In vista dello sciopero della scuola del 12 maggio intervista a G. Bruno dei Cobas di Pisa

In previsione dello sciopero contro la buona Scuola indetto da COBAS e altri sindacati di base, abbiamo intervistato G. Bruno, un professore di un liceo scientifico di Pisa iscritto ai COBAS. Dalle risposte emergono interessanti riflessioni sul legame fra professori, studenti e personale ATA che si rafforza nella mobilitazione contro la riforma della scuola del governo Renzi, ma che in un certo senso la oltrepassa.

Può parlarci degli effetti che la Buona Scuola ha sortito tra gli insegnanti e gli studenti?

Gli effetti immediati sono relativi, nel senso che questo è un anno di transizione, senza contare che molte di queste riforme erano in cantiere già da anni, per cui non ci sono stati effetti stravolgenti. Sicuramente sugli insegnanti c’è stata una forte pressione psicologica: in primo luogo perché per tutto un periodo abbiamo dovuto svolgere una lunga serie di attività burocratiche in poco tempo per stare alle scadenze del Ministero; in secondo luogo, ma non di minor importanza, la concorrenza tra colleghi che ha scatenato la questione del “bonus”; una sorta di premio in soldi che viene attribuito agli “insegnanti meritevoli”. Non so su quali basi decidano, sicuramente un parametro è quello del rendimento dei ragazzi. Personalmente ho già specificato più volte che io il bonus non lo voglio, primo perché non si deve ripagare in denaro un buon lavoro fatto, quello deve essere l’obiettivo di tutti; secondo perché questo genera concorrenza e competitività tra i colleghi, inoltre, in un sistema di questo tipo, la meritocrazia perde completamente di senso, terzo perché a fronte del blocco degli stipendi dal 2010 il bonus non è davvero niente…

Relativamente agli studenti, una delle conseguenze più dirette è quella dell’alternanza scuola-lavoro. Ad oggi noi non siamo riusciti a fare neanche 10 ore in alternanza. Innanzitutto perché prima viene la didattica e con tutti i tagli che non siamo assolutamente nelle condizioni di perdere ulteriori ore di lezione. E poi perché trovare aziende disponibili a integrare tutti quei ragazzi non è semplice. A seconda degli insegnanti, alcuni percorsi possono anche essere interessanti, ma intesi come percorsi extrascolastici, non come ore lavorative… per lo meno da noi queste ore sono state tradotte così. In altri casi gli studenti sono stati usati come manodopera gratis, senza alcun scopo formativo, oppure in “progetti” di matrice assistenzialista, quindi, strumentalizzando quelle ore per fare propaganda alle strutture della Chiesa. Gli effetti di tutto questo stanno nell’abituare a un’idea di lavoro-volontariato e di concorrenza tra studenti.

Che genere di iniziative avete messo in campo voi insegnati per boicottare la legge?

Siamo riusciti a bloccare l’elezione del Comitato di Valutazione. Tra quelle che erano le due linee, se eleggere il comitato con al suo interno docenti “garanti” di criteri condivisi da tutti gli insegnanti oppure non eleggere proprio il comitato, alla fine è passata quest’ultima come segnale politico del rifiuto del sistema di valutazione e meritocrazia. Non so sinceramente se questo avrà o meno delle ripercussioni positive, si tratta di capire come proseguire. E’ positivo il fatto che, indipendentemente dalle due linee emerse in una prima assemblea, alla fine abbiamo trovato unità nella decisione. La preside, ovviamente, ha tentato di metterci gli uni contro gli altri asserendo che con questa decisione i nuovi assunti non avrebbero potuto essere valutati (e quindi non avrebbero potuto concorrere per il bonus – ndr), ma abbiamo verificato che la nostra decisione non avrà alcuna ripercussione su di loro. La proposta fatta alla preside è che l’attribuzione del Bonus passi dalle RSU.

Il 12 Maggio c’è uno sciopero contro la Buona Scuola che cadrà nei giorni delle prove invalsi. Perché è importante scendere in piazza e perché è importante boicottare le prove invalsi?

Sarà il primo sciopero dopo una serie di battaglie portate avanti nelle scuole, appoggiati dai sindacati e non solo, perciò questa data si tratta di una prova per raccogliere quello che abbiamo seminato. Scioperare nelle giornate delle prove invalsi è importante perché queste alterano tutto il sistema dell’assegnazione dei finanziamenti alle scuole pubbliche e dobbiamo boicottarle. Mi aspetto che un’ampia adesione: dobbiamo mostrarci decisi e pronti a difendere la scuola pubblica e tutto ciò che ne determina il funzionamento. Lo sciopero è un segnale al governo e uno strumento per legarci ancora di più tra di noi. Sarà importante la partecipazione degli studenti e altrettanto lo sarà quella dei lavoratori e delle altre realtà sociali.

La scuola dove insegni in passato era un fulcro per il movimento studentesco. Qual è il motivo del progressivo indebolimento dell’attività degli studenti?

Si, la scuola dove insegno fino a qualche anno fa era in prima linea nelle lotte studentesche perché vi erano degli elementi molto formati che portavano avanti le battaglie degli studenti e dei professori. Diciamo che gli studenti non hanno saputo rinnovare la coscienza e l’elaborazione politica. Il problema fondamentale di oggi è che non esiste più un centro, un’organizzazione, che formi i giovani come poteva essere stato il movimento dell’Onda, ai tempi della Gelmini. Manca poi una forza politica che formi i giovani e li abitui a fare politica, che li coordini, come poteva essere il PCI. Oggi gli studenti del collettivo del Buonarroti si occupano, principalmente, di ciò che attiene alla loro scuola, non escono dalle mura della scuola. Per esempio, un’iniziativa positiva che volevano realizzare era un’assemblea in cui coinvolgere sia gli studenti che i professori, all’interno di un circolo vicino all’Istituto. Ma volevano propagandarla attraverso una circolare da passare nelle classi. La preside si è rifiutata, comprensibilmente anche, perché non era un’attività attinente all’istituto, stante il fatto che si teneva in un altro spazio. I ragazzi si sono quasi arresi, quando in realtà bastava fare del volantinaggio e un po’ di attacchinaggio. Piano piano si stanno disabituando a tutte queste forme di partecipazione politica e sociale.

Alla luce di quanto detto, quali passi pensi debbano fare gli studenti e quali gli insegnanti?

Dobbiamo capire che questa situazione non si può più reggere e che non riguarda più né le condizioni del tale studente nella sua scuola, né lo stipendio di tale insegnante o altro. Perché la situazione è generale, il problema è politico. Gli studenti che si organizzano nei collettivi o promuovono le loro battaglie devono abituarsi a vedere i loro problemi inseriti in un sistema di cose più generale, devono iniziare a parlare e occuparsi di politica. Noi insegnanti che li istruiamo sulle nostre materie dobbiamo abituarli a occuparsi delle questioni che li riguardano, dobbiamo formarli, gli studenti devono osare di più e noi dobbiamo sostenerli in questo.

carc

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