Amministrative di Milano 2016: risposta (aperta) alla proposta di Agnoletto, Calamida e Molinari

Il 9 febbraio è stata pubblicata sul sito de Il fatto Quotidiano una “proposta  da discutere collettivamente” a firma di Vittorio Agnoletto,  Franco Calamida e Emilio Molinari: dare vita a un processo di aggregazione delle forze sane di Milano per costruire un’alternativa alla candidatura di Sala e alla destra per il governo della città.  A questo link  la proposta, di seguito una risposta “aperta” che ha per destinatari i tre firmatari, ma anche tutti i soggetti direttamente o potenzialmente coinvolti. 

 

Expo nessun colpo di spugna

 

A Vittorio Agnoletto,  Franco Calamida e Emilio Molinari,

 

la vostra proposta riassunta nell’articolo “Milano 2016: ‘Ma con Sala NO’ risponde positivamente ad alcune contingenze poste dall’esito delle primarie e indirizza su un ragionamento propositivo e costruttivo la delusione di chi aspirava a un esito diverso, la rassegnazione di chi non aveva fiducia in un esito diverso, l’indifferenza e la protesta di chi non ha partecipato alle primarie perché le considerava una farsa o comunque non si riconosceva in quel percorso; la delusione del “sogno arancione” che si è prima infranto contro le “necessità di bilancio” (aumento del prezzo dei trasporti pubblici) ed è poi naufragato del tutto (ruolo della giunta rispetto ad Expo).

Entriamo nel merito di alcune questioni con l’obbiettivo di contribuire alla discussione che deve essere aperta, franca e “larga” come condizione necessaria per dare alla proposta le gambe per marciare.

 

Le condizioni generali in cui versano la società, il paese e la città di Milano sono tali per cui è corretto affermare che servono misure di emergenza. Un percorso che pretende di raccogliere la parte sana della città, che pretende di radicarsi nelle migliori risorse morali, intellettuali, politiche, pratiche e attingere da esse per mettersi al servizio della collettività, un percorso che mira a elaborare riposte alle varie e pressanti emergenze, che punta a costruire una forza di governo della città non può limitarsi a elaborare idee o al massimo sintetizzarle in un programma da attuare in caso di vittoria alle elezioni. Occorre che le idee (che oggi sono sparse, in certi casi confuse, contraddittorie e grezze) siano selezionate e raffinate in programma non attraverso i consessi e i convegni, ma nella prova della pratica. In altre parole: nessuna alternativa elettorale è possibile se chi la propone, la promuove e la anima  non si dà i mezzi per attuare qui e ora quelle soluzioni che promette di attuare se e quando vincerà le elezioni. Senza retaggi “populisti” di sorta: il tempo delle promesse e dei buoni propositi è finito. 

 

Quali misure di emergenza? Il discorso è articolato e in questa occasione si può sviluppare solo in modo sintetico, tuttavia alcuni principi e criteri è utile definirli, anche per sgombrare il campo dalla retorica dell’Amministrazione Pisapia come raggio di sole fra il buio delle amministrazioni precedenti e quello delle (possibili) amministrazioni successive, sono cioè criteri e principi che qualificano l’Amministrazione di cui ha bisogno Milano e che introducono anche elementi di bilancio dell’operato della Giunta Pisapia:

1.       mettere gli interessi collettivi al centro della propria azione e davanti alle leggi, ai vincoli e alle misure imposte dal governo centrale (contro la retorica del legalitarsimo e del “vorrei ma non posso”);

2.       promuovere su ampia scala la mobilitazione e l’organizzazione dal basso (cioè usare mezzi, risorse e strumenti di cui l’Amministrazione Comunale dispone per incoraggiarle e alimentarle, non per criminalizzarle – vedi i movimenti di lotta per la casa – o “istituzionale per depotenziarle” – vedi movimenti per la riappropriazione di spazi);

3.       disobbedire ai Patti di Stabilità per affermare gli interessi collettivi e non per alimentare speculazioni e consorterie (come richiesto dalla Giunta Pisapia proprio per Expo);

4.       promuovere il coordinamento con altre Amministrazioni che per vari motivi e per particolari condizioni sono obbligate o decise a rompere con il governo centrale.

 

Questa è l’amministrazione coraggiosa che serve alla Milano democratica e popolare, questo è il cuore del discorso, attiene alla vostra proposta come attiene alle ambizioni di alternativa proposte da altri ambienti a cui voi stessi vi rivolgete. Fare articolati programmi di alternativa e sottoporli alla verifica elettorale è il modo migliore per lasciarli a prendere polvere: nessuno con “bei programmi” e “buone proposte” vincerà le elezioni (amministrative o politiche che siano), per l’effetto di due distinti movimenti che si condizionano: il primo è che a furia di promesse disattese, tradite e rimangiate, la sinistra che cercava il cambiamento per via elettorale ha creato il terreno perfetto per la sua progressiva estinzione; il secondo è cronaca: di fronte a un qualunque “pericolo” di sommovimento le autorità costituite semplicemente impediscono lo svolgimento di regolari votazioni. Inutile ricordare che questo terzo governo nominato senza elezioni parlamentari sta manomettendo anche formalmente, oltre che violarla sostanzialmente, la Costituzione, seguendo il piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli.

 

Torniamo a Milano e alle amministrative. E riprendiamo da cose concrete. I lavoratori e le famiglie di questa città (checché se ne dica, si tratta dell’enorme maggioranza della sua popolazione) possono uscire dalla marginalità (sociale e politica), dalla precarietà (economica ed esistenziale) e dalla cappa di senso comune (tiriamo a campare) se diventano protagoniste della mobilitazione pratica per costruire l’alternativa (che pure si esprime “spontaneamente” e parzialmente nelle mille forme di necessaria resistenza agli effetti della crisi).

L’idea dei movimenti popolari che si riflettono e si rappresentano nelle “sponde politiche” che trattano per loro conto (stanno dalla parte di…) è finita da un pezzo e il riassunto è la fase 2008 / 2010 con l’indecoroso epilogo della sinistra arcobaleno e delle alchimie seguenti.

Le condizioni impongono una nuova idea: che siano i movimenti sociali stessi a costruire forme, condizioni e contenuti della loro politica; iniziando (e imparando) a trovare soluzioni collettive ai problemi collettivi e a praticarle. “Ma i movimenti sociali non hanno risorse economiche e non dispongono delle conoscenze necessarie per praticare le alternative che rivendicano”. Questo è vero e falso. E’ vero, nel senso che oggi è in larga misura così, ma è falso nel senso che questa “mancanza” non è condizione statica e immutabile.

 

Ecco il contenuto del percorso che immaginiamo possibile per lo sviluppo della vostra proposta da discutere collettivamente: non si tratta di un cartello elettorale, ma di una sorta di Comitato di Salute Pubblica (ognuno lo chiami come vuole, in condizioni differenti il paragone storico più appropriato per descrivere la sua funzione è quello del CNL) che raccoglie dal territorio le forze sane che le contraddizioni, le mobilitazioni, le lotte, le forme di auto organizzazione esprimono, che fa valere il patrimonio di scienza, conoscenza, di relazioni, di esperienze, di autorevolezza dei suoi componenti, che riporta sul territorio soluzioni possibili. Possibili non vuol dire facili: non esistono soluzioni facili in tempi da lupi come questi. Esistono soluzioni praticabili e possibili se perseguite con la mobilitazione e l’organizzazione. Meglio di noi, probabilmente, conoscete il valore “rivoluzionario” che sta nell’applicazione di alcuni articoli della Costituzione…

 

Di esempi pratici e concreti ce ne sono a migliaia, in una città tutt’altro che avara di esperienze di organizzazione, mobilitazione, autogestione, resistenza, civismo progressista, convivenza virtuosa, alti valori morali e altrettanto alte pratiche sociali. Ne citiamo uno che anche per concezione del mondo ci è immediato: di fronte alla chiusura di un’azienda gli operai e le operaie se ne fanno poco o niente della solidarietà dichiarata e a ben vedere anche dei 100 euro che ogni tanto qualche “personaggio in vista” allunga al presidio di protesta. Quello che serve a loro, più della solidarietà dichiarata o dei mille tavoli di trattativa, sono tavoli tecnici (con il coinvolgimento di autorità e istituzioni che ci vogliono stare, se non ci vogliono stare, amen) che abbiano tre obbiettivi:

          mettere a punto i modi per continuare a produrre anche in assenza dell’assetto aziendale e della vecchia proprietà (che vuole chiudere o delocalizzare);

          il reperimento di fondi (garanzie su apertura di linee di credito, fidejussioni, ecc… il leitmotiv è i soldi non ci sono, in realtà non c’è mai stato tanto denaro come in questa fase storica, ce n’è in sovrabbondanza) per permettere il proseguimento della produzione e la costruzione di una rete di fornitori e clienti;

          la costruzione di una rete di sostegno e solidarietà che ha come base la spinta a unire ciò che oggi si esprime in modo sparso e separatamente: mobilitazioni, rivendicazioni, attivismo, protagonismo dal basso. 

Roba da esperti, dirà qualcuno. Esattamente roba che per un collettivo di lavoratori è più difficile da trovare rispetto a professori universitari, personaggi di cultura e di scienza, esponenti sindacali, ognuno dei quali ha legami diretti e indiretti con settori che possono essere messi a contribuzione nella battaglia contro la chiusura di quell’azienda e nella costruzione di un più complessivo e articolato piano per il lavoro (utile e dignitoso) che mobilita l’esercito di disoccupati, inoccupati, precari (compresi quelli del Comune) e cassintegrati.

Oltre a voi tre firmatari della proposta da discutere collettivamente, molti a cui vi rivolgete hanno caratteristiche simili, altrettante possibilità di assumere un ruolo diverso dall’illuminato di buona volontà che propone e si propone per concorrere alla costruzione di un cartello elettorale, un ruolo da animatore e promotore della costruzione di una nuova forma di governabilità dei territori e delle città: quella che parte dall’organizzazione e dalla mobilitazione popolare per affermare interessi legittimi e collettivi (lavoro, istruzione, sanità, diritto a vivere in una città che non provochi il tumore ai polmoni solo a passarci vicino, diritti civili, accoglienza).

 

Ecco, per fare questo ci vuole il coraggio di rompere con le prassi e le liturgie del “teatrino della politica” e di aprire un percorso nuovo.

In questo quadro le elezioni smettono di essere un fine e diventano uno strumento. Questa è la possibilità “forte, generosa, disinteressata” che oggi “sinistra e 5 stelle” hanno di fronte. Non c’è un “altrimenti”. Altrimenti avranno perso un’occasione, saranno scavalcati da altri che si assumeranno la responsabilità di farlo, che saranno disponibili a farlo. E lo scavalcamento di cui parliamo non si legge solo dall’esito delle elezioni e dalle percentuali di voti, ma (anche) dall’astensionismo crescente, dal livello dei dibattiti interni a partiti e coalizioni, dall’insofferenza, indifferenza e ostilità con cui chi si candida a rappresentare gli interessi “del popolo” viene accolto nei “luoghi della gente che per vivere deve lavorare”.

I danni provocati dall’elettoralismo e dalla sottomissione della sinistra che voleva vincere le elezioni sono tali che gli stessi referenti a cui i cartelli elettorali chiedono i voti vedono ormai come fumo negli occhi questo o quell’esponente politico, sindacale, del mondo della cultura e della scienza: la credibilità è a zero e non è lo spauracchio di Sala (come dopo un certo punto non lo è più stato quello di Berlusconi) a fare le fortune di “quella sinistra”. Tanti che si vestono di nuovo raccolgono oggi ciò che hanno seminato in passato. Allo stesso modo, però, i curriculum e gli stati di servizio non servono più, serve usare ogni risorsa di cui ognuno dispone. Pensiamo cioè che bisogna mettere al centro ciò che ognuno fa (e non ciò che ognuno dice) e ciò che ognuno può fare per valutare se merita la fiducia che aspira ad avere.

Alla data delle elezioni mancano alcuni mesi. Sono quelli in cui la vostra proposta e i contributi che susciterà possono essere messi alla prova della pratica. Pur tenendo come riferimento ipotetico quella data, concordiamo che “non  è tardi”. Sfratti, sgomberi, licenziamenti, degrado nei quartieri, smantellamento dei diritti, smembramento dei servizi pubblici, disoccupazione, polveri sottili, precarietà non aspettano le elezioni, sono qui ora e ci saranno dopo, con Sala sindaco o con un altro notabile più o meno presentabile al suo posto. 

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