Le radici della crisi politica internazionale. Dal “non ci saranno più guerre” al “siamo in guerra”

Nella fase imperialista del capitalismo, in ogni paese lo Stato è espressione dei gruppi imperialisti predominanti che attraverso di esso perseguono due obiettivi: imporre i loro interessi sulla nazione (in particolare a danno delle masse popolari e secondariamente sui gruppi imperialisti concorrenti); imporre i loro interessi a livello internazionale a scapito di altri paesi, i cui Stati a loro volta sono espressione dei gruppi imperialisti dominanti in quel paese.

Le distruzioni della prima e della seconda guerra mondiale, che hanno posto fine nei paesi imperialisti alla prima crisi generale del capitalismo, sono state condizione indispensabile per l’avvio di una fase di nuova accumulazione del capitale. Da una parte gli affari che andavano bene e dall’altra la formazione del campo dei primi paesi socialisti, combinandosi, furono la base materiale del capitalismo dal volto umano: grazie alla forza e all’influenza del movimento comunista e per la paura della borghesia che esso guidasse alla rivoluzione anche le masse popolari dei paesi imperialisti, la classe dominante dei paesi imperialisti fu obbligata a concedere alle masse popolari, protagoniste di dure e gloriose lotte, le conquiste di civiltà e benessere e i diritti politici e civili. Dal canto loro i gruppi imperialisti predominanti paese per paese, sulla scorta di una potente spinta allo sviluppo delle forze produttive e del loro carattere collettivo (vedi articolo Il comunismo è il movimento oggettivo verso cui tende il capitalismo) si spartivano la grande massa di profitti prodotti dallo sviluppo del capitalismo (secondo una rigida gerarchia che vedeva il primato degli imperialisti USA a livello mondiale) e giuravano e spergiuravano che non ci sarebbero state più guerre, anche se imperversavano guerre e massacri: dal Vietnam al Guatemala (1954), dall’Indonesia (1965) al Cile (1973).

Il capitalismo dal volto umano è esistito compiutamente fino all’inizio della seconda crisi generale. Dal 1975 ad oggi (rottura degli accordi di Bretton Woods nel 1971, crisi petrolifera nel 1973, ecc.) la marcia dello sviluppo, dell’accumulazione, della valorizzazione e della “democrazia progressiva” si è prima rallentata, poi fermata e infine, con l’inizio della fase acuta e terminale della seconda crisi generale nel 2008, invertita. Proporzionalmente alle difficoltà dei capitalisti di valorizzare il capitale e all’infezione revisionista nel movimento comunista, dal 1975 a oggi le conquiste delle masse popolari sono cessate e poi sono state progressivamente attaccate e smantellate; i margini di profitto per i capitalisti si sono ristretti e i gruppi imperialisti predominanti paese per paese sono entrati in una concorrenza via via più feroce per scaricare gli uni sugli altri (e tutti contro le masse popolari) gli effetti della crisi.

Dal 1975 a oggi molte cose sono cambiate.

– Il crollo dei primi paesi socialisti e la disgregazione del vecchio movimento comunista hanno reso le masse popolari facile preda delle manovre della borghesia;

– senza il campo dei primi paesi socialisti anche uno dei principali collanti dei gruppi imperialisti è venuto meno, sono cresciuti i motivi e sono state favorite le condizioni per la loro reciproca e progressiva contrapposizione;

– i gruppi imperialisti USA sono ancora oggi il gruppo predominante a livello mondiale, ma sono anche quelli che hanno pagato conseguenze più pesanti della crisi e il tradizionale ruolo di gendarme del capitalismo nel mondo si è via via tramutato nel ruolo di destabilizzatore degli equilibri economici e politici nel mondo (aggressioni, saccheggi, ingerenze, cospirazioni, colpi di mano, forzature e arbitri);

– la UE, nata, fra l’altro, come barriera nell’Europa occidentale al campo dei paesi socialisti dell’Europa orientale, è progressivamente diventata centro del potere finanziario, monetario, economico, speculativo e politico dei gruppi imperialisti franco-tedeschi, diretti concorrenti degli imperialisti USA.

Siamo ai giorni nostri. È impossibile capire cosa sta succedendo oggi senza la premessa che abbiamo fatto e senza la precisazione che segue. Gli imperialisti USA e gli imperialisti UE sono concorrenti e hanno interessi contrapposti, ma sono costretti a convivere, anche se la crisi che si aggrava alimenta la contrapposizione dei loro rispettivi interessi.

Per gli imperialisti USA i gruppi franco-tedeschi sono un impiccio, perché minano il loro ruolo dominante nel mondo. Ma non possono liberarsene perché nell’intrigo economico, finanziario e politico se la UE va a picco, se gli affari dei gruppi imperialisti franco-tedeschi vanno a picco, vanno a picco anche gli imperialisti USA.

Per gli imperialisti franco-tedeschi gli imperialisti USA sono una cappa oppressiva come, nelle famiglie malavitose, per un capace e audace faccendiere lo è un fratello maggiore enormemente più forte fisicamente, egoista, ingordo, scapestrato e infame. Il primo ha interesse a fare le scarpe al secondo e a conquistare il suo giro di affari, ma non osa ribellarsi. Il secondo ha interesse a tenere al suo servizio, ma sottomesso, il primo, con cui condivide parte del suo giro di affari e su cui scarica il più possibile le responsabilità degli intoppi. Ma non può schiacciarlo e liberarsene nonostante questo continui a tentare di impossessarsi di una parte crescente dei proventi delle imprese criminose che compiono insieme e osi addirittura avviare imprese criminali in proprio.

La UE è terreno di questa battaglia, le masse popolari europee e americane sono ostaggio e vittima di entrambi, l’emergenza immigrazione, l’emergenza terrorismo, il debito pubblico fuori controllo degli Stati, le conseguenze delle sanzioni alla Russia, gli scandali come i Panama Papers, la pubblicazione delle conversazioni private, delle intercettazioni e delle spiate, le minacce della Gran Bretagna di uscire dalla UE sono armi e strumenti di ricatto e pressione. Come un cane che si morde la coda, la classe dominante gira in tondo vorticosamente. La crisi avanza e i margini di profitto scendono, gli effetti della crisi aumentano e le soluzioni che autorità e istituzioni assumono causano problemi peggiori del male che dovevano curare.

Il punto di rottura di questo vortice non lo decidono Obama (o il suo successore) né la Merkel, né Draghi né nessun altro dei funzionari del capitale. Lo decidono gli affari. Esattamente come per fare fronte alla prima crisi generale del capitalismo per la borghesia imperialista fu necessario ricorrere alla distruzione e ai milioni di morti provocati da due guerre mondiali, la classe dominante userà la stessa soluzione per risolvere la seconda. Nel giro di 60 anni la borghesia è passata dal “mai più guerra” a “la guerra è necessaria per difendere la democrazia”, al “siamo in guerra” di Marchionne e Bergoglio. Dietro quella che loro chiamano democrazia e ai mille ostacoli che pongono alla comprensione delle cose da parte delle masse popolari, ci stanno, banalmente e semplicemente, gli interessi, il bisogno di profitto, la necessità di valorizzare il capitale.

carc

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