La guerraè inseparabile dal capitalismo. Esso la porta in grembo anche in tempi di pace, la alimenta nella ricerca del profitto a tutti i costi che è la sua base vitale. Man mano che la crisi generale avanza, la guerra diventa lo strumento a cui i gruppi imperialisti fanno sempre più ricorso per regolare i conti tra loro e con quanti ostacolano i loro interessi e affari o non accettano il loro dominio, per aprirsi la via allo sfruttamento delle risorse e delle masse popolari dei paesi oppressi ed ex-socialisti, per soffocare la rivolta dei popoli oppressi e per impedire la rinascita del movimento comunista.
Quando 25 anni fa gli USA attaccarono l’Iraq di Saddam Hussein (prima guerra del Golfo), il mondo era già immerso nella crisi generale di cui oggi viviamo la fase acuta, terminale e distruttiva. Da quella data a oggi c’è stata una escalation di conflitti: le guerre di aggressione imperialista (comunque denominate: guerre umanitarie, guerre per la “pace” e per “esportare la democrazia”, “guerre al terrorismo”) sono diventate più numerose e diffuse.
Con le grandi manifestazioni popolari, in particolare nel periodo 2001-2003 contro i bombardamenti in Afghanistan e in Iraq, le masse hanno sperimentato che la “lotta contro la guerra” fatta di manifestazioni, proteste, denunce, richieste ai governi di fermare la guerra non serviva a niente e gradualmente l’hanno disertata. A questo si aggiunge che gli attentati, che sono il modo con cui le organizzazioni alla testa della resistenza dei popoli e dei paesi aggrediti dalla comunità internazionale portano la guerra nei paesi imperialisti, colpiscono anche una parte delle masse popolari dei paesi imperialisti. La combinazione di questi fattori non solo determina le “difficoltà a mobilitare la gente” di cui si lamentano quanti vorrebbero riprendere la “lotta contro la guerra” allo stesso modo del 2001-2003, ma fornisce anche condizioni più favorevoli alla borghesia imperialista per raccogliere tra le masse popolari consenso o comunque rassegnazione intorno alle sue manovre, alle sue campagne, alle sue guerre (“scontro di civiltà”).
La Piattaforma Sociale Eurostop, alla quale abbiamo aderito e partecipiamo (nella nostra adesione, vedi www.carc.it, spieghiamo sia punti di forza della Piattaforma che le questioni da trattare per incidere sul corso delle cose) ha promosso le manifestazioni contro la guerra di Roma e Milano del 16 gennaio scorso, manifestazioni che sono la prima tappa di una campagna che si articola nella creazione di coordinamenti regionali, la partecipazione alla campagna per il NO al referendum sulle riforme costituzionali del governo Renzi e la promozione di un referendum sulle riforme costituzionali del governo Renzi e la promozione di un referendum sui Trattati europei, la creazione di un Osservatorio sull’Unione Europea per informare sulle manovre economiche, politiche e militari delle istituzioni europee, l’organizzazione di una giornata di mobilitazione europea contro la UE; l’euro e la NATO.
Nelle assemblee (Roma, Milano, Brescia, a cui abbiamo partecipato, Torino e anche altre città) che la Piattaforma ha organizzato per preparare le manifestazioni e nelle manifestazioni stesse sono emersi alcuni aspetti sparsi che, se messi insieme, ordinati e sviluppati, rappresentano le tendenze positive esistenti nell’aggregato e indicano i passi avanti rispetto alle esperienze precedenti, pure animate da una parte degli stessi promotori (Comitato NO Debito, NO Monti Day, Controsemestre popolare).
Mettiamoli insieme, questi aspetti. G. Cremaschi all’assemblea di Brescia dell’8 gennaio ha detto tre cose che riportiamo sinteticamente. Primo: il nemico principale le masse popolari e i lavoratori ce l’hanno in casa, sono i governi delle politiche di austerità, dello smantellamento dei diritti e della precarietà. Sembra una cosa banale, ma non lo è affatto vista la prassi (corrente, e non a caso, negli ambienti della sinistra borghese come anche tra i promotori della mobilitazione reazionaria) di indirizzare il malcontento delle masse popolari non contro i responsabile delle condizioni infami a cui sono costrette (la classe dominante del nostro paese: i vertici della Repubblica Pontificia), ma “contro l’Europa” o “contro la Germania” (ieri era “contro l’invasione delle merci cinesi”), alimentando, volenti o nolenti, l’idea che masse popolari e borghesia imperialista abbiano interessi comuni da far valere, siano alleate nella “guerra tra noi e il resto del mondo” evocata da Marchionne. Secondo: per sviluppare la mobilitazione contro la guerra imperialista e contrastare le campagne di intossicazione della classe dominante, è necessario considerare l’alto valore ideale di coloro che lottano contro l’imperialismo anche facendosi saltare in aria, anche ricorrendo al martirio. Una posizione ben più avanzata di quella che predomina negli ambienti della sinistra borghese e radicale (“NO alla guerra, ma NO anche al terrorismo”) che mette sullo stesso piano aggressori e resistenti. Terzo: non ha senso oggi parlare di alleanze con i governi che si ribellano alla comunità internazionale dei paesi imperialisti (il Venezuela) o con i governi presi di mira da essa (come la Russia), perché “le alleanze sono questioni che competono al governo, quindi parleremo di alleanze quando avremo un nostro governo”. Non è solo una critica (implicita) a fantasiose proposte (tipo ALBA Mediterranea) che prescindono dalla lotta di classe, è la prima volta che la questione del governo viene posta chiaramente da Cremaschi, ma più in generale dall’area di cui fa parte.
L. Vasapollo all’assemblea di Milano ha caratterizzato la crisi come crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Se le parole hanno un peso, significa che la Rete dei Comunisti, di cui Vasapollo è uno dei principali esponenti, intende rivedere la linea economicista fin qui seguita: il conflitto sociale, la lotta rivendicativa e sindacale come via per risolvere i problemi delle masse, senza instaurare il socialismo.
Infine a Roma, S. Cararo della Rete dei Comunisti ha affermato che le manifestazioni del 16 gennaio sarebbero state un punto di partenza di un percorso da sviluppare, quindi “non importa quanti saremo in piazza”. Se non è un modo per mettere le mani avanti, vuol dire spostare l’asse dalla “grande manifestazione” al percorso attraverso cui valorizzare chi si mobilita, attraverso cui costruire (tappa dopo tappa) un superiore livello di organizzazione, di coscienza politica e nuove relazioni di potere delle masse popolari.
Adesso sviluppiamoli, questi aspetti. Ai cortei di Roma e Milano non c’era tanta gente ed è inutile dire il contrario, ma non è quella la cosa importante. Se c’era poca gente non è perché le masse popolari se ne fregano della guerra (di cui in vari modi pagano le conseguenze), ma perché la loro esperienza dice che chiedere al governo Renzi (al nemico interno) di non fare la guerra non serve a niente. Per scongiurare la guerra (imperialista) occorre fare la guerra a padroni e speculatori, mafiosi, papi e cardinali, occorre cacciarli dal governo della società e del paese. Non serve commentare le notizie dei giornali, tifare per Putin o Assad, condannare Obama, Holland o la Merkel, non serve profondere opinioni sulle alleanze che “l’Italia dovrebbe fare”. La lotta contro la guerra imperialista richiede che le masse popolari, i lavoratori e gli operai vincano la loro guerra contro il nemico interno.
Creare le condizioni di organizzazione, coordinamento e coscienza necessarie a cacciare il governo Renzi e costituire un governo di emergenza delle masse popolari organizzate è il passo che sta davanti ai promotori Piattaforma Sociale Eurostop e il compito a cui tutti coloro che sono scesi in piazza il 16 gennaio sono chiamati. In questo modo diventa possibile realizzare il programma della Piattaforma Sociale: rottura della e con la UE e l’Euro, abbattimento della disoccupazione di massa e lotta alla povertà, democrazia partecipata e applicazione della Costituzione Repubblicana del 1948, rifiuto di ogni politica e di ogni azione di guerra imperialista). In questo modo faremo daremo un indirizzo più coerente alla lotta in corso anche all’eroismo di decine di migliaia di uomini e donne disposti al martirio per liberare il loro paese e il loro popolo dalle grinfie dell’imperialismo, ma che oggi sono diretti e orientati dal clero musulmano.