Sciopero del 18 marzo – contro la guerra, per il lavoro

Una giornata di lotta. Il 18 marzo si è svolto lo sciopero generale proclamato da USI-AIT, CUB, SICobas e SGB contro le politiche del governo Renzi, in particolare l’applicazione del Jobs Act e il tentativo di affossare il CCNL, e contro la guerra; una mobilitazione che ha avuto come principale aspetto positivo l’andare oltre il campo rivendicativo sindacale e spostarsi chiaramente sulla questione politica.

Lo sciopero è stato preceduto da un lavoro preparatorio abbastanza articolato, in Lombardia per esempio sono state fatte 47 assemblee nei magazzini della logistica nelle due settimane precedenti e a Milano (ma anche a Prato e in altre città) è stato sostenuto da diversi blocchi, come ai magazzini Unes di Vimodrone.

Ci sono state adesioni che gli stessi promotori definiscono sorprendenti: alla GKN di Firenze, alla Electrolux di Susegana (TV), gli iscritti Cgil dell’interporto di Tortona (AL). Hanno “approfittato” dello sciopero per rilanciare le proprie vertenze anche altre categorie, come i lavoratori degli appalti delle sanificazioni ospedaliere del Lazio (iscritti ai sindacati confederali) e i bidelli di Feder ATA, andando ad alimentare la mobilitazione e provocando problemi in particolare nelle scuole, dove in diversi casi i dirigenti scolastici si sono trovati costretti a chiuderle.

Cosa dimostra questo sciopero. Emerge chiaramente la disponibilità della classe operaia a mobilitarsi, aldilà delle sigle sindacali, per combattere le politiche antioperaie e guerrafondaie dei vertici della Repubblica Pontificia. Questo probabilmente comporterà ulteriori sommovimenti sia all’interno della sinistra che esiste nella CGIL e nella FIOM, sia nei sindacati di base. All’interno dei sindacati confederali e in particolare nella FIOM (vedi articolo FIOM e sciopero per il CCNL) è già in corso uno scontro, acuito dalla piattaforma per il rinnovo del CCNL, ma soprattutto dalla ormai ben nota vicenda delle espulsioni dei delegati combattivi degli stabilimenti FCA del sud Italia, “colpevoli” di aver costruito un coordinamento intercategoriale con colleghi dei sindacati di base. Ma soprattutto di aver continuato a scioperare contro gli straordinari comandati, disobbedendo alla linea imposta dalla struttura.

I sindacati di base che non hanno aderito allo sciopero (USB e COBAS) dovranno fare i conti con quella parte al loro interno che mal sopporta il settarismo, che continua a non voler sottostare per alcun motivo “tattico” alle regole dettate dal Testo Unico sulla Rappresentanza, che la dirigenza ha firmato per essere riconosciuta da autorità e istituzioni padronali, e pone apertamente la questione della linea sindacale da praticare.

Cosa insegna questo sciopero. Ci siamo confrontati con alcuni lavoratori che sono stati attivi promotori della mobilitazione nelle loro città (Firenze, Milano, Roma), abbiamo raccolto le loro impressioni e ragionato sulle prospettive. Ovviamente è unanime il giudizio positivo per partecipazione, visibilità ottenuta e combattività espressa, ma è emerso anche un ragionamento critico e autocritico rispetto al mancato coinvolgimento di USB e Cobas, dovuto alla contrapposizione determinata proprio dalla loro adesione al Testo Unico sulla Rappresentanza (vedi Resistenza 10/2015): lo sciopero doveva essere occasione per sviluppare un rapporto superiore, tenendo ferma la posizione di aperta critica per la loro scelta. Invece è stato inteso, in certi casi, come una “resa dei conti” in cui ribadire la spaccatura esistente nel sindacalismo di base a danno di una partecipazione e incisività superiore nella lotta al governo Renzi.

che ha incassato il colpo, inaspettato, ed è intervenuto stizzito per criticare i “disagi per i cittadini” e invocare nuove leggi per limitare il diritto di sciopero.

Prospettive. Le considerazioni di questi compagni sono un segnale importante, si fa strada l’obiettivo cosciente che cacciare Renzi è possibile e non è solo un’aspirazione astratta, si fa strada l’idea che si può andare oltre la contestazione e le rivendicazioni. Aggiungiamo, però, che il governo Renzi non si caccia con “una spallata” (un grande sciopero, una grande manifestazione, ecc.): è necessaria una campagna articolata di iniziative e mobilitazioni in sinergia e in concatenazione che allarga il fronte della lotta alle istituzioni della Repubblica Pontificia valorizzando settori e categorie sempre più vasti di masse popolari (studenti, pensionati, lavoratori autonomi, ecc.) e si costruisce di pari passo con la prospettiva di una alternativa politica.

Per cacciare Renzi e il suo codazzo di mafiosi, ladri e parassiti vari è necessario costituire il Governo di Blocco Popolare e i sindacati di base, alternativi e conflittuali hanno non solo da chiederlo, ma da mobilitare i loro iscritti per imporlo ai vertici della Repubblica Pontificia e da dare i loro uomini migliori per costituirlo.

carc

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