Su Resistenza n. 3/2016 abbiamo scritto, nell’articolo Occuparsi delle scuole e uscire dalle scuole: l’esperienza dei Gruppi di Azione Proletaria: “Un’organizzazione giovanile che diventa autorità, significa che dentro la scuola essa è capillare, radicata tra la maggior parte degli studenti (per intendersi, è una forma superiore al “classico collettivo”), che si coordina con i professori e il resto de lavoratori della scuola e si organizza in comitati autonomi da quelli manovrati dai Presidi. A renderla autorevole, poi, c’è il suo legame con l’esterno: lavoratori, genitori, che sostengono e contribuiscono alle attività dell’organismo. Così diamo vita a quel coordinamento scuola-fabbrica-quartiere di cui i GAP furono pionieri e alimentiamo la costruzione della rete di nuova governabilità che serve alle masse popolari”.
Parlavamo di un’esperienza del passato in quell’articolo, i GAP di Firenze, in questo invece prendiamo esempio da un’esperienza attuale che, molto diversa sotto tanti punti di vista, ci permette di mettere in evidenza quel processo di cui parliamo alle condizioni di oggi. Emergono chiaramente dall’intervista a Josè, uno studente di Sesto San Giovanni (Milano), tre questioni che fanno la differenza:
– la capillarità dell’organismo, presente in tutte le classi o quasi con i suoi membri, cosa che permette sia di avere il polso che di portare orientamento fra gli studenti;
– il rapporto positivo che il collettivo ha instaurato con lavoratori, genitori, professori, che permette di contare su “ampie alleanze” e isolare la Preside;
– l’iniziativa fuori dalla scuola, fra operai, famiglie sfrattate e, più in generale, la politica cittadina e metropolitana.
Come sono nati i collettivi di istituto nella tua scuola e che percorso state facendo?
Nella scuola regnava un diffuso malcontento tra gli studenti e i lavoratori a causa di diverse problematiche. La Preside è piuttosto “bigotta” e autoritaria; chiunque sollevasse questioni veniva ripreso o punito.
Quindi c’era terreno favorevole alla formazione di un collettivo; si trattava di iniziare a fare politica all’interno della scuola, raccogliere quel diffuso malcontento e volontà di cambiare e organizzarli: è quello che abbiamo fatto.
L’idea è partita da due ragazze che mi hanno chiesto di formare un collettivo, io non aspettavo altro, pertanto ci siamo mossi. Alla prima riunione eravamo già in quaranta, ognuno aveva voglia di dire la sua, porre problemi, cercare soluzioni. Questi numeri ci permettono di avere, in ogni classe, almeno un membro del collettivo.
Dalle prime riunioni siamo arrivati a una sintesi decidendo di muoverci su due binari paralleli: da una parte affrontare fin da subito i problemi concreti della scuola e dall’altra promuovere la nostra formazione su quali sono i diritti degli studenti e capire come formare noi e altri studenti.
Per quanto riguarda i problemi immediati che intendiamo affrontare, abbiamo fatto una dettagliata mappatura e intendiamo portarli nel Consiglio d’Istituto, dove abbiamo i numeri dalla nostra parte, visto che è paritetico e troviamo il favore dei genitori, insegnanti e personale ATA. Presenteremo anche le firme che abbiamo raccolto, sia tra gli studenti che tra i lavoratori, per manifestare il nostro malcontento. Inoltre chiederemo la modifica del regolamento scolastico, in particolare per quanto riguarda i ritardi visto che dopo due ritardi non è più possibile entrare in classe, ma pensiamo non sia giusto perdere delle lezioni per questo motivo.
Rispetto alla formazione stiamo preparando dei volantini da far girare in ogni classe e uno striscione per pubblicizzare un’assemblea che è in programma proprio sul tema dei diritti degli studenti. Abbiamo anche invitato i ragazzi del Cantiere (un contro sociale di Milano molto attivo sul fronte studentesco – ndr) per imparare dalla loro esperienza. Infine, stiamo programmando una co-gestione con cui intendiamo aprire la scuola a realtà attive sul territorio, associazioni, movimenti.
Il nostro istituto è composto da varie sedi e distaccamenti in varie zone metropolitane e sulla scia di questa nostra esperienza si sono formati collettivi molto partecipati e rappresentativi con cui stiamo promuovendo un percorso analogo al nostro.
Ottimo, ma va tutto liscio? Non trovate ostacoli?
Sì, certo: la Preside sta cercando di porci problemi, in particolare solleva molti ostacoli “burocratici”… ma in Consiglio d’Istituto dovremmo avere i numeri per far passare questi progetti, grazie al sostegno della componente degli insegnanti, del personale ATA e dei genitori. Se la preside dovesse comunque mettersi di traverso, ci regoleremo di conseguenza…
Siete attivi anche fuori dalla scuola (l’intervista è stata raccolta alla Casa Rossa Rossa, una palazzina occupata dall’Unione Inquilini di Sesto San Giovanni per dare sistemazione dignitosa alle famiglie sfrattate – ndr)
Si, infatti. Dal primo momento in cui è stato aperto il cancello della palazzina siamo qui, circa in 30 fra membri del Collettivo e Unione degli Studenti di Sesto. Per ora abbiamo dato un contributo nei lavori di pulizia che erano necessari per rendere agibile il posto e abbiamo partecipato a un’assemblea di gestione. Adesso però ci dovremo impegnare per aprirsi all’esterno, far conoscere l’esperienza, coinvolgere la cittadinanza… insomma c’è bisogno, a nostro avviso, di volantinaggi e assemblee aperte… se ci chiudiamo nella palazzina finisce che ci isoliamo e non andiamo da nessuna parte… Poi c’è la solidarietà agli operai della General Electric, ex-Alstom…
IDicci… E’ una questione importante.
Per noi la mobilitazione è iniziata a gennaio, con la manifestazione che gli operai in sciopero hanno fatto fuori dal Comune e abbiamo partecipato come Unione degli Studenti. Io poi ho riportato la questione nel Collettivo della mia scuola, dove ci sono pure figli di operai che rischiamo il licenziamento o già licenziati in precedenza. Si è deciso di uscire con un comunicato di solidarietà e siamo andati al presidio che intanto avevano allestito fuori dalla fabbrica. Ecco, loro sono una delle realtà che vorremmo invitare durante la co-gestione d’istituto per parlare della loro lotta.
Che legame vedi tra la vostra mobilitazione a scuola, l’occupazione della Casa Rossa Rossa e la lotta degli operai ex-Alstom?
Le tre cose sono ovviamente collegate: viviamo tutti nella stessa società, noi siamo i figli degli operai e gli operai di domani, se gli operai vengono licenziati, se la gente perde il lavoro o non lo trova o ha un lavoro precario, finisce che perde anche la casa e si aggrava l’emergenza abitativa.
Dobbiamo sviluppare la solidarietà, far crescere ed estendere le esperienze di autogestione, portare gli studenti fuori dalle scuole, e il “fuori” dentro le scuole. Il problema dell’educazione poi riguarda tutta la società: se la scuola non è capace di formare gli studenti oggi, domani ne usciranno cattivi cittadini.