Firenze, Assemblea operaia – Organizzarsi e coordinarsi prendere in mano le aziende, costruire l’alternativa

Di seguito un estratto del resoconto dell’assemblea operaia del 5 marzo a Firenze (la versione integrale è su www.carc.it), un’iniziativa importante e interessante promossa dalla Segreteria Federale toscana presso il Circolo ARCI in via delle Porte Nuove. Iniziativa interessante perché operai e lavoratori si sono confrontati sul contenuto del movimento “occuparsi delle aziende e uscire dalle aziende”, ragionando del legame fra lotta politica e lotta sindacale e sul legame fra operai e partito comunista; importante perché quanto è emerso è uno spunto per estendere la discussione ad altri operai avanzati e lavoratori avanzati, di altre zone, per stimolare un ragionamento collettivo.

Abbiamo voluto creare un momento di confronto e scambio di esperienze tra organismi operai per rafforzare in ognuno la coscienza dell’importanza della propria azione, delle proprie possibilità e della propria forza, per dare modo a ogni organismo di imparare e insegnare agli altri, di mettere in comune conoscenze, esperienze e strumenti di lotta. Lottare e tanto più lottare con successo è una scienza che va elaborata, trasmessa, imparata e applicata: se non sono i lavoratori avanzati e i comunisti a farlo, nessun altro lo fa al posto loro.

Abbiamo discusso delle soluzioni per uscire da questo marasma che prima o poi investe ogni azienda privata e pubblica del nostro Paese. Sono soluzioni che si fondano sulla classe operaia, perché lo stato presente delle cose non è determinato dalla forza dei padroni ma dal fatto che gli operai non fanno ancora valere la forza che hanno.

Di queste soluzioni abbiamo discusso con chi è intervenuto all’assemblea: gli operai dell’AST di Terni, della Lucchini di Piombino, della CSO di Scandicci, della Brevini di Reggio Emilia, della Rational di Massa, gli esponenti dei COBAS di Pisa e dell’USB del Comune di Firenze.

Abbiamo trattato principalmente quattro punti. Il primo riguarda il processo di costruzione delle organizzazione operaie nelle aziende. Queste organizzazioni si occupano della salvaguardia della fabbrica, prevenendo o neutralizzando le manovre del padrone per ridurle, chiuderle o delocalizzarle, ed escono dalla fabbrica preoccupandosi del futuro del territorio in cui vivono. Pensano e agiscono dentro e fuori il proprio ambito, come cellule che sviluppano qui e ora il nuovo governo del territorio, il nuovo potere.

Queste organizzazioni operaie si pongono quindi come nuove autorità pubbliche, come organismi di governo del territorio, e questo è il secondo punto. Il terzo riguarda il ruolo del movimento sindacale nella lotta di classe in corso nel nostro Paese.

Il quarto punto riguarda il tipo di Partito comunista oggi necessario nel nostro Paese. Abbiamo alle spalle mezzo secolo in cui il partito comunista, il vecchio PCI, era stato preso in mano dai revisionisti moderni, elementi quali Togliatti e Berlinguer, che lo hanno disgregato all’interno seminando nella classe operaia e nelle masse popolari sfiducia sia verso il partito come forma organizzativa sia verso il comunismo in generale. Fare i conti con tutto questo è necessario e possibile, per arrivare al partito nuovo che riprende l’eredità della parte migliore, della sinistra, del primo PCI, e ne supera i limiti. In questo modo abbiamo un partito capace di fare quello che il primo PCI non fece e che nessun partito comunista ancora ha mai fatto, cioè la rivoluzione socialista in un paese imperialista.

Il primo a intervenire è stato l’operaio della CSO di Scandicci. Ha riportato l’esperienza di costruzione del comitato degli iscritti FIOM nella sua azienda, un comitato che ha iniziato a occuparsi delle problematiche che i lavoratori vivono nell’azienda, che è diventato parte attiva delle battaglie territoriali contro la costruzione del nuovo inceneritore e che sostiene le battaglie dei lavoratori delle altre aziende del territorio. È un esempio di quegli organismi operai di cui bisogna promuovere la formazione in ogni azienda, almeno nel grosso delle aziende del nostro Paese: organismi che conoscono il processo produttivo dell’azienda e le sue prospettive (cosa produce, come, da chi si rifornisce e a chi vende, cosa può produrre per il paese e per il resto del mondo), che sanno come vanno le cose nell’azienda e conoscono la situazione nei vari reparti, che sono autorevoli presso i lavoratori dell’azienda (cioè esercitano un’egemonia sul grosso dei lavoratori), che svolgono un’azione di orientamento e di direzione all’esterno dell’azienda.

L’operaio conclude il suo intervento dicendo che “tocca ancora una volta agli operai avanzati, ai comunisti ricostruire un progetto di alternativa politica”. È vero, il movimento delle masse popolari ha bisogno di operai comunisti: di operai non solo combattivi, ma che hanno un progetto di società da costruire e che mobilitano, organizzano e dirigono gli altri lavoratori (dipendenti o autonomi), i pensionati, gli studenti e gli immigrati che protestano, rivendicano o comunque in qualche modo si ribellano a rendere la loro azione più efficace fino a diventare una forza capace di dirigere la società, le sue attività produttive e tutti gli altri aspetti della vita sociale. Non una società inventata in base ai gusti, ai pregiudizi o alle fantasie, ma una società che nasce dai presupposti creati dal capitalismo stesso: una società in cui le forze produttive (aziende, risorse naturali, infrastrutture, patrimonio scientifico e tecnico, capacità lavorative), oggi in larga misura proprietà privata dei magnati della finanza, diventano proprietà pubblica e vengono gestite da istituzioni pubbliche per produrre secondo un piano pubblico i beni e servizi usati e il cui uso è ammesso.

Il secondo intervento è stato quello dell’operaio della Lucchini di Piombino, che ha descritto il processo di costruzione del comitato Camping CIG, quello che in un loro comunicato hanno descritto come “il campeggio dei cassintegrati, dei disoccupati, dei giovani che un lavoro non lo hanno mai avuto”. Infatti è un comitato di lavoratori e cittadini di Piombino che è nato con l’obiettivo di difendere i propri interessi particolari ma, dice l’operaio, “la semplice difesa della cassa integrazione non basta più”. Oggi il cardine della loro azione è occuparsi della salvaguardia del territorio seguendo due filoni di lavoro specifici:

1. costituire un coordinamento nazionale del comparto siderurgico a partire dal legame con gli operai dell’AST di Terni e dell’ILVA di Taranto, cioè con gli operai delle maggiori acciaierie italiane, con lo slogan “nessuno si salva da solo” così da obbligare le istituzioni a costruire un piano industriale;

2. coinvolgere tutte le forze vive del territorio per creare le condizioni affinché le autorità locali diano un sostegno e un reddito attraverso lavori che salvaguardino il territorio, lavori propedeutici a possibili linee di sviluppo nel territorio.

Questo significa che il Camping CIG di Piombino avanzando nella lotta che sta conducendo troverà che, proprio perché “nessuno si salva da solo”, un piano industriale per la siderurgia richiede che l’intera attività economica del paese sia regolata secondo un piano, che risponde alle esigenze di beni e servizi della popolazione e degli scambi internazionali organizzati nel quadro di rapporti di collaborazione e solidarietà tra i popoli, e quindi occorre creare istituzioni che dirigono con questi criteri non solo Piombino, ma tutto il paese.

Il terzo intervento è stato quello dell’operaio dell’AST di Terni, che ha riportato l’esperienza della battaglia di cui gli operai sono stati protagonisti un anno fa davanti ai cancelli dell’azienda. In questa battaglia sono usciti sconfitti, dice, perchè le perdite sono state significative. In fabbrica però restano più di duemila operai e da questo bisogna ripartire.

Condivide la linea di costruire organismi operai e creare un coordinamento nazionale del siderurgico ma non ha chiaro con quali obiettivi. Nazionalizzare? E poi? Il futuro è quello di ripercorrere la strada del capitalismo monopolistico di Stato? Sarebbe questo il ruolo del governo d’emergenza popolare?

Il Governo di Blocco Popolare non è solamente il governo che nazionalizza l’Ilva e l’AST, non è governo “di sinistra” (alla Tsipras prima maniera per intenderci), né una terza via tra capitalismo e socialismo (di una fase in cui non c’è ancora il socialismo, però non ci sono più i mali del capitalismo). È uno strumento della lotta per il socialismo. “Un governo che si forma per iniziativa delle organizzazioni operaie e popolari, che risponde a loro e non ai circoli della finanza e degli affari, che mette le esigenze delle masse sopra le pretese e le regole della comunità internazionale e si fonda sulla loro azione e iniziativa, è l’unico modo per iniziare davvero a rimediare agli effetti peggiori della crisi… il periodo del Governo di Blocco Popolare sarà una lotta e una scuola. Una lotta che insegnerà alle masse popolari che, per non essere travolte dalla crisi del capitalismo e non essere usate dalla comunità internazionale per le sue guerre, bisogna andare fino in fondo: abolire completamente la proprietà privata delle grandi aziende e togliere ai borghesi ogni libertà, instaurare la dittatura del proletariato e un’economia pianificata. E una scuola, attraverso cui le masse popolari impareranno a dirigere il paese, a diventare nuova classe dirigente di un paese nuovo, di un paese socialista” – dall’intervista al Segretario Nazionale del P.CARC, Resistenza n. 3/2015.

Per motivi di spazio non possiamo trattare qui il quarto punto discusso, quale partito comunista è necessario oggi nel nostro paese. Rimandiamo per questo alla lettura del resoconto integrale sul nostro sito.

carc

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