobilitazione degli operai e degli altri lavoratori a organizzarsi in tutto il paese. In questo modo è possibile non solo liquidare la controffensiva di Landini e della destra FIOM e CGIL, ma anche impedire l’accordo sciagurato della FIOM con Federmeccanica.
Raccogliere con incontri locali e un convegno nazionale gli operai che si sono già schierati; creare dieci, cento, mille coordinamenti operai e popolari come quello dei lavoratori FCA del Centro-sud; rendere impossibile a Marchionne e Renzi continuare a governare; costituire un governo d’emergenza popolare: questa deve essere la linea perseguita da tutta la sinistra del movimento sindacale, dei sindacati di regime e dei sindacati conflittuali, la linea di tutti gli operai avanzati. Questa è la linea di salvezza per il nostro paese e di solidarietà con le masse popolari del resto del mondo.
Fare l’opposizione del re o promuovere la guerra contro il re? La prima ondata della rivoluzione proletaria ha fatto fare un grande salto in avanti in tutti i paesi imperialisti al movimento sindacale. In ogni paese imperialista i sindacati sono diventati organizzazioni potenti e diffuse. Ma proprio perché la prima ondata si è esaurita senza aver instaurato il socialismo, con l’inizio della nuova crisi generale del capitalismo i sindacati sono stati usati dai capitalisti e della loro autorità per imporre ai lavoratori di “restituire una parte di quello che avevano conquistato”, per dire le cose con le parole usate all’inizio della crisi generale da Benvenuto, all’epoca uno dei capi della UIL. Compatibilità con le condizioni reclamate dai capitalisti e concertazione con le loro organizzazioni e le loro autorità sono diventati in tutti i paesi imperialisti, sia pure in misure diverse, regole di condotta per i sindacati di regime.
Contro questo nuovo corso sono sorti i sindacati di base, i sindacati alternativi e conflittuali e contro questo corso si è sviluppata opposizione anche tra i funzionari e gli attivisti dei sindacati di regime. Finché si tratta di fare opposizione ai sindacati di regime, i sindacati alternativi e di base hanno in un certo senso buon gioco: difendono quello che per i lavoratori è diventato abituale e giusto. Questa condizione viene meno man mano che i sindacati di base, alternativi o conflittuali cessano di essere fenomeni di nicchia e diventano organismi che riguardano ampie masse. Allora si pone anche per loro, nonostante la loro storia, la contraddizione tra restare sul terreno puramente rivendicativo o investire con la loro attività l’ordinamento sociale da cui dipendono le condizioni dei lavoratori e dove è la fonte della crisi generale del capitalismo che sconvolge l’assetto produttivo da cui i lavoratori dipendono.
È questa la contraddizione di fondo che si manifesta in tutto il movimento sindacale e in ogni organizzazione sindacale, anche se in forme e in misure diverse. Da qui vengono la scissione nell’USB, lo smottamento nella direzione del Sindacato è un’Altra Cosa, la maretta nella CUB, le espulsioni dal SiCobas, l’uscita di Federico Giusti dalla Confederazione Cobas.
Le due linee che si scontrano in campo sindacale. Anche in Italia come in tutti i paesi imperialisti la borghesia mira sistematicamente a ridurre salari e pensioni e a eliminare posti di lavoro, diritti e servizi pubblici (istruzione, salute, case popolari, trasporti, ecc.) che le masse popolari le hanno strappato durante la prima ondata della rivoluzione proletaria, nella prima parte del secolo scorso. I gruppi imperialisti europei e quelli americani si riarmano, portano in tutti i paesi oppressi guerre, miseria ed emigrazione, devastano la terra intera e risucchiano tutta l’umanità nella crisi generale del loro sistema. I sindacati possono e devono dare il loro contributo a cambiare il corso delle cose! Anche per sviluppare con buoni risultati la lotta sul terreno sindacale, due sono le questioni su cui oggi è decisivo che ogni sindacato segua una linea giusta.
La discriminante tra compatibilità e conflitto. Oggi ogni sindacato che subordina le rivendicazioni dei lavoratori ai bisogni dei padroni e dei loro governi o anche solo cerca di tener conto delle esigenze che loro proclamano, va per forza di cose contro i lavoratori e per mantenere il suo seguito deve anche imbrogliarli. Sindacati di regime e padroni collaborano ad abolire la libertà di organizzazione sindacale – a questo servono il Testo Unico sulla Rappresentanza (TUR) del 10 gennaio 2014 e gli accordi connessi e derivati: per avere nelle aziende solo sindacati controllati dai padroni o almeno ricattabili. Organizzandosi in ogni azienda senza distinzione di sigle sindacali, i lavoratori mandano a monte i piani padronali.
Nessun sindacato deve limitare la sua attività al terreno sindacale. La crisi generale del capitalismo imperversa, nessuna azienda si salva da sola e i padroni fomentano la guerra tra lavoratori. Un sindacato che si limita ad avanzare rivendicazioni, nel migliore dei casi ottiene risultati utili, certo, ma precari. Un sindacato che limita la sua attività al terreno sindacale, si riduce alla linea del meno peggio e al peggio non c’è limite. Già alcuni sindacati che pur vogliono essere conflittuali (Confederazione Cobas, USB) hanno preso la via del TUR. Ogni sindacato deve contribuire a mobilitare i lavoratori perché si organizzino, perché gli organismi aziendali si coordinino con gli organismi territoriali e insieme si coalizzino fino a rendere il paese ingovernabile ai vertici della Repubblica Pontificia e a costituire un loro governo che prenda in mano l’intero paese. Non bisogna aspettare che il padrone dichiari la crisi per mettersi in movimento. La forza dei lavoratori è maggiore proprio nelle aziende che il padrone vuole ancora far funzionare. Non occorre essere in tanti per incominciare: l’importante è avere una linea giusta, che risponde alle esigenze degli altri lavoratori.
CCNL dei metalmeccanici: partecipare in massa agli scioperi e alle manifestazioni regionali del 9, 10 e 15 giugno indetti dalla FIOM insieme alla FIM e alla UILM
La battaglia per il CCNL riguarda tutti i lavoratori e il resto delle masse popolari: non è una “vertenza sindacale”, ma una battaglia della guerra per salvare le aziende, le condizioni di vita e di lavoro e il paese intero, per cacciare Renzi con la sua cricca e costituire il Governo di Blocco Popolare. L’esito della battaglia per il CCNL è strettamente legato allo sviluppo della lotta per cambiare il paese!