Nelle scorse settimane un operaio di un’azienda dell’hinterland milanese, la Mattei di Vimodrone, ha presentato la sua domanda di candidatura nel P.CARC. Il compagno era stato negli anni passati abbonato a Resistenza, ma ha fatto esperienze politiche in altri partiti e in altre organizzazioni prima di riprendere un rapporto, questa volta più stretto, con noi. Discutendo con lui della sua esperienza è nata l’idea di questa intervista come strumento per condividere con chi la leggerà, magari altri operai con la falce e il martello nel cuore, esperienze che di certo sono comuni e riflessioni che lui ha fatto e che altri possono fare. Per arrivare alla conclusione che il posto “naturale” per gli operai e i lavoratori che vogliono trasformare la società è il partito comunista e che nel partito comunista trovano strumenti, metodi e un senso superiore al loro generoso attivismo fra i compagni di lavoro, nelle lotte, nelle mobilitazioni.
Ma questa intervista parla anche a chi, fra operai e lavoratori avanzati, vede e sente che cambiare la società è necessario, ma non ha esperienza, non si è fino ad oggi organizzato e magari pensa di non capire tanto di politica… A questi diciamo, attraverso questa intervista, che comunisti non si nasce, ma si diventa.
Partiamo dal tuo percorso: fin da giovane attivista politico, prima; RSU e attivista sindacale, poi. Cosa ti hanno insegnato queste esperienze? Cosa ti sei reso conto che mancava?
Ho iniziato a fare politica quando avevo circa 18 anni, militando come molti altri compagni della mia età nei Giovani Comunisti del PRC.
Arrivo da una famiglia proletaria e comunista, i miei genitori hanno alle spalle anni di attività sindacale come delegati: in fabbrica mio padre, mia madre prima in fabbrica e poi come operatrice in una casa di riposo.
Il mio dichiararmi comunista, inizialmente, è stato dunque una cosa spontanea: semplicemente condividevo gli ideali che i miei genitori mi avevano trasmesso. Ma sentivo maturare a poco a poco l’esigenza di dare una base teorica e un impianto ideologico a questi ideali, sentivo il bisogno di dar loro le gambe su cui camminare e svilupparsi. Iniziai a studiare i testi di Marx e di Lenin, passando da Stalin e Gramsci per approdare infine a quelli di Mao. Più approfondivo i miei studi e più mi rendevo conto che il partito in cui militavo era tutto tranne che comunista e rivoluzionario.
Così nel 2003 decisi di uscirne per non rientrarci più: il bagaglio ideologico che ormai avevo maturato era tale per cui adesso il dichiararmi comunista aveva dietro delle basi scientifiche che mi permettevano di capire e riconoscere chi comunista era solo a parole e chi lo era effettivamente, nei fatti.
Parallelamente all’attività politica ho sempre portato avanti anche quella sindacale, convinto che la classe lavoratrice, in particolare la classe operaia, debba essere organizzata per diventare avanguardia della rivoluzione. Ovunque ho lavorato sono stato eletto nella RSU e intorno a me sono sempre riuscito ad aggregare un buon numero di lavoratori in occasione degli scioperi nazionali e di quelli interni; anche in aziende dove il sindacato e l’idea stessa dello sciopero non erano mai riuscite a varcare i cancelli.
Ma anche nell’attività sindacale, come in quella politica, mi sono scontrato con delle difficoltà strutturali che, di fatto, mi hanno impedito di dispiegare più in profondità il rapporto coi lavoratori e il mio modo di concepire l’attività sindacale inquadrata nell’ottica rivoluzionaria. La limitazione del lavoro all’interno di gabbie burocratiche è connaturata all’identità stessa del sindacato: se questo deve difendere gli interessi dei lavoratori senza però mettere in discussione la struttura della società borghese, per forza di cose anche il coinvolgimento, la partecipazione e la mobilitazione dei lavoratori deve necessariamente piegarsi a questa logica suicida.
Quali sono i motivi che ti hanno spinto a scrivere la lettera di candidatura al P.CARC?
Prima di tutto, ci tengo a precisarlo, il mio avvicinamento al P.CARC è stato prettamente ideologico e non tramite conoscenze o amicizie, come spesso succede nei partiti della sinistra borghese e pseudo rivoluzionaria.
E’ vero che qui ho trovato delle compagne e dei compagni capaci di seguirmi nel mio percorso di formazione, ma questo è avvenuto in un secondo momento: la mia prima adesione è stata dettata dall’impostazione ideologica del Partito, per la sua concezione comunista del mondo, per la sua applicazione nella realtà del marxismo-leninismo, arricchito dallo sviluppo che di questo ne ha dato il maoismo come evoluzione superiore del pensiero comunista.
Ma, soprattutto, ho aderito alla linea strategica della Carovana del (nuovo)PCI: l’unica soluzione oggettivamente valida per instaurare il socialismo in un paese imperialista. Per la prima volta da quando ho iniziato a fare politica ho visto la concreta possibilità di arrivare a costruire un sistema sociale non più basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
E a differenza di tutte le altre elaborazioni teoriche affette da dogmatismo, quella del P.CARC è ancorata alla realtà perché di questa ne dà un’interpretazione coerentemente materialistica, come le soluzioni che delinea per la costruzione del processo rivoluzionario.
Nello specifico ciò che mi ha “conquistato” della linea del Partito sono state principalmente due questioni:
– la concezione della rivoluzione come qualcosa che non scoppia ma che si deve costruire, costruendo il nuovo potere in ogni ambito sociale e di lavoro, attraverso l’applicazione della strategia della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata. Questo modo di concepire il processo rivoluzionario mi ha aperto gli occhi anzitutto su quanto sia errata la linea delle altre organizzazioni comuniste che aspettano quasi fatalisticamente l’arrivo dell’ora X per far scoppiare la rivoluzione e poi sul fatto che se la rivoluzione si costruisce, allora ognuno di noi è sollecitato a mobilitarsi, a responsabilizzarsi e a dare il proprio contributo alla causa, senza quindi cadere nell’attendismo, ma rinunciando alla “delega” per riportare in primo piano il protagonismo proletario.
– La Riforma Morale e Intellettuale, per essere effettivamente comunisti non soltanto durante le manifestazioni, i picchetti e gli scioperi, ma anche nei rapporti con gli altri e, prima di tutto, all’interno delle nostre stesse famiglie. Una riforma che permette quindi di essere coerentemente comunisti a “tempo pieno” nella nostra vita, perché la costruzione di un mondo nuovo passa necessariamente prima per la formazione di un “uomo nuovo”.
Anche se la tua relazione con il Partito è molto recente, è cambiato il tuo approccio rispetto all’attività che svolgi e al ruolo che hai nei confronti dei tuoi compagni di lavoro? In cosa? Come?
Pur non essendo più delegato, in fabbrica sono rimasto un riferimento politico e sindacale per i miei compagni di lavoro. Ho sempre cercato di tenere unito il gruppo in caso di scioperi e manifestazioni e di mobilitare al massimo tutte le forze disponibili ma, non avendo una linea politica, il mio lavoro veniva fatto senza metodo, senza comprendere quali problematiche prendere in considerazione come prioritarie, e in definitiva veniva vanificato dal prevalere della linea sindacale ufficiale.
Il lavoro che i compagni del P.CARC mi hanno indicato e incitato a intraprendere è quello della creazione di un’organizzazione operaia, in quanto siamo noi lavoratori che abbiamo il dovere di interessarci in prima persona di ciò che succede in fabbrica, senza delegare questo compito alle sole RSU o alla direzione aziendale che poi ci racconta solo una sua versione della realtà. Siamo noi lavoratori che dobbiamo organizzarci all’interno della fabbrica per costruire un potere alternativo a quello del padrone capace di risolvere i problemi che i lavoratori solitamente delegano alla RSU o alla direzione; un potere capace anche di prevenire il concretizzarsi o l’acutizzarsi di determinate situazioni: crisi aziendali, CIG, mobilità, ecc…
Sicuramente il lavoro di costruzione di un’organizzazione operaia ha amplificato notevolmente il campo di intervento in fabbrica e a me, e per ora a quei pochi che ne prendono parte, ha permesso di cambiare la concezione rispetto alla delega: stiamo portando i delegati a fare ciò che noi abbiamo individuato come prioritario per i lavoratori, proponendo noi per primi delle possibili soluzioni e spingendo poi la stessa RSU a farle proprie e a proporle al tavolo della trattativa.
Quali passi state compiendo per costruire un’organizzazione operaia? Quali difficoltà state incontrando?
Per ora siamo ancora un piccolo nucleo di operai con diversi livelli di coscienza, dunque siamo nella prima fase, quella in cui si lavora per accumulare le forze.
Abbiamo iniziato a muoverci raccogliendo più dati possibili sulla situazione aziendale, su come si lavora, sulle problematiche dei reparti, sulla composizione della forza-lavoro e su questo abbiamo aggregato alcuni lavoratori che di fatto contribuiscono col loro impegno a costruire l’organizzazione operaia, aggregandosi attorno a un progetto di cui hanno capito il significato e ne condividono il metodo.
Il processo che stiamo promuovendo si basa sull’individuazione di un problema, la mobilitazione del lavoratori per segnalarlo, la raccolta delle segnalazioni che ci permette di avere il polso della vita e del lavoro in fabbrica, l’analisi dei dati raccolti e l’elaborazione di una possibile soluzione che si basa sulla mobilitazione dei lavoratori stessi. Con questo metodo si incentiva il lavoratore a farsi carico del proprio problema e di quello degli altri compagni di lavoro e lo si avvicina a una linea di intervento di cui lui stesso può verificare la giustezza nella prassi quotidiana o rettificare ciò che vi è di sbagliato.
Abbiamo in preparazione un questionario interno, necessario per avere una panoramica generale e più approfondita su alcune questioni essenziali: gestione aziendale, sicurezza, lavoro della RSU.
Per redigerlo, i compagni del Partito ci hanno portato l’esempio di quello degli operai della CSO di Firenze e noi l’abbiamo modificato secondo le nostre esigenze. Siamo anche riusciti a farlo accettare all’unanimità alla RSU, che lo ha ritenuto uno strumento effettivamente valido per raccogliere informazioni da valorizzare nelle trattative aziendali…
Il lavoro da fare è veramente complesso ed esteso. Finché si delegano le soluzioni dei nostri problemi ad altri, non si riesce a vedere quanti “appigli” ci siano in realtà per costruire qualcosa e cambiare il corso delle cose anche all’interno della fabbrica.
Vuoi fare delle riflessioni conclusive?
La classe operaia non si è estinta come hanno sostenuto per anni i teorici della scuola di Francoforte e ora gli pseudo marxisti delle varie “nuove sinistre”, tutti impegnati a ricercare un nuovo soggetto rivoluzionario che prenda il posto del proletariato industriale: si va dai lavoratori autonomi, ai precari genericamente intesi, passando per gli immigrati, i lavoratori cognitivi e finendo con gli studenti.
E’ vero che la classe operaia è stata frammentata con lo smantellamento delle grandi fabbriche, ma il processo produttivo si è talmente smembrato in migliaia di piccole aziende e di nuovi rami produttivi che ora l’estrazione di plusvalore per la valorizzazione del capitale si esercita attraverso lo sfruttamento di nuove figure operaie che, assieme al classico proletariato industriale, contribuiscono a produrre merci e servizi, a incrementare ciò che viene comunemente chiamata l’economia reale.
Quindi no, noi operai non ci siamo estinti, ma ci siamo indeboliti politicamente come classe. Questo è innegabile, ciò che abbiamo perduto è la consapevolezza di essere oggi il motore della società borghese su cui si fonda la ricchezza dei padroni che ci sfruttano e domani il motore della rivoluzione e della costruzione della società socialista.
Ciò che abbiamo smarrito è l’idea che il socialismo e il comunismo non solo sono necessari per cambiare radicalmente la vita, ma anche oggettivamente possibili.
Quindi… riappropriamoci di ciò che è nostro, di ciò che fa parte della nostra storia politica, culturale e ideologica perché il nostro modo di vedere il mondo è e deve essere radicalmente diverso da quello della borghesia e del clero: riappropriamoci di una concezione comunista del mondo che ci permetta di costruire passo dopo passo la rivoluzione socialista in un paese imperialista. Coscienti del fatto che la classe operaia deve dirigere tutto!