1. Perché sembra che il mondo vada alla rovescia, che tutto vada al contrario di come dovrebbe andare?
Non è un’impressione, il mondo va alla rovescia! Ogni giorno miliardi di euro sono bruciati nelle transazioni e speculazioni finanziarie eppure le autorità dicono che non hanno soldi per i servizi pubblici, per pensioni, sanità, scuola, ammortizzatori sociali, ecc.; i negozi e i supermercati, sempre più grandi, luminosi e accoglienti traboccano di prodotti mentre aumenta a vista d’occhio il numero di famiglie che devono tirare la cinghia e la quantità di prodotti che vengono distrutti perché invenduti; centinaia di migliaia di case sono vuote e lasciate all’abbandono mentre migliaia di famiglie sono sfrattate e vivono in alloggi di fortuna o per strada; l’inquinamento aumenta mentre ci sono già tutte le conoscenze tecniche e scientifiche per produrre energia in modo compatibile con l’ambiente; aumentano analfabetismo e si diffondono concezioni medievali mentre l’umanità ha raggiunto il più alto livello di conoscenza mai esistito prima (anche nei metodi di insegnamento); un ladro di polli va in galera in attesa del processo e uno dei responsabili legali della strage alla Thyssen Krupp di Torino nel 2007 viene premiato con ruoli e stipendio di prima grandezza (Marco Pucci, nominato Direttore Generale dell’ILVA. Va detto, bontà sua, che ha rifiutato a causa delle polemiche). La società anziché evolversi sta regredendo.
Il motivo è storico, cioè riguarda la storia dello sviluppo dell’umanità. Il modo di produzione e il sistema economico e politico in cui viviamo non sono più adeguati ad alimentare il progresso umano, anzi ne sono diventati la principale catena, addirittura sono diventati come una lebbra che corrode quello che c’è. Per alcuni secoli il capitalismo è stato la spinta che ha permesso all’umanità di raggiungere il più alto livello di sviluppo. Ora il livello di sviluppo raggiunto esige una trasformazione del sistema di relazioni su cui la società è fondata, altrimenti la società entra in crisi (una crisi che ha le radici nell’economia, ma si ripercuote nella politica, nelle condizioni morali e culturali e persino mette a repentaglio l’ambiente necessario per la vita) e “impazzisce”. Tutte le manifestazioni del corso distruttivo delle cose hanno origine dalla crisi del sistema capitalista e l’unica soluzione positiva e realistica è darci un ordinamento economico e sociale superiore, il socialismo. Esistono già tutte le condizioni perché il mondo giri meglio senza garantire il profitto ai capitalisti, che è invece una zavorra insostenibile e del tutto ingiustificata, come hanno dimostrato i primi paesi socialisti finché furono diretti dai comunisti, finché la direzione non fu presa dai revisionisti moderni.
2. Perché non serve a niente continuare a chiedere una distribuzione più equa della ricchezza?
Di fronte al mondo che va alla rovescia (non ci voleva la statistica di Oxfam per sapere che 62 individui detengono più ricchezza che il resto della popolazione mondiale messa insieme) istintivamente e “spontaneamente” viene da dire che per raddrizzarlo un po’ basterebbe redistribuire la ricchezza esistente: prendere a chi ha di più e dare a chi ha di meno. Questo è lo spartito su cui cantano i cori della sinistra borghese (aumentare i salari, introdurre il reddito di cittadinanza, tassare le transazioni finanziarie e impedire le speculazioni, combattere l’evasione fiscale, ecc.) e quelli clericali (c’è da dire che sono i meno convincenti: iniziasse il Papa a distribuire le ricchezze del Vaticano! Soldi, immobili, beni artistici e culturali…). La questione è che, proprio per la sua natura di spontaneo (ossia conforme al senso comune che è creato dalla classe dominante), il ragionamento non considera che la crisi in cui siamo immersi non si risolve dando alle famiglie la possibilità di spendere di più (aumentare la domanda, la chiamano gli esperti di economia in televisione e sui giornali), perché questa crisi non è una semplice crisi per sovrapproduzione di merci (cioè la sua causa non è nel fatto che le aziende producono più di quello che vendono). È una crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale, cioè è dovuta al fatto che nel mondo lo sviluppo della società umana è arrivata a un livello tale che se tutto il capitale di cui dispongono i capitalisti fosse impiegato per produrre merci (beni o servizi), cioè in quella che gli economisti chiamano “economia reale”, i capitalisti nel loro complesso (quindi come classe) ne ricaverebbero un profitto minore di quello che ricavano impiegandone solo una parte. “Guadagnassero meno!” dirà qualcuno, ma proprio qui sta il punto: qui si vede che la crisi è questione del sistema di relazioni sociali! Nella società borghese è il capitalista che ha in mano l’iniziativa in campo economico (che apre e chiude aziende, che organizza e dirige produzione e distribuzione) e il profitto è il motivo che lo spinge a far produrre. Se non è convinto di ricavare un profitto, il capitalista non fa produrre, si gode la sua ricchezza (gli economisti borghesi lo dicono con un’allegoria: l’acqua c’è ma il cavallo non beve!). È quindi questione del sistema di relazioni sociali su cui la società è basata. Per finirla con l’attuale corso delle cose occorre una società in cui tutti i mezzi di produzione (la terra e le sue risorse naturali e le fabbriche, il denaro, tutta la ricchezza della società) che oggi sono in larga misura proprietà privata di individui o di società private, diventino proprietà pubblica e siano gestite da istituzioni pubbliche per produrre secondo un piano pubblico i beni e servizi usati e il cui uso è ammesso. C’è qualcosa di misterioso e di strano in questo? Quando il movimento comunista era forte, aveva costretto perfino i capitalisti e le loro autorità (dei paesi imperialisti, compresi anche quelli fascisti) a fare un pezzo di strada in questo senso, ma si è visto che sono cose che non si possono fare a metà. Occorre un ordinamento politico e generale diretto da chi ha interesse, volontà e scienza quanta ce ne vuole per introdurre e far valere un simile ordinamento sociale. Non si tratta di una “semplice” riforma economica. Bisogna togliere ai capitalisti e in generale ai ricchi la direzione della società. Finché restiamo nella società borghese, il guadagno del capitalista, il profitto, è il motore della società intera. Se il capitalista non guadagna, la società entra in crisi e collassa. Distribuire la ricchezza serve ad alleviare momentaneamente e in qualche punto (paese) il peso della crisi sulle masse popolari, ma in definitiva l’aggrava: a parità di altre condizioni il capitalista che sfrutta di più l’operaio è più competitivo, occupa il campo del capitalista concorrente: questo chiude e licenzia mentre il primo, magari, assume. Comunque i capitalisti si accapigliano tra loro (“siamo in guerra”, come dice Marchionne), finché la guerra la fanno fare davvero.
Quindi sono inutili o sbagliate le lotte contro il carovita, per il diritto alla casa, per la scuola e l’istruzione pubblica, per l’aumento di stipendi e salari? No, sono essenziali: sono la scuola elementare di lotta di classe in cui le masse popolari imparano a organizzarsi, a combattere, a usare le proprie forze, a sviluppare la propria intelligenza e la propria volontà, a dirigere; l’aspetto decisivo, tuttavia, rimane la lotta per prendere il potere, la lotta per instaurare il socialismo. Sbagliano quelli che vogliono mantenere le lotte al livello elementare delle protesta e delle rivendicazioni. Bisogna sviluppare ogni movimento di protesta e di rivendicazione e portarlo a integrarsi nel movimento per instaurare il socialismo.
3. Perché non nasce un movimento unitario, efficace, radicale, capace di cambiare le cose?
Per riportare l’umanità nel solco del progresso occorre sostituire la classe dirigente della società, bisogna che la borghesia imperialista sia sostituita dalle masse popolari organizzate. L’unico movimento capace di compiere questa trasformazione è il movimento comunista e il partito comunista è il suo nucleo centrale. Il partito comunista ha il compito di elaborare la linea per condurre questa lotta e di educare, formare e organizzare la parte più avanzata delle masse popolari (e in particolare della classe operaia) a combattere contro l’attuale classe dirigente e a diventare dirigente della società. Il movimento comunista è diverso, per natura e obiettivi, da qualunque altro movimento rivendicativo e di protesta: raccoglie, racchiude ed eleva ogni altro movimento rivendicativo e di protesta per farlo contribuire efficacemente alla lotta per instaurare il socialismo. Ma a differenza di ogni altro movimento rivendicativo e di protesta, il movimento comunista richiede un’adesione cosciente, cioè chi vi aderisce e vi partecipa deve avere una comprensione abbastanza chiara dell’opera a cui sta partecipando – deve anzitutto imparare a fare cose che non sa fare e a cui non ha neanche mai pensato. Questo è il motivo oggettivo per cui il movimento comunista non nasce grande, ma per diventare grande, forte, deve combattere, ce n’è anche uno soggettivo, per cui cresce e si sviluppa lentamente: questo riguarda l’impegno e la capacità dei comunisti di conoscere, assimilare e usare la scienza della trasformazione del mondo, il materialismo dialettico (vedi l’Intervista al Segretario Nazionale del P.CARC sul primo corso ritiro a pag.6). Il movimento comunista non cresce più facilmente dove le condizioni per le masse popolari sono peggiori, ma dove la sua direzione è adeguatamente capace di volgere in positivo, nell’ottica di costruire il socialismo, le contraddizioni disastrose provocate dalla crisi del capitalismo (Vedi l’articolo I fatti di Colonia a pag.1).
Questa lunga introduzione era necessaria per inquadrare i compiti e gli obbiettivi di chi oggi vuole avere un ruolo positivo di fronte al mondo che va a rovescio. Di questo ne parliamo nell’articolo Per individuare che fare in Italia: tre domande (e tre risposte) a pag.1.