Tra il 17 e il 31 gennaio 2016 il P.CARC ha condotto nelle montagne bergamasche il primo corso ritiro, una tappa importante dell’Intervento Straordinario per la formazione in Campania che il Centro sta svolgendo dal mese di ottobre in collaborazione con la Segreteria Federale e, nello stesso tempo, della costruzione della Scuola di Partito. Sul n. 2/2016 di Resistenza abbiamo pubblicato un’intervista al Segretario Nazionale che spiegava l’iniziativa e mostrava il legame fra la formazione alla concezione comunista del mondo e la lotta per costruire il Governo di Blocco Popolare; in questo numero pubblichiamo stralci di osservazioni e riflessioni che alcuni partecipanti al corso ci hanno inviato. Sono stralci, anche perché una elaborazione complessiva e collettiva di questa esperienza è in corso e i risultati positivi gli insegnamenti sono molti.ù
Una giovane studentessa del corso è tornata a Quarto, la sua città, dove le Organizzazioni Criminali imperversano e contro cui il PD ha scatenato per settimane una campagna infame, e ha parlato a compagni e compagne “dell’arma onnipotente che dobbiamo imparare e imparare ad applicare”, ha spiegato “l’importanza dello studio come strumento per comprendere il mondo, ma addirittura per trasformarlo” e ha detto che “guardare le cose dall’alto, guardare con un’altra lente, ci aiuta a compiere quel processo di raccogliere dalle masse – elevarsi dalle masse – tornare alle masse ad un livello superiore”. Anche per i docenti il corso ritiro è stata l’occasione per imparare: sperimentarsi ad insegnare, a spiegare, a riflettere con i compagni, a raccogliere le loro domande, dubbi, spunti e ragionare su di essi alla luce della concezione comunista del mondo. Oggi l’insegnamento è il nostro punto debole: al ricco lavoro di ricerca e di elaborazione condotto della Carovana del (nuovo)PCI da più di 30 anni non è infatti corrisposto un adeguato lavoro di insegnamento. Dobbiamo tutti imparare ad essere educatori e formatori perché vediamo anche nelle nostre file l’irrequietezza, il timore davanti alla necessità di trasformarsi, la convinzione di non essere capaci di dirigere la costruzione del socialismo e in particolare di creare le condizioni del Governo di Blocco Popolare. Possiamo superare tutto questo con l’apprendimento, l’assimilazione e l’applicazione della concezione comunista del mondo, la scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia.
Alcuni si sono chiesti perché compagni e compagne dirigenti del Partito a Napoli stavano a studiare tra i monti al capo opposto dell’Italia quando a Quarto l’Amministrazione del M5S cedeva all’attacco dei renziani e i fascisti di Casa Pound attaccavano i giovani napoletani. Stavano a studiare perché lo studio ci serve a conoscere il terreno di battaglia, a conoscere il nemico e a conoscere noi stessi. È questo che garantisce la vittoria. La rivoluzione è cosa che si costruisce, non cosa che si proclama, e per costruirla bisogna imparare come si fa, diventare scienziati, ed essere determinati a farla, diventare combattenti.
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(…) Prendersi cura prima di se stessi e della propria comunità di affetti (trascurando o mettendo in secondo piano il resto dell’umanità) o dare alla politica e alla lotta di classe la centralità che effettivamente occupa? Resistere alle sirene del mondo virtuale della controrivoluzione preventiva e immergersi nel mondo reale o farsi travolgere?
Mettere al centro la lotta di classe. Già prima che il corso-ritiro iniziasse ogni partecipante ha dovuto porsi nell’ottica di essere educatore e formatore nel proprio ambito di vita, affrontando rotture dure, ma necessarie, salutari e indispensabili per ricostruire ad un livello superiore l’unità con famiglie, coppie, ecc. Si può dire, in questo senso, che la scuola di Partito, la scuola di comunismo, è cominciata già prima di partire e, anzi, gran parte della sua efficacia è dipesa da ciò che si è fatto prima, dalle lotte, dalle lacerazioni, dalle rotture che si sono consumate durante la costruzione della squadra che, alla fine, si è cementata come un gruppo di compagni che ha fatto un passo concreto, importante, nella direzione di portare avanti la necessaria Riforma Intellettuale e Morale, mettendo al centro la lotta di classe.
Un gruppo di compagni coeso e forte, che ha dimostrato di aver compreso effettivamente che, al di là della nostra volontà e di ciò che possiamo percepire ragionando con il senso comune, la società borghese, rompendo i vincoli comunitari, di sangue, ecc., ha unito miliardi di uomini ai quattro angoli del mondo e ha reso immorale, cioè dannoso ai fini degli interessi delle masse popolari, curarsi prima di sé stessi, dei propri cari, della propria più o meno ristretta comunità di affetti.
La comprensione di questo principio è alimentata (ed è stata alimentata anche durante il corso) dalla conoscenza delle basi economiche del modo di produzione capitalista. Ecco perché una delle linee di sviluppo del corso è costituita dall’individuazione di testi per un corso di primo livello sulle basi economiche, utile a far si che da subito candidati, militanti di base, lavoratori avanzati, compagni meno propensi allo studio possano comprendere la realtà oggettiva in cui sono immersi e imparare a comportarsi di conseguenza.
Imparare a insegnare, mettere al centro il collettivo. Uno dei principali ambiti di lotta all’interno del corso è stato costituito dalla battaglia, condotta a tutti i livelli, tra i docenti come tra gli studenti, per imparare a insegnare e per mettere al centro il collettivo e la democrazia proletaria (“chi sta avanti insegna a chi sta indietro, chi sta indietro si impegna ad avanzare e a delegare sempre meno”) piuttosto che sé stessi, il proprio autoperfezionamento, l’esigenza di sfoggiare la propria cultura.
Questa lotta ha riguardato per primi i compagni che, come me, hanno maggiore dimestichezza con lo studio e minore abitudine all’insegnamento o a un insegnamento che non sia accademico, statico, stereotipato.
E’ stata una lotta che ha alimentato effettivamente la crescita mia e di tutti i compagni, di chi si è sforzato di elevare chi stava più indietro e di chi si è sforzato di imparare e di imparare a delegare e a rivendicare sempre meno e che ora va alimentata ordinariamente senza paura e portata tra le masse, elevando effettivamente la nostra pratica al livello della nostra teoria.
Questa lotta ha riguardato tanto i compagni quanto i docenti. Le schede di valutazione, le considerazioni fornite sui compagni e sui docenti, non sono state un adempimento formale, ma un ambito di effettivo sviluppo del Dibattito Franco e Aperto a 360° e una scuola per imparare a pensare, a osservare ciò che ci sta intorno a rielaborare l’esperienza della lotta di classe.
Vita collettiva. Il mondo virtuale che la borghesia ha costruito e che è il riflesso della sua incapacità a comprendere la realtà e a trasformarla, ci ammalia e allo stesso tempo ci distrugge dentro e fuori, come le sirene di Ulisse; sfibra moralmente, intellettualmente e fisicamente, in particolare i giovani.
L’immersione nel caos della vita quotidiana, la cui frenesia è amplificata all’ennesima potenza dalle peculiarità e dalle “eccezionalità” della questione meridionale, non permette di guardare le cose dall’alto, di dirigerle effettivamente.
Il distacco dal contesto in cui siamo regolarmente immersi rende più semplice capire meglio quello stesso contesto e affrontare la battaglia per tornarci e dirigerlo.
CI
Il corso ci ha forgiato nella mente e nel corpo, ci ha fatto diventare maggiormente padroni di noi stessi e coscienti che siamo gli artefici del nostro futuro. Ci ha permesso di conoscerci meglio, ci ha smosso all’interno e mostrato che ognuno di noi è chiamato a fare delle scelte, nessuno è esente da una trasformazione che o saremo noi a dirigere oppure saremo costretti a subire. Anche le dipendenze quotidiane, come quella dai cellulari sempre più diffuse tra noi giovani, si sono mostrate nella loro banalità, come frutto di una realtà virtuale che ci circonda e che ci allontana dalla conoscenza del mondo reale. Da qui nasce l’ignoranza per ciò che ci circonda e la conseguente paura, la dipendenza, la sottomissione all’ordine costituito e ai suoi rappresentanti e difensori. Il corso è stata una grande opportunità per elevarci intellettualmente e moralmente, sviluppare maggiore sicurezza in noi stessi e fiducia nella causa del comunismo. Ognuno di noi che vi ha partecipato e chi vi parteciperà imparerà ad affrontare le proprie paure, a prendere di petto le proprie contraddizioni, o almeno a iniziare questo processo a cui poi bisogna dare continuità nella vita e nella lotta quotidiane. Insomma, il corso ritiro è stata una conferma di quanto diceva il presidente Mao: niente è impossibile al mondo per chi osa scalare le vette più alte.
CP
Studiare per i comunisti quindi significa collettivizzare la teoria rivoluzionaria, che non è patrimonio di un singolo o di un gruppo ristretto, una setta. I comunisti imparano per insegnare, sia agli altri comunisti che alle masse popolari, la nostra linea d’azione e di lotta per costruire nel nostro paese il socialismo. I compagni devono imparare a pensare come dei “generali” solo cosi possono diventare classe dirigente della nuova società che vogliamo costruire. La rivoluzione, quindi, deve essere anche culturale, dobbiamo farla mettendo in pratica la Riforma Intellettuale e Morale. Noi siamo membri delle masse popolari nati e formati in una società malata, dove tutto è in sfacelo e quindi anche i valori e la cultura che sono la linfa della nostra vita sono avvelenati. La rassegnazione figlia della pigrizia e della delega è un limite, che deriva dall’intossicazione culturale che la borghesia fa metodicamente tra le masse popolari: il mondo non può cambiare, il pesce piccolo mangia il grande, altri sono pagati per pensare. Nel partito, la rassegnazione o l’inadeguatezza si manifesta tra noi compagni quando ci sentiamo inadeguati a svolgere i nostri compiti e a trasformare noi stessi e la realtà.
Il partito ci dà l’opportunità di superare le nostre paure, la nostra rassegnazione, i nostri limiti ideologici, dandoci gli strumenti per affrontare la guerra popolare di lunga durata. Si cari compagni la guerra, ma la nostra, quella che ci libera dalla rassegnazione e ci rende uomini e donne che costruiscono un mondo, dove le masse popolari diventano protagoniste della società. I giovani compagni, che con entusiasmo hanno partecipato, sono la primavera che ci porterà l’estate dai frutti maturi. Io e altri non più giovani negli anni ma giovanissimi nel cuore, dobbiamo imparare dai giovani compagni, ma anche insegnare loro, che solo il partito può liberarci dal marasma e la negazione alla vita in cui la borghesia imperialista ci ha condotto.
PF