Viviamo in una società in cui esistono già le condizioni materiali per cui ciascun individuo possa lavorare alcune ore al giorno (tre, quattro?), per garantire a se stesso e alla propria famiglia le condizioni più agevoli e avanzate per condurre una vita dignitosa e di livello superiore rispetto a quella che conduce oggi. Viviamo in una società in cui il livello di conoscenze tecniche e scientifiche, come lo sviluppo di strutture e infrastrutture, garantirebbero l’accesso universale alla sanità (di livello e all’avanguardia), all’istruzione, alla cultura, all’arte. L’unico motivo per cui ciò non avviene, cioè l’unico motivo per cui le condizioni di vita delle masse popolari non sono conformi allo sviluppo raggiunto dalla società, sta nel modo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza e nei rapporti sociali che esso impone: il capitalismo e la ricerca incondizionata del profitto.
Nella società capitalista è “normale”, anzi necessario, che ogni individuo delle masse popolari, per vivere, sia costretto a fare cose contro i suoi interessi, se dal termine “interesse” escludiamo l’aspetto economico e includiamo gli aspetti affettivi, il benessere fisico e psicologico, la realizzazione personale, i valori, l’etica, la morale, l’educazione. Miliardi di persone sono schiave del salario (o dello stipendio, o comunque del corrispettivo che ricevono in cambio del lavoro che svolgono) e per ottenere di che vivere devono essere disposte a fare violenza su loro stesse, sugli altri, sull’ambiente, sulla società in nome e per conto del profitto dei capitalisti.
Senza prendere in considerazione gli sconvolgimenti a cui devono adattarsi miliardi di persone che vivono nei paesi oppressi (obbligati da guerre, devastazioni ambientali, inquinamento, saccheggio del territorio) ci limitiamo a trattare alcuni aspetti di ciò che devono essere disposti a fare i “normali” lavoratori in Italia.
Devono essere disposti a lavorare per un numero crescente di ore in condizioni sempre peggiori che ne pregiudicano la salute fisica, mentale e morale; devono essere disposti a percorrere centinaia di kilometri e lasciare affetti e famiglie perché i capitalisti danno sempre meno lavoro e bisogna “essere flessibili”; devono essere disposti a entrare in feroce concorrenza con altri lavoratori italiani e immigrati. I giovani devono essere disposti a lavorare gratis per “entrare nel mondo del lavoro” e le donne devono essere disposte, sempre di più, a subire ricatti sessuali o discriminazioni di genere, i vecchi a lavorare sempre più a lungo. Alcuni giovani devono essere disposti a spaccare la testa a gente della loro età o dell’età dei loro genitori (forze dell’ordine) o ad ammazzare e farsi ammazzare (esercito volontario) per mantenere il posto fisso e lo stipendio sicuro. Studenti brillanti e capaci devono mettere in conto di emigrare per esercitare ciò a cui hanno dedicato parte importante della vita e che garantirebbe al paese risorse intellettuali e scientifiche che invece vengono oggi dissipate.
Chiedete troppo ai compagni. In questo contesto capita che qualcuno ci dica che siamo troppo esigenti nei confronti dei nostri compagni, capita che nella cerchia di simpatizzanti e collaboratori qualcuno ci muova questa critica, capita anche che all’interno del Partito ci siano posizioni simili. Le critiche hanno un fondamento: l’adesione al P.CARC ha un contenuto diverso dall’adesione a qualunque altro partito; non perché per essere membri del P.CARC occorra “essere speciali”, ma perché a ogni membro è richiesto, qualunque sia il livello di partenza, di essere disposto a trasformarsi per diventare capace di fare ciò che è necessario per costruire il Governo di Blocco Popolare e avanzare verso il socialismo.
Alcune cose se analizzate attraverso il senso comune sembrano imposizioni, limitazioni della libertà individuale, costrizioni, sono invece la manifestazione pratica della libera decisione di voler costruire una società socialista.
Esempi pratici: spicci, ma efficaci. Esigiamo che un membro del Partito sia puntuale o si impegni a diventare puntuale. Quando un padrone chiama, un qualunque lavoratore deve essere scattante e puntuale, da ciò dipende il fatto che mantenga il lavoro. Perchè un lavoratore comunista dovrebbe essere meno scattante e puntuale nel rispetto degli impegni che ha con il collettivo, con la Sezione, con il Partito? Contrastiamo la concezione della politica “a tempo perso”, come hobby: che un compagno o una compagna lavorino in produzione o che facciano attività politica a tempo pieno, i ritmi e gli impegni del collettivo vengono prima di quelli dell’individuo. Questo non significa riempire i compagni di cose da fare fino a farli “scoppiare”, ma educare e formare (insegnare) ognuno a pianificare le proprie attività quotidiane e la propria vita in funzione della vita collettiva e della lotta politica rivoluzionaria.
Esigiamo che un membro del Partito contribuisca all’indipendenza e all’autonomia economica dalla classe dominante: deve pagare una quota e raccogliere sottoscrizioni. Ci sono mille modi attraverso cui la classe dominante succhia soldi alle masse popolari: modi più “nobili” legati alla concezione clericale (elemosina, sottoscrizioni a ONG, associazioni e chiese, ecc.), modi che alimentano l’abbrutimento (consumismo, gioco d’azzardo, dipendenze da sostanze varie) e modi che simulano libertà (viaggi, dedizione a “passioni e interessi”, cultura di nicchia): la relazione fra il Partito e ogni suo membro è un dare e avere da cui il singolo riceve in termini di orientamento, formazione, capacità di intervento, di azione, educazione, enormemente più di quanto dà. Questo non significa permettere che i compagni e le compagne basino il loro rapporto con il Partito principalmente su basi economiche, significa invece educarli e formarli per diventare capaci di condurre una vita dignitosa e di dura lotta. I due termini sono in stretta relazione: la lotta di classe è nutrimento intellettuale, morale, culturale che rende la vita di ogni compagno “dignitosa”; è la borghesia che promuove il degrado fisico e mentale delle masse popolari, le degenerazioni, i comportamenti distruttivi e autodistruttivi.
Esigiamo che un membro del Partito impari via via a trattare apertamente e collettivamente le “questioni personali”, famigliari, affettive. Questo è un campo difficile per la combinazione di due aspetti: il marasma in cui versa la società spinge ogni individuo a chiudersi in se stesso, questo isolamento porta alla contrapposizione fra ciò che uno fa nella sua vita pubblica e ciò che fa nella sua vita personale. A questo si aggiunge il senso comune molto radicato, che la classe dominante alimenta, per cui le questioni personali attengono a una sfera intima e inviolabile (fra moglie e marito non mettere il dito, ne è un esempio, appunto, proverbiale). Contrastiamo la doppia morale propria della classe dominante e il senso comune che si possa fare i comunisti in pubblico e non esserlo “a casa propria”. Questo non significa che i fatti personali di ogni compagno o compagna debbano essere posti a conoscenza di chiunque o possano o debbano essere “giudicati” con il moralismo borghese; significa che ogni compagno deve essere disposto a imparare a trattare le questioni personali con la concezione comunista del mondo, in modo scientifico; attingere dal patrimonio del Partito e anche arricchirlo nella lotta senza quartiere per contendere alla borghesia “il cuore e la mente” delle masse popolari.
Ci sono tanti altri aspetti che qualificano la trasformazione a cui chiamiamo i membri del Partito: imparare a pensare contro l’assumere le soluzioni date per buone dal senso comune; imparare ad assumere un atteggiamento scientifico (studiare, elaborare, lavorare nel collettivo) contro l’approssimazione del senso comune e l’individualismo promosso dalla classe dominante. Tutti sono, comunque, legati da un unico denominatore imparare. L’unica cosa che veramente pretendiamo da un membro del P.CARC è che sia disposto a imparare quello che è necessario che lui impari e che collettivamente impariamo per costruire la rivoluzione. Per questo vige un principio semplice e chiaro, la democrazia proletaria: chi è più avanti si impegna a insegnare a chi è più indietro, chi è più indietro si impegna a imparare, il collettivo sostiene e cura entrambi e permette il processo.
A coloro ai quali questo appare come chiedere troppo ai compagni rispondiamo, senza alcuna “frecciatina” morale, che ci diamo i mezzi per forgiare compagni che imparano a essere intellettualmente acuti e moralmente tenaci quanto è necessario esserlo per passare dal regno delle necessità a quello delle libertà.