La partecipazione a un’assemblea: usare il materialismo dialettico per trasformare la realtà

La partecipazione alle assemblee preparatorie alle manifestazioni contro la guerra imperialista del 16 gennaio sono state l’occasione per tanti compagni e compagne del nostro Partito per sperimentarsi e imparare ad agire nel concreto della lotta di classe. Detta così può sembrare una cosa scontata, però se ognuno di noi guarda alla sua personale esperienza sa che questa è fatta spesso di iniziative a cui si partecipa “per vedere che aria tira”, di assemblee a cui si partecipa passivamente per poi lamentarsi dell’arretratezza di questo e quello, di cortei vissuti come una scampagnata più o meno allegra o faticosa, di interventi e discorsi fatti più o meno a braccio.

Noi stiamo sperimentando metodi che potrebbero essere ovvi, ma che per tanti compagni sono una novità, per alcuni una forzatura necessaria e per altri una liberazione dal senso di inadeguatezza. La sperimentazione riguarda l’applicazione del materialismo dialettico in ogni attività sia come metodo di conoscenza che come strumento di azione.
Per la partecipazione alle assemblee (Roma, Milano, Brescia) ci si è preparati con apposite riunioni fra i compagni che avrebbero partecipato, con l’obiettivo di creare una vera squadra, un collettivo che agisse con quella che chiamiamo unità di indirizzo, la capacità di agire coesi verso gli’obiettivi che ci si pone. Questo ha significato analizzare ogni contesto in cui si andava ad operare, relazionandolo con la situazione e il contesto generale e studiando i testi specifici per orientarsi. Uno studio finalizzato all’analisi e alla comprensione della realtà per trasformarla, per essere capaci di individuare gli obiettivi perseguibili nel particolare e per ottenerli. Questo significa anche utilizzare la linea di massa per analizzare e definire la composizione dei collettivi e dei singoli con cui ci si rapporta: definire quale è la sinistra, quale il centro e quale la destra che è presente in ogni organismo e individuo, trovando gli aspetti positivi su cui far leva per contrastare quelli negativi. Ogni aspetto è stato discusso collettivamente, dalla definizione dei ruoli (chi diffonde
Resistenza, chi prende appunti, chi tiene l’intervento pubblico), al contenuto dell’intervento al microfono. Per ogni assemblea è stato stabilito un responsabile che si preoccupasse dell’effettiva esecuzione delle decisioni collettive.

La partecipazione attiva di tutti (compagni più esperti e compagni meno) è stata possibile in virtù del principio della democrazia proletaria: chi è più avanti insegna a chi è più indietro e chi è più indietro si impegna ad imparare da chi è più avanti. Questa è la strada che abbiamo utilizzato e che utilizziamo per ogni iniziativa in cui interveniamo o che promuoviamo. Questo è un metodo che permette anche di valorizzare appieno l’apporto anche dei simpatizzanti che sono esterni al Partito, ma che collaborano attivamente con noi, formandoli nella teoria come nella pratica e spingendoli avanti nella loro mobilitazione.
Dopo le assemblee abbiamo svolto riunioni di bilancio collettivo che ci permettessero di fissare gli insegnamenti, di individuare le tendenze esistenti e di definire le linee di sviluppo possibili.
Questo metodo permette di trarre insegnamento e prospettiva anche da un’iniziativa in cui non siamo riusciti a raggiungere tutti gli obbiettivi definiti analizzandone le cause per risolverle.

carc

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