La lotta contrattuale, la lotta di classe e la rivoluzione socialista
Due avvenimenti del mese di aprile sintetizzano bene il processo in corso nel movimento sindacale: lo sciopero del 20, con un’ampia e diffusa partecipazione dei metalmeccanici, e il licenziamento comunicato il 7 dalla segreteria nazionale FIOM al suo funzionario Sergio Bellavita, distaccato sindacale da circa 15 anni e portavoce nazionale dell’area Il Sindacato è un’Altra Cosa (SAC) della CGIL. Sono due avvenimenti senza proporzione tra loro per il numero di persone che coinvolgono, ma si combinano come sintesi di due aspetti complementari della lotta in corso nel movimento sindacale che ha come oggetto del contendere il ruolo del movimento sindacale stesso nella fase attuale.
Il primo avvenimento riguarda la FIOM come controparte dei padroni. La FIOM è il sindacato più importante del nostro paese: non per il numero di iscritti, ma per il ruolo che la categoria dei metalmeccanici ha nella lotta di classe. Chi per la concezione che ha e per gli obiettivi che si pone è chiuso nell’orizzonte della società borghese e non vede oltre questa, obietterà che ci sono sindacati ben più combattivi e sindacati capaci di portare i lavoratori della propria categoria a strappare risultati ben migliori anche in questa stagione in cui le proteste e le lotte rivendicative danno pochi o nessun risultato (e il pensiero corre al SiCobas e ai lavoratori della logistica). Ma noi comunisti guardiamo più lontano, alla lotta di classe che ha come posta il potere: qui l’obiettivo è l’instaurazione del socialismo e a questo fine la FIOM è il sindacato di gran lunga più importante appunto per il ruolo che ha la categoria dei metalmeccanici.
Le associazioni padronali (Federmeccanica e Assistal: migliaia di aziende associate sparse in ogni angolo del paese che complessivamente sfruttano più di 1.6 milioni di dipendenti) e i due sindacati dichiaratamente e organicamente concertativi e collaborativi (FIM e UILM) da una parte e la FIOM dall’altra sono arrivati alla conclusione di rinnovare assieme il CCNL della categoria. L’ultima volta era successo 8 anni fa, all’inizio della fase acuta e terminale della crisi generale. Da allora la FIAT diretta da Marchionne ha lasciato (oggi si chiama FCA e per i suoi dipendenti in Italia ha un contratto a parte firmato da FIM, UILM, FISMIC, UGL, e Associazione Quadri) e a causa delle molte aziende chiuse o delocalizzate gli operai metalmeccanici sono quasi 400 mila in meno. Sono comunque ancora di gran lunga la categoria politicamente più importante della classe operaia italiana, classe che, ora anche le teste d’uovo della sinistra borghese in numero crescente lo riconoscono, è tutt’altro che scomparsa. Quando la classe operaia scende in lotta sul terreno politico, tutte le masse popolari la seguono e gli operai metalmeccanici sono più del 20% dell’intera classe operaia e di gran lunga la categoria più organizzata, con un livello di coscienza e un prestigio superiori: l’ultima dimostrazione l’abbiamo avuta nel 2010 con la mobilitazione culminata nella manifestazione nazionale del 16 ottobre 2010 a Roma. Da qui la grande importanza che la lotta contrattuale in corso ha per tutte le masse popolari e per noi comunisti. Certo, ufficialmente si tratta solo di una lotta contrattuale, ma una serie di circostanze le danno un’importanza che va ben oltre lo scontro contrattuale.
La posta è alta. Per i vertici della Repubblica Pontificia si tratta di far sancire contrattualmente dalla più importante categoria di operai la fine del contratto nazionale a favore dei contratti aziendali e corporativi, la fine del diritto di sciopero come era stato stabilito dalla Costituzione e imposto dalle lotte degli anni ’70 e la fine di vari altri diritti costituzionali e conquiste normative e salariali, che nel nostro paese non sono ancora completamente cancellate. La sottomissione dei metalmeccanici spianerebbe la via alla sottomissione delle altre categorie e al dilagare contro tutte le masse popolari (dai pensionati agli studenti, dalla sanità alle donne e alla casa) dell’eliminazione delle conquiste di civiltà e di benessere strappate quando la prima ondata della rivoluzione proletaria era forte nel mondo. Il progredire della crisi generale ha portato la classe dominante a caricare di questo ruolo la contrattazione in corso. Marchionne ha aperto la via al resto della borghesia imperialista. Fabio Storchi e Stefano Franchi, i capi di Federmeccanica, se ne sono fatti i portavoce.
Proprio l’importanza della posta in gioco mette la FIOM in una situazione imbarazzante. Senza la sua partecipazione, la contrattazione in corso non avrebbe il ruolo che i padroni le hanno attribuito perché la FIOM è di gran lunga il più autorevole sindacato dei metalmeccanici. Perfino Marchionne ha dovuto ammetterlo. Landini ha riconosciuto che “Marchionne ha salvato la FIAT” (eliminando due terzi degli operai che aveva in Italia, ma su questo sorvola) e Marchionne ha riconosciuto che senza la FIOM i suoi collaboratori sindacali (FIM, UILM, FISMIC, UGL, AQ) gli servono a poco: Storchi e Franchi hanno quindi ammesso la FIOM al tavolo delle trattative e hanno posto apertamente in campo l’obiettivo che la FIOM doveva ingoiare.
Ma ingoiare l’obiettivo padronale non è facile perché si tratta di farlo ingoiare agli iscritti e al resto degli operai avanzati. Non che negli altri sindacati di regime, collaborativi e concertativi, non ci siano contestatori. Ma sono individui isolati, mosche bianche sostenute da un retroterra culturale e morale e inserite in una rete di relazioni di gran lunga più povera e arretrata di quella in cui si ritrovano la gran parte degli iscritti alla FIOM.
Il secondo avvenimento, il licenziamento di Bellavita, è la punta dell’iceberg del processo che la FIOM deve compiere al suo interno per far ingoiare agli operai che la seguono e ai suoi stessi portavoce nelle fabbriche (funzionari locali, RSA, RSU, RLS, ecc.) l’obiettivo padronale. È un processo di cui sono protagonisti Mimmo Destradis, l’operaio della FCA di Melfi la cui candidatura al Comitato Centrale è stata bocciata nel gennaio 2016; i rappresentanti FIOM degli operai di Termoli e di Melfi dichiarati “incompatibili” in marzo per la loro partecipazione al “coordinamento dei lavoratori FCA del Centro-Sud” (costituito il 1° maggio 2015) che coinvolge anche operai della Val di Sangro (Chieti) e di Cassino (Frosinone); i numerosi organismi operai di fabbrica come il comitato degli iscritti di cui parla Rugi nell’intervista che pubblichiamo sotto: quelli più conosciuti sono alla SAME di Treviglio (BG) e alla Piaggio di Pontedera (PI), ma ne esistono decine da un capo all’altro d’Italia, da Taranto a Piombino, dal Veneto al Piemonte. Fanno parte del processo anche le argomentazioni da azzeccagarbugli con cui la segreteria nazionale FIOM con le note del 13 e del 22 aprile cerca di dimostrare che il licenziamento di Bellavita formalmente non è un licenziamento, ma un virtuoso “avvicendamento nei distacchi sindacali” e che il coordinamento dei lavoratori FCA del Centro-Sud, cui partecipano iscritti a FIOM, USB, FLMU/CUB, Slai COBAS e operai senza sindacato, è di fatto un sindacato concorrente della FIOM, quindi è inammissibile l’appartenenza a entrambe le organizzazioni.
Nel concreto, nella lotta per isolare i dissidenti e disciplinare gli operai, Landini e i suoi finora non hanno ottenuto successi anche se contro i dissidenti vantano due risultati: 1. aver costretto i padroni, che l’avevano esclusa per anni, a convocare nuovamente la FIOM al tavolo delle trattative dove vogliono liquidare il CCNL; 2. la vasta partecipazione dello sciopero del 20 aprile che hanno convocato solo dopo cinque mesi di inutili trattative con Federmeccanica e Assistal e con modalità che dovevano portare a una ridotta adesione. Se l’adesione fosse stata scarsa, Landini & C l’avrebbero usata per isolare i dissidenti: “vedete, hanno ragione Camusso e il suo amico Sacconi: le masse non ci seguono, gli operai non sono disposti a lottare; bisogna accontentarsi”. Ora sono invece costretti a far valere la vasta adesione contro i padroni e i loro collaboratori che vogliono la pace sociale nelle fabbriche: “noi potremmo pure ingoiare, ma gli operai non seguirebbero neanche noi”.
Sono due risultati che gli operai avanzati useranno, devono usare, contro la tendenza di Landini & C a ingoiare e far ingoiare, inzuccherandolo un po’, l’amaro boccone confezionato dai padroni. I padroni hanno dovuto chiamare la FIOM perché hanno bisogno che sia la FIOM a ingoiare, perché mesi di sforzi d’ogni genere compiuti da Marchionne per cacciarla dalle “sue” fabbriche hanno dimostrato che cresce l’adesione degli operai alla FIOM che resiste e che i sindacati collaborativi non bastano. I padroni non possono fare a meno della FIOM, la FIOM non può fare a meno degli operai. Ma in definitiva lo scontro è tra padroni e operai.
La conclusione che tira dall’esito dello sciopero del 20 aprile e dal ritiro del distacco sindacale a Bellavita chi guarda alla lotta di classe e all’instaurazione del socialismo è che nella FIOM non solo è aperta, ma procede molto bene per noi comunisti la partita per valorizzare la sua lunga e gloriosa storia a vantaggio della costituzione del Governo di Blocco Popolare e dell’instaurazione del socialismo.
Lasciare nella FIOM campo libero a Landini & C. è fare un regalo ai padroni. Gli oppositori alla linea del meno peggio non hanno ancora molto seguito, sono ancora una minoranza nella FIOM. Ma quanto più Landini & C. perseguitano i dissidenti, tanto più perdono terreno. Ma cosa dovrebbe fare quindi la FIOM? Svolgere il ruolo che tutti i sindacati possono svolgere per promuovere la mobilitazione e l’organizzazione degli operai. Il ruolo indicato efficacemente dal (n)PCI nel comunicato che ha diffuso il 14 aprile: “la crisi del movimento sindacale è l’effetto del suo asservimento al regime della Repubblica Pontificia. Non si rinnova il movimento sindacale passando da un sindacato all’altro o creando nuovi sindacati: il rinnovamento si realizza mobilitando i lavoratori a organizzarsi per costituire e imporre un governo d’emergenza delle masse popolari organizzate. I sindacati non devono solo promuovere rivendicazioni e conflitto, ma servirsi anche delle rivendicazioni per mobilitare i lavoratori a organizzarsi e costituire il Governo di Blocco Popolare”.