1. Per capire gli sviluppi della situazione bisogna partire dalla crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale che da circa 40 anni sempre più strettamente determina il corso delle cose nel mondo. A livello mondiale e considerando tutti i settori produttivi, il capitale accumulato è tanto che, se i capitalisti lo impiegassero tutto nelle loro aziende che producono merci (beni e servizi), estrarrebbero una massa di plusvalore (quindi di profitto) inferiore a quella che estraggono impiegandone solo una parte. La borghesia deve valorizzare il capitale, ma non può farlo solo o principalmente attraverso la produzione di merci e servizi. Questo ha dato luogo a tutti gli sviluppi che constatiamo e che rientrano nei seguenti campi:
– spremitura delle masse popolari (riduzione dei redditi ed eliminazione dei diritti e delle conquiste);
– finanziarizzazione dell’economia reale e sviluppo del capitale speculativo;
– ricolonizzazione dei paesi oppressi e sfruttamento dei paesi ex socialisti;
– devastazione della terra (saccheggio delle risorse naturali, cambiamento climatico, inquinamento dell’ambiente, devastazione del territorio);
– lotta tra capitalisti ognuno dei quali cerca di ingrandirsi a spese di altri capitalisti.
Gli sviluppi in ognuno di questi cinque campi hanno come sbocco la guerra: la guerra è un effetto inevitabile del capitalismo in crisi.
Comprendere che la crisi attuale è una crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale e non una crisi per sovrapproduzione di merci (anche appiccicandole l’etichetta di assoluta) non è una questione nominalistica, ma di comprensione del corso delle cose e degli esiti a cui esso dà luogo, della via d’uscita dalla crisi e della linea politica da seguire. La crisi per sovrapproduzione di merci è una crisi di squilibrio tra domanda e offerta (dovuta al carattere anarchico del modo di produzione capitalista) e trova soluzione nel movimento economico della società borghese: è lo sconquasso stesso del sistema produttivo che, riducendo la capacità produttiva, nel corso di un certo tempo crea le condizioni per la ripresa della produzione. Chi mette all’origine del marasma attuale la sovrapproduzione di merci, concentra l’attenzione sul mercato (offerta e domanda di merci) e i rimedi a cui arriva in definitiva si riducono o a interventi sull’offerta (per renderla più allettante, più profittevole: la destra) o a interventi sulla domanda (per accrescerla: i keynesiani, la sinistra).
La crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale, pur nascendo dall’economia, è una crisi che diventa generale – cioè anche politica, culturale, sociale e, per quanto riguarda la crisi attuale, ambientale – e trova la sua soluzione sul terreno politico, cioè nello sconvolgimento degli ordinamenti sociali a livello di singolo paese e del sistema di relazioni internazionali (tra paesi).
2. La guerra che dilaga nel mondo non è nata dalla cattiva volontà o dai calcoli sbagliati di uno o dell’altro dei membri della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti né come effetto della cattiva volontà dell’uno o dell’altro dei criminali che sono a capo dei governi dei loro paesi. Quindi non finirà nemmeno se capitasse che tra di essi un qualche illuminato o compassionevole personaggio prendesse l’iniziativa di farla finire. Sbagliano quindi, in particolare, quelli che guardano con speranza a Papa Bergoglio. Non solo perché finora ha molto chiacchierato e proclamato, ma non ha mai cercato di mobilitare i suoi seguaci e fedeli e le risorse della sua Chiesa in un movimento politico contro i governi che promuovono la guerra, cioè quelli della Comunità Internazionale, per sostituirli con governi fautori della pace. Ma anche perché (al di là delle sue riposte intenzioni) non è nelle sue facoltà porre fine alla guerra anche se personalmente davvero lo volesse e cercasse di farlo. La guerra è un parto necessario della crisi generale del capitalismo e non è possibile porre fine alla guerra senza rovesciare il sistema capitalista almeno in alcuni dei maggiori paesi imperialisti, cioè senza un salto della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti, senza che almeno uno dei grandi paesi imperialisti rompa le catene della Comunità Internazionale e in questo modo apra la via anche alle masse popolari degli altri paesi.
3. Da trent’anni a questa parte, la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti sovverte e colpisce su scala crescente ogni Stato che non si piega alla sua volontà e che non apre le frontiere alle sue scorrerie, ai suoi traffici, ai suoi affari e alle sue sopraffazioni. Tutti i gruppi imperialisti hanno bisogno di fare traffici e affari nei paesi oppressi, di aprire miniere, di installare piantagioni, di “ripulire” la terra dalle popolazioni che ci abitano, di delocalizzarvi aziende, di imporre opere pubbliche e altre operazioni speculative, di vendere armi, di fare investimenti. Non ne possono fare a meno, non potrebbero valorizzare altrimenti il capitale che hanno accumulato, si fanno perfino la guerra tra di loro perché ogni gruppo deve valorizzare il suo capitale. Per i gruppi imperialisti il caos è meglio di uno Stato che rifiuta di obbedire e piegarsi, dal momento che sostituire gli Stati disobbedienti con Stati obbedienti e sottomessi si rivela un’illusione. Essi suscitano e armano ribellioni, conducono attività e operazioni sovversive facendo leva in ogni paese (borghese o semifeudale) sui mille buoni motivi di ribellione che in ogni paese ha l’una o l’altra parte delle masse popolari oppresse dalla classe dominante. Ma regolarmente i capi e gli eserciti di queste ribellioni prima o poi si rivoltano contro i gruppi imperialisti che li hanno allevati, tanto è insopportabile alle masse in rivolta l’ordine che i gruppi imperialisti vorrebbero imporre. È un ordine che va sempre più a pezzi perfino negli stessi paesi imperialisti.
4. Gli attentati nelle metropoli dei paesi imperialisti (Parigi, Londra, Madrid, New York) hanno come causa diretta la politica di sopraffazione, devastazione e guerra che la Comunità Internazionale conduce da trent’anni a questa parte in tutto il mondo, in particolare in Medio Oriente e in Africa (ricolonizzazione dei paesi oppressi).
Negli attentati compiuti in Francia il 13 novembre e nello stato d’emergenza instaurato di fatto da vari governi europei, ivi compreso il governo della Repubblica Pontificia, si combinano:
– il contrattacco portato nei paesi imperialisti dai gruppi e dagli organismi che sono alla testa della resistenza delle masse popolari dei paesi arabi e musulmani all’attacco sferrato dalle potenze imperialiste,
– operazioni pilotate dai gruppi imperialisti americani contro l’UE franco-tedesca per conservare la loro dominazione economica, finanziaria e politica sul mondo,
– operazioni dei gruppi imperialisti franco-tedeschi per portare a un livello superiore la loro lotta (rafforzare l’unità politica dell’Europa) per strappare la dominazione sul mondo ai gruppi imperialisti americani.
5. Né la Comunità Internazionale dei gruppi europei, americani e sionisti né la resistenza delle masse popolari dei paesi oppressi possono prevalere definitivamente e su larga scala uno sull’altro.
I gruppi imperialisti della Comunità Internazionale non sono in grado di vincere la guerra che essi generano e alimentano,
– perché le masse popolari dei paesi oppressi non accettano le condizioni che essi impongono: sia grazie ai progressi in termini di coscienza e di organizzazione fatti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale persino dalle masse popolari più arretrate dei paesi oppressi, sia a causa della intrinseca insostenibilità di quelle condizioni che comporterebbero l’eliminazione di intere popolazioni e il dissesto ambientale e climatico del pianeta;
– perché man mano che la guerra dilaga nei paesi oppressi, essa si trasforma in guerra tra gruppi imperialisti per la spartizione del frutti della rapina: lo scontro tra Comunità Internazionale e la Federazione Russa e la Cina si aggiunge allo scontro tra i gruppi imperialisti USA e i gruppi imperialisti franco-tedeschi.
La resistenza delle masse popolari dei paesi oppressi a sua volta non è in grado vincere la guerra per quanto grandi siano gli atti di eroismo delle masse popolari che essa mobilita, per vasto che divenga il reclutamento di combattenti che compie negli stessi paesi imperialisti e per quanto vasto divenga il contrattacco che porta nei paesi imperialisti. Il motivo principale per cui non è in grado di vincere sta nell’arretratezza della concezione del mondo che la guida (clericale, reazionaria) e dell’ordine sociale che promuove (arretrato, feudale). Proprio per questo essa non è in grado di conquistare in misura sufficiente la simpatia e l’adesione delle masse popolari dei paesi imperialisti e di mobilitare in questi paesi sufficienti forze rivoluzionarie: neanche al livello a cui giunsero, proprio grazie alla concezione del mondo più avanzata che le guidava, la rivoluzione vietnamita, la rivoluzione cubana e la lotta di liberazione nazionale algerina.
Siamo quindi coinvolti in una guerra cronica e dilagante finché essa non susciterà la rivoluzione socialista. La rivoluzione socialista non scoppierà direttamente a causa della guerra (lo abbiamo visto anche durante la prima parte del secolo XX), ma la guerra alimenterà la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato che è già in corso, fornirà nuovi combattenti ai partiti comunisti e alle loro organizzazioni e susciterà vasta adesione alle sue iniziative di lotta.
6. Lo sviluppo della guerra è tale che non è affatto da escludere che nei paesi imperialisti, anche nel nostro, una parte importante della popolazione, anche delle masse popolari e perfino della classe operaia, aderisca inizialmente alla guerra “contro il terrorismo”, soprattutto se il contrattacco delle forze antimperialiste arabe contro i paesi imperialisti si confermerà essere una campagna di lunga durata e su grande scala o se si confermerà che lo scontro tra i gruppi imperialisti americani e i gruppi imperialisti franco-tedeschi è passato a un livello superiore.
Le condizioni in cui la guerra si sviluppa, si prestano alla mobilitazione reazionaria di parti importanti delle masse popolari dei paesi imperialisti. Queste non sono obiettivamente interessate alle imprese criminali dei gruppi imperialisti, all’invasione e all’oppressione dei paesi neocoloniali, alla globalizzazione imperialista. Lo dimostra il corso delle cose: mentre i gruppi imperialisti estendono la guerra e la devastazione nei paesi coloniali, le masse popolari dei paesi imperialisti sono anch’esse vittime dei dissennati tentativi della classe dominante di far sopravvivere il suo sistema di relazioni sociali. Lo sviluppo della guerra porta a restrizioni senza fine, anche se alimenta l’occupazione (keynesismo di guerra). Ma la borghesia e il suo clero approfittano delle condizioni favorevoli alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari nella “guerra contro il terrorismo”. Le organizzazioni e le forze che nei paesi oppressi, devastati e aggrediti dalla Comunità Internazionale e dai suoi governi resistono alle operazioni devastanti e alle spedizioni criminali dei governi dei paesi imperialisti, portano la guerra nei paesi imperialisti con le armi di cui dispongono: gli attentati sono le armi di cui esse dispongono. Finché sono mobilitati e diretti dai gruppi reazionari e guidati dalle ideologie reazionarie che oggi sono alla testa della resistenza dei paesi oppressi, anche i combattenti che la resistenza arruola nei paesi imperialisti, non possono fare di meglio. Solo la rinascita del movimento comunista e lo sviluppo della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti daranno anche a questi combattenti un altro indirizzo e metodi di lotta selettivi e più efficaci.
Noi nella situazione attuale, nell’immediato, non siamo in grado di evitare questo sviluppo: come dei semplici cittadini non sono in grado di evitare che le persone ridotte in miseria e che non accettano di morire di miseria, rubino, rapinino e per far fronte alla loro miseria ricorrano ad altre simili vie che colpiscono soprattutto i membri delle masse popolari (i quali sono meno difesi dei membri della borghesia e del clero). Solo la crescita delle rivoluzione socialista può cambiare il corso delle cose.
Le elezioni in Francia
Le elezioni regionali in Francia si sono concluse, dopo due turni, con la spartizione delle regioni fra le due principali fazioni che si contendono la direzione del paese (quella capeggiata da Hollande e quella capeggiata da Sarkozy), con l’unica eccezione della vittoria della coalizione nazionalista in Corsica. Importanti segnali sono tuttavia arrivati dal primo turno di quelle elezioni: in molte regioni il partito di maggioranza relativa era il Fronte Nazionale (FN).
“Al primo turno delle elezioni vi sono stati due segni di rottura di questo corso delle cose:
– le astensioni sono diminuite; i voti validi erano 19.47 milioni (44.6% dei 43.64 milioni di iscritti) nelle precedenti elezioni regionali del 2010 e sono aumentati a 21.7 milioni (47.9% dei 45.30 milioni di iscritti) domenica 6 dicembre 2015: quindi 2.32 milioni di voti validi in più;
– l’aumento dei voti validi è andato esclusivamente a favore della lista che le due “famiglie” escludono dal loro sistema politico, il Fronte Nazionale (FN) che inoltre ha portato via voti a tutte due le “famiglie”: i suoi voti sono passati da 2.22 milioni nel 2010 a 6.02 milioni domenica scorsa, circa 3.79 milioni in più.
Una brutta notizia, certo, perché il FN proclama apertamente la politica razzista e bellicista che le due “famiglie” si limitano a praticare: respingimenti, chiusura delle frontiere, persecuzione dei musulmani, campi di concentramento sono già in atto. È alleato della Lega Nord di Salvini e come causa del marasma sociale non sa indicare altro che l’immigrazione e la sottomissione alla UE e alla BCE. Ma contro la combinazione dei gruppi imperialisti franco-tedeschi il FN non si dà i mezzi per praticare la politica che proclama e i gruppi imperialisti americani oggi non possono dare niente alle masse popolari francesi: quindi il solo risultato reale dell’affermazione del FN, tanto più se dovesse prendere in mano qualche regione (è presente in buona posizione al secondo turno in tutte le 13 regioni, mentre nel 2010 lo era solo in 12 su 22 e in misura risicata), è la rottura del sistema politico esistente.
Cosa succederà quindi? Dopo l’affermazione del FN, il portavoce del Front de Gauche, Jean Luc Mélenchon, sostenitore di François Hollande al secondo turno delle ultime elezioni presidenziali, ha ben dichiarato “chi segue la politica del meno peggio, va di male in peggio” e ancora: “il FN ha preso i voti che sono nostri: degli operai e dei giovani che il sistema schiaccia. Sta a noi domandarci perché non li abbiamo raccolti noi e provvedere”.
Noi non siamo in grado di garantire che Jean Luc Mélenchon farà quello che ha detto che bisogna fare. Anzi, visti i suoi trascorsi riteniamo che è più facile che in Italia Maurizio Landini (o Giorgio Cremaschi) diventi presidente del Governo di Blocco Popolare di cui noi promuoviamo la costituzione che non che Jean Luc Mélenchon si faccia promotore della rinascita del movimento comunista in Francia. Ma la strada è questa e prima o poi qualcuno la imboccherà” (dal Comunicato del (n)PCI del 12.12.15).