La spedizione di propaganda in Puglia – diario di bordo

Un compagno pugliese qualche mese fa ci ha detto:“io non mi sento di entrare nel Partito, ho tutta una serie di questioni personali a cui dover far fronte e per il momento non posso impegnarmi con una militanza sistematica. Penso però che nella mia regione ci siano tutta una serie di possibilità di sviluppo per il Partito e sarei lieto di aiutarvi a farlo, mettendo a disposizione la mia abitazione per ospitare per qualche giorno compagni di altre zone, presentarvi attivisti del territorio e dandovi qualche informazione sul contesto”.
Abbiamo allora pensato di organizzare una spedizione in Puglia. Una spedizione diversa però da quelle che facciamo di solito nelle zone e regioni dove non siamo presenti e che durano un giorno, a volte due. Abbiamo pensato di  “alzare il tiro” e di organizzare una spedizione di ben cinque giorni, con cinque giovani compagni della Campania. Una cosa nuova per noi. Obiettivo: sviluppare un’articolata attività di propaganda davanti alle fabbriche, alle scuole superiori e all’università, intervistare operai, studenti e attivisti, conoscere comitati, collettivi, associazioni, sindacati, far conoscere il Partito e porre le basi per un suo sviluppo nella zona. Allo stesso tempo far compiere a cinque nostri giovani compagni un’esperienza politica e di vita che li arricchisse, che alimentasse la loro crescita, la loro emancipazione dalla famiglia d’origine, che allargasse i loro orizzonti ed estendesse la loro conoscenza del paese e della lotta di classe che in esso avviene, andando oltre la propria regione o città, per poi tornare in esse con maggiore slancio e determinazione.
Questa spedizione si è tenuta dal 14 al 18 dicembre e ha toccato le città di Lecce, Gallipoli e Taranto. E’ andata oltre le nostre aspettative, a dimostrazione che gli appigli per sviluppare la nostra opera sono tantissimi e sta solo a noi cercarli, vederli, valorizzarli al meglio, osando e imparando dall’esperienza. Un bella “botta” contro il pessimismo e il disfattismo!

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La spedizione ha innanzitutto creato un bel sommovimento al nostro interno, prima ancora di entrare nella sua fase operativa. Come ogni cosa nuova, smuove equilibri, mette in discussione assetti e abitudini, spinge ad avanzare. E’ stato un processo che ha investito diversi compagni, il loro rapporto con i genitori, il loro rapporto di coppia, il loro rapporto con ciò che è di loro proprietà, il loro concetto di Partito e di militanza. Riportiamo alcuni estratti di loro lettere e discorsi, dando così una visione d’insieme, dall’interno e a più voci di questo sommovimento collettivo, di questa corda d’arco che si è tesa prima della spedizione per poi liberarsi e scoccare la freccia. Verso il Sud.
I miei genitori stanno facendo ostruzionismo rispetto alla mia partenza. Mi stanno pressando, mettendo alla strette, stanno facendo leva sui miei sensi di colpa e sulla mia dipendenza economica da loro. Mi hanno detto che non posso saltare l’Università per cinque giorni. Mi hanno detto poi ‘che figura ci facciamo con il tuo ragazzo se ti mandiamo cinque giorni in Puglia?’ e, ancora, ‘che cosa penserà di te e di noi la gente?’. Questo mi ha fatto male. Soffro molto nel non riuscire a cambiarli, a fargli capire l’importanza di quello che sto facendo… Ma io voglio partire, voglio far parte di questa spedizione, voglio contribuire allo sviluppo del Partito in Puglia, voglio allargare i miei orizzonti e uscire dal solito contesto! Chiedo al collettivo di sostenermi e di aiutarmi nell’affrontare questa situazione! Con il Partito posso farcela!”.
Sono combattuta se dare o meno al Partito i miei contatti in Puglia, per la spedizione… La Puglia è la mia terra d’origine, dove sono cresciuta, dove vive la mia famiglia. Non so come loro la prenderebbero se gli chiedessi di ospitare dei compagni o se mi attivassi per mettere compagni e operai del posto (loro conoscenti) in contatto con il Partito… Forse si, la Puglia è il mio ‘porto sicuro’ come mi state dicendo, che scollego dall’attività politica che svolgo con il Partito fuori dalla Puglia, una sorta di via di fuga sempre aperta e sempre pronta…”. Qualche giorno dopo: “Compagni ci ho pensato su e voglio contribuire alla spedizione: questi sono i miei contatti in zona. Li ho già sentiti. Sono disponibili ad incontrarvi. Ditemi come posso aiutarvi e cosa posso fare dell’altro! Ci manco solo io…”.
La mia ragazza ieri sera mi ha detto che la nostra storia è finita. Per me è un colpo durissimo, inatteso. Sto soffrendo, compagno, non ho dormito questa notte. Ma mi sono assunto la responsabilità con il Partito di partire con la spedizione e non intendo tirarmi indietro. Non abbandono la posizione. ‘In questi momenti vedo solo la mia vita e la mia sofferenza, è la mia sola verità. In questi momenti, cari compagni, ributtatemi nella realtà!’ (Giorgio Gaber, Ci sono dei momenti)”.
Fare una valutazione sullo stato economico di mio padre, non equivale a fare una valutazione sul mio stato economico, infatti lui non vive con me e mia madre, non è lui che mi mantiene quotidianamente o che mi ha mai mantenuta economicamente. Non posso chiedere delle sottoscrizione per la spedizione ad una persona che non sento quasi mai o vedo una volta all’anno. Inoltre secondo la sua concezione c’è un ricatto morale, dove sono i soldi a creare un rapporto. Per questo non gli ho chiesto soldi (…) mi sono attivata però per raccogliere 80 euro di sottoscrizione attraverso altre persone, nonostante le mie resistenze iniziali e l’atteggiamento di delega ad altri rispetto a questo aspetto (l’aspetto finanziario) della spedizione”. 
Adesso che la spedizione si è conclusa, mi rendo conto di quali erano le mie resistenze a prestare l’auto ai compagni che partivano. L’auto mi è stata riconsegnata così come l’avevo lasciata ai compagni. Ne avevo certezza fin da principio, in realtà (…) Preoccupazioni proprie al senso comune le mie, si direbbe. In realtà, qualcosa anche di più specifico. Preoccupazioni simili a quelle di un padre che, per la prima volta, lascia l’auto ai figli neopatentati. Questo ho pensato, facendo analisi delle mie preoccupazioni. Inaccettabile davvero! Infatti poi, guardando il compagno che avrebbe guidato, né figlio né neopatentato, ma compagno di spinta e prospettiva, motivato e attento e mio compagno d’organismo e guardando il resto della squadra, giovani compagni entusiasti di sentirsi Partito, essere essi stessi Partito, mi sono accorto di quanto sciocca potesse essere la mia preoccupazione di fronte all’impresa che stiamo costruendo, di fronte a una spedizione pionieristica per il Partito, che chiedeva anche a me di fare la mia parte. Ecco, al di la dell’auto, che resta solo un mezzo sostanzialmente, la mia parte era quella di avere fiducia nei compagni e nel Partito. Né fede, né obbedienza mera, né ‘si fa così perché è l’unico modo in cui si può fare’. Fiducia, invece. Quindi, in questo senso, la spedizione in Puglia mi è stata utile anche personalmente, ovvero relativamente al mio processo di crescita e di trasformazione in comunista”.

Tante sono state le scoperte fatte. Tante le sorprese positive.
Una di queste è stata la risposta di una compagna di Lecce (che non conoscevamo) alla mail che dall’indirizzo centrale del Partito abbiamo inviato a tutti i recapiti che abbiamo in Puglia chiedendogli di contribuire alla spedizione con segnalazioni di scuole e fabbriche in cui intervenire e aiutandoci a metterci in contatto con compagni e collettivi interessanti. La compagna ha risposto, mettendoci in contatto con altri cinque-sei attivisti di diverse realtà. Riportiamo un estratto della sua mail, ringraziandola ancora per il prezioso aiuto che ci ha dato (di fatto è stata una delle protagoniste di questa esperienza!): “Sono felice che i compagni della spedizione abbiano trovato utili i nomi che ho dato loro, sono compagni che vivono una vita autentica e vicina sinceramente a chi non ha voce in ogni ambito e ad ogni livello. Io sono una comunista ‘istintiva’, e tale rimarrò! Studio, leggo mi confronto ma poi mi rendo conto che continuo istintivamente a fidarmi del mio intuito che finora non mi ha mai tradito, così come è successo con il P.CARC. Non sapevo bene chi foste, ma mi sono fidata e ho fatto bene! Non vi nascondo che altre persone contattate, mi hanno categoricamente chiuso la porta, spiegandomi quali potessero essere gli opportunismi celati dietro alla vostra venuta! Sono andata avanti, perché so che significa impegnarsi per un mondo migliore e quale sia il costo da pagare! Dunque non vi aspettate che mi impegni per campagne elettorali o altro, non per ora, ma state certi che mi impegnerò a darvi il mio aiuto e il mio appoggio qualora doveste averne bisogno!”.
“Diamo dei numeri” per rendere l’ìdea. Abbiamo diffuso 1.500 volantini (facendo anche megafonaggio) davanti a due scuole superiori, all’Università di Lecce e all’Ilva di Taranto. Abbiamo venduto 20 Resistenza. Abbiamo conosciuto esponenti di sei organismi con cui prima non eravamo in contatto (Binario68 Lecce, Rete dei conflitti, collettivo universitario di Lecce, NO TAP, UdS Nardò, Casa Occupata di Taranto, associazione Gallipoli Futura), abbiamo fatto sei interviste (ad alcuni degli organismi appena indicati, più l’USB dell’Ilva e lo Spartak Lecce), abbiamo tenuto una lettura di Resistenza all’Università di Lecce con 8 compagni e un’assemblea (come relatori) con Gallipoli Futura, alla presenta di 50 persone. Il dato però che più rende l’idea è che da 3 contatti che avevamo prima di avviare la costruzione della spedizione alla fine dell’operazione ne abbiamo più di 50!

Non è stato però tutto “rose e fiori”. Anzi sul campo la spedizione è iniziata un po’ in salita, a dire il vero. La prima sera, appena arrivati, abbiamo avuto una riunione con alcuni anarchici dello spazio occupato di Lecce Binario68. Eravamo veramente interessati di conoscere la loro esperienza, di conoscere il movimento cittadino, a confrontarci. L’accoglienza non è stata delle migliori, la discussione è stata abbastanza accesa, avvitandosi sulla forma-partito, sullo stalinismo, ecc. anziché sviluppare un positivo interscambio, sulle rispettive esperienze. Siamo andati via con l’amaro in bocca. Un po’ delusi e un po’ spiazzati. “La spedizione sarà tutta cosi?”. Ragionando collettivamente (abbiamo fatto una riunione fino a tarda notte) alla fine ci siamo però detti: “siamo solo all’inizio!”. E per fortuna. E’ stata un po’ la nostra “prova del fuoco”.
I giorni successivi ci hanno confermato che il settarismo e la chiusura nei nostri confronti non erano cose così diffuse. Anzi i giorni a nostra disposizione si sono dimostrati essere veramente pochi a fronte della ricchezza del territorio e delle relazioni intessute (abbiamo dovuto sacrificare incontri con diversi compagni, non abbiamo potuto sviluppare rapporti con diversi organismi, non siamo riusciti ad andare a Brindisi).
Andando Lecce abbiamo incontrato compagni dello Spartak Lecce, che ci hanno dato tutta una serie di elementi sulla città, sul movimento politico in essa presente, sulla sua storia. Informazioni preziose per orientarci nel nuovo contesto. Ci hanno invitato a tornare in occasione dei mondiali anti-razzisti che si terranno in primavera.
All’Università abbiamo scoperto che c’erano dei compagni del collettivo che già ci conoscevano, alcuni di loro avevano anche letto il nostro materiale (uno di essi anche i nostri documenti congressuali) ed erano interessati a sviluppare il dibattito con noi. Abbiamo allora tenuto una (completamente inaspettata!) lettura di Resistenza nell’Università, con la partecipazione di otto compagni tra cui un professore universitario attivo anche nella Rete dei conflitti (struttura nata circa cinque-sei mesi fa per coordinare e organizzare le lotte sociali presenti sul territorio). Abbiamo letto e commentato l’editoriale del numero di novembre-dicembre, sviluppando poi un articolato dibattito sull’analisi della situazione, la linea che i comunisti devono seguire, le scelte tattiche. Molto dibattuta (ma ormai ci siamo abituati!) è stata la posizione che abbiamo assunto alle elezioni politiche del 2013 rispetto al M5S e l’utilizzo che più complessivamente i comunisti devono fare delle elezioni (tema caldo soprattutto per i compagni che vengono dal PRC e PdCI e che per rigetto della sinistra borghese sono passati nel campo dell’astensionismo), l’unità dei comunisti e, anche, l’attualità della forma-partito, la tattica del GBP. Riportiamo alcuni estratti dell’intervento del professor De Nardis: “Nell’editoriale trovo i contenuti di Marx e Lenin, attualizzati nella nostra situazione (…) La rivoluzione non va intesa come ‘momento X’ ma in un’ottica processuale, che comincia molto prima del fare rivoluzione e che prosegue anche dopo. Altrimenti ci mettiamo ad aspettare il ‘momento X’ che non arriva mai e per qualcuno inizia ad essere stressante (…) dobbiamo capire come costruire il Governo di Blocco Popolare: oggi non è facile parlare con il cittadino che vive le contraddizioni della crisi ma non è politicizzato. La maggior parte dei cittadini, in particolare i più giovani, vivono una situazione di stimoli sociali che li ha completamente desertificati: cinema, tv, giornali, politica borghese. E’ difficile far capire ai cittadini che la politica non si esaurisce nel rapporto a due o a tre (…) Dal ‘75 in poi è cambiato non solo il modello produttivo ma anche l’organizzazione sociale (la scuola, l’università, la precarietà e la miriadi di tipi contratti, ecc.). Bisogna capire le modalità di intervento, a partire dalla comunicazione (…) E’ molto utile recuperare gli insegnamenti di Gramsci (…)”. Il professore si è detto disponibile a proseguire l’interscambio, ponendo particolare attenzione all’aspetto scientifico della politica rivoluzionaria, anche con nuove iniziative nell’Università.

Abbiamo incontrato esponenti del Movimento contro il gasdotto TAP, un realtà che conoscevamo molto, molto vagamente e che invece è ricchissima di esperienza e che si incammina di fatto nella direzione di diventare una Nuova Autorità Pubblica!
Lasciamo la parola al racconto di uno dei protagonisti: “Siamo partiti in pochi, nel 2010, con la piccola associazione Tramontana di Menendugno (attiva nelle battaglie ambientali). Inizialmente pensavamo che la TAP sarebbe stata un tubo sulla spiaggia. Abbiamo poi scoperto che era un gasdotto enorme. Preziosa è stata la collaborazione ingegneri e architetti, giovanissimi, del territorio che con le loro competenze ci hanno aiutano a comprendere meglio la situazione. Da collaboratori molti di loro con il tempo sono diventati parte attiva del movimento. Una cosa che abbiamo capito è che l’esito della battaglia è molto legato alla conoscenza: senza conoscere bene contro cosa stai lottano le tue armi sono poco incisive. Se sei bravissimo ad organizzare la manifestazione ma non conosci il progetto, non sei efficace (…) Abbiamo avviato un’azione di logoramento politico: irruzioni nel Comune di Menendugno, abbiamo costretto la giunta comunale a fare una delibera contro al NAP, cominciano ad arrivare le delibere di altri comuni interessati (la TAP prevede altri paesi). Anche la Regione è stata costretta a dare il suo parere negativo (…) Nel 2012 c’è un punto cruciale. Il comitato inizia una nuova sperimentazione: ci sono le elezioni amministrative. Tutte le liste di Menendugno si dichiararono contro il gasdotto. Il sindaco eletto si è dovuto confrontare con il suo programma, che aveva un forte NO al TAP. Siamo quindi entrati nella prima istituzione: questo ci ha permesso di avere tutti i documenti, di essere sempre presenti e vigili, di essere interni alle decisioni del Comune. Il sindaco ha istituito su nostra spinta una commissione tecnica comunale sul TAP, con i tecnici del movimento a cui si sono aggiunti anche tecnici venuti da tutta la Puglia (ingegneri, architetti, geologici, professori Universitari: 40 persone in tutto!). Hanno spolpato il progetto, lo hanno distrutto (…) Abbiamo provato ad entrare anche in Regione: abbiamo reso il TAP un problema della regione intera. Tutti i candidati presidenti alle elezioni si sono dovuti esprimere contro il gasdotto. Il candidato che ora è diventato presidente (Vendola) ha dovuto rispondere ancora una volta del suo programma. Il TAP alla fine del 2012 viene bocciato dalla Regione e il Ministero ha chiesto integrazioni, delucidazioni alla multinazionale (…)
Non è vero che le persone non capiscono, dipende da come si interviene. Abbiamo tradotto i volantini anche in dialetto salentino e il risultato è stato che i vecchi al bar ad un certo punto mentre giocavano a carte si sono messi a parlare di TAP! Anche l’esempio dei tecnici parla chiaro: oggi ci sono tecnici legati al movimento in Comune, Regione, ARPAC, ecc., che controllano le istituzioni e ci riferiscono quello che non va. Tutti i documenti sono controllati. Se gli enti sbagliano, bisogna denunciarli subito dicendo che non rispettano il programma elettorale. Ormai siamo ritenuti una fonte molte attendibile e quando parliamo ciò che diciamo viene subito ripreso dai giornali (…)
Il NO TAP è composto da 60 associazioni, che si sono aggregate tra loro (e alcune sono nate) nell’arco di 5 anni. Associazioni attive nel sociale e in campo ambientale. Per noi le questioni legate del gasdotto e del lavoro vanno affrontare con la stessa visione, non vanno messe in contrapposizione e bisogna fare fronte comune. Ci poniamo in una posizione di ferma opposizione ai tentativi di mettere lavoro contro ambiente e viceversa. C’è forte strumentalizzazione della contraddizione lavoro e ambiente nel nostro territorio ma non solo (…) Ad esempio a Taranto, con l’Ilva. Il governo dovrebbe aprire una seria inchiesta. Ma perché non lo fa? Perché anche i pezzi grossi sono collusi, il governo dovrebbe mettere sotto accusa se stesso e buona parte della classe politica (…) un governo di emergenza popolare, di cui parlate, sarebbe interessante ma in Italia non ci sono i numeri”.
Al compagno abbiamo fatto notare che “i numeri” che contano realmente, che ci devono interessare e che dobbiamo moltiplicare non sono quelli elettorali ma i movimenti come il loro, come i NO TAV, i NO MUOS che dal basso prendono in mano il territorio, organizzano le masse popolari e le mobilitano, mettono a contribuzione tecnici, indicano con i rapporti di forza alle Amministrazioni Locali cosa fare, favoriscono e alimentano il coordinamento tra le diverse Amministrazioni Locali, si legano con gli operai in lotta, con gli studenti e gli insegnamenti in lotta, i lavoratori e i disoccupati che si organizzano per far fronte alla crisi!

Siamo stati a Taranto, restando impressionati davanti all’Ilva, una fabbrica gigantesca che sovrasta la città. Siamo stati davanti ai cancelli della fabbrica, facendo due diffusioni e comizi (alcuni compagni dell’USB ci hanno anche riconosciuto: c’eravamo incontrati qualche mese fa davanti ai cancelli della FCA di Melfi!), abbiamo attraversato il quartiere Tamburi con le sue case rosse per via delle polveri della fabbrica.
In uno dei quartieri vicino all’Ilva abbiamo incontrato alcuni degli attivisti della “Casa Occupata”, un’esperienza interessante di riappropriazione di uno spazio e di lotta al degrado: uno spazio in disuso è stato occupato da un collettivo di insegnanti (attivi anche contro la Buona Scuola) e non, che lo hanno reso una scuola popolare autorganizzata per i bambini che a scuola non ci vanno, una scuola che insegna le materie scolastiche attraverso una didattica creativa e legata al territorio, che forma culturalmente e anche come cittadini. Ad es. per insegnare la geometria questi compagni hanno portato i bimbi a vedere un campo da calcio abbandonato del quartiere, hanno preso le misure e, tornati in classe, ogni bimbo ha fatto il suo “progetto” di ristrutturazione del campo, un suo disegno che è stato discusso, analizzato accuratamente e collettivamente e, alla fine, la classe e gli insegnanti sono giunti ad un progetto unitario e… sono andati a ristrutturare realmente il campo da calcio! Insomma un didattica strettamente legata all’intervento nella vita sociale e che si combina anche con una sorta di autorganizzazione del lavoro, fermo restando la tutela dei bimbi: questa è la “Buona scuola” che serve! Ascoltando questo stupendo racconto non abbiamo potuto fare a meno di pensare alla colonia Gorki di Makarenko in URSS…
Siamo stati poi nella sede dell’USB, sindacato in espansione nella città con più di 2.000 iscritti tra l’Ilva e un grande call-center, e abbiamo intervistato il compagno Franco Rizzo, che ci ha illustrato la situazione in fabbrica, nel territorio, ha messo in luce che il sindacato non può occuparsi solo di vertenze e chiudersi in fabbrica (“bisogna ispirarsi a Di Vittorio”) e che il problema della contraddizione ambiente-salute lo può risolvere solo un governo determinato a farlo (senza però indicare come fare per costruire questo governo). Gli lasciamo la parola: “(…) Il Comitato cittadini liberi e pensati di Taranto dal punto di vista della salute dice la verità: la situazione è drammatica. La loro proposta di far compiere ai lavoratori dell’Ilva la riqualificazione dell’area e dell’azienda è accattivante ma ci credo poco. Il governo dice ‘possiamo mettere a norma l’azienda’, noi come USB sosteniamo la nazionalizzazione. Se il problema si può infatti risolvere e si può avere un’azienda eco-compatibile, lo può fare solo lo Stato. Perché? Non ci sarà mai nessun privato che verrà a mettere dei soldi per risanare impianti e area. Ci vogliono produzioni con un bassissimo impatto ambientale, che esistono (…) Secondo noi, quindi, è il governo si deve fare carico, che deve cominciare a valutare un’alternativa. Ma, allo stesso tempo, finora abbiamo visto solo degli spot propagandistici (…)
Il nostro sindacato non è nato solo per entrare in fabbrica ma per occuparsi di tutto, di accompagnare i lavoratori nella fabbrica, fuori dalla fabbrica, nei quartieri, nel territorio, per essere un punto di riferimento, proporre idee, mettersi insieme, organizzarsi, mettere su un’alternativa diversa di fare sindacato e politica, perché chiariamoci sono la stessa cosa. Perché si stanno sviluppando idee che fanno male alla società, che opprimono la gente comune come noi, che in realtà è il centro, fulcro dell’economia (…) Quando facciamo questo, veniamo accusati di voler strumentalizzare (…) il sindacato nasce perché dovrebbe essere  un sindacato sociale, ma negli anni si è trasformato in una nicchia di affari, una sorta di banca (…) il modello è il sindacato di Di Vittorio (…)
Dobbiamo ribaltare l’ottica quando siamo attaccati: non dobbiamo pensare quello che ci dicono loro o limitarci a subire, ma diventare attori protagonisti del proprio futuro. La nostra generazione ha il compito di gettare le basi per costruire un’alternativa per le future generazioni che metta al centro i cittadini di lavoratori, un protagonismo vero, che porti la prossima generazione a diventare padrona di se stessa e non essere più subalterna come lo siamo oggi (…)”.

Abbiamo incontrato gli studenti di Nardò, siamo andati nella loro sede, ci siamo confrontati con una rappresentante dell’Unione degli Studenti: compagni attivi sia nella scuola, sia sul territorio con cui hanno tutta una serie di rapporti e relazioni, coscienti che gli studenti sono cittadini e che la lotta contro la “Buona scuola” deve essere combinata con la lotta per il lavoro, contro la guerra tra poveri e le prove di fascismo.
L’ultimo giorno, abbiamo tenuto… un’assemblea con l’associazione Gallipoli Futura, interessata a conoscere la nostra posizione rispetto alle elezioni amministrative e sulle Amministrazioni Locali di Emergenza. Un’assemblea partecipata, con più di 50 persone (siamo rimasti spiazzata, francamente, ci aspettavamo una riunione ristretta e non così tanta gente!), in cui si è sviluppato un positivo interscambio rispetto al tipo di campagna elettorale che occorre (“organizzare e mobilitare le masse popolari per adottare qui ed ora le misure necessarie e non attendere il dopo elezioni!”) e al tipo di amministrazione locale che è necessaria. Le nostre posizioni hanno suscitato interesse, dieci persone hanno acquistato Resistenza e qualche giorno dopo un compagno ci ha chiamato e ci ha detto di aver proposto all’associazione di organizzare un comitato di disoccupati per fare scioperi al contrario e la proposta è passata!
Siamo tornati a casa arricchiti da questa esperienza dal punto di vista persona e politico, abbiamo scoperto un territorio ricco di esperienze importanti di autorganizzazione e lotta e, soprattutto, ci siamo resi conto veramente che sono moltissime le possibilità, gli appigli per sviluppare la nostra opera, che la linea del Governo di emergenza popolare è lo sbocco di tutte queste esperienze (dalla lotta per la difesa e il miglioramento dell’ambiente a quelle per il lavoro, dalla lotta contro il degrado a quella contro la Buona Scuola, dalla lotta contro le prove di fascismo e quella per un’amministrazione realmente al servizio delle masse popolari) e che dipende solo da noi cercarli, vederli, intervenirci. Cinque giorni se all’inizio ci sembravano molti e avevamo il timore di non riuscire ad impiegarli al meglio, alla fine ci siamo resi conto che sono estremamente pochi… Torneremo a breve in Puglia! E tutti i compagni si sono proposti per…. la prossima spedizione! Adelante!

Un compagno pugliese qualche mese fa ci ha detto:“io non mi sento di entrare nel Partito, ho tutta una serie di questioni personali a cui dover far fronte e per il momento non posso impegnarmi con una militanza sistematica. Penso però che nella mia regione ci siano tutta una serie di possibilità di sviluppo per il Partito e sarei lieto di aiutarvi a farlo, mettendo a disposizione la mia abitazione per ospitare per qualche giorno compagni di altre zone, presentarvi attivisti del territorio e dandovi qualche informazione sul contesto”.

Abbiamo allora pensato di organizzare una spedizione in Puglia. Una spedizione diversa però da quelle che facciamo di solito nelle zone e regioni dove non siamo presenti e che durano un giorno, a volte due. Abbiamo pensato di  “alzare il tiro” e di organizzare una spedizione di ben cinque giorni, con cinque giovani compagni della Campania. Una cosa nuova per noi. Obiettivo: sviluppare un’articolata attività di propaganda davanti alle fabbriche, alle scuole superiori e all’università, intervistare operai, studenti e attivisti, conoscere comitati, collettivi, associazioni, sindacati, far conoscere il Partito e porre le basi per un suo sviluppo nella zona. Allo stesso tempo far compiere a cinque nostri giovani compagni un’esperienza politica e di vita che li arricchisse, che alimentasse la loro crescita, la loro emancipazione dalla famiglia d’origine, che allargasse i loro orizzonti ed estendesse la loro conoscenza del paese e della lotta di classe che in esso avviene, andando oltre la propria regione o città, per poi tornare in esse con maggiore slancio e determinazione.

Questa spedizione si è tenuta dal 14 al 18 dicembre e ha toccato le città di Lecce, Gallipoli e Taranto. E’ andata oltre le nostre aspettative, a dimostrazione che gli appigli per sviluppare la nostra opera sono tantissimi e sta solo a noi cercarli, vederli, valorizzarli al meglio, osando e imparando dall’esperienza. Un bella “botta” contro il pessimismo e il disfattismo!

  

La spedizione ha innanzitutto creato un bel sommovimento al nostro interno, prima ancora di entrare nella sua fase operativa. Come ogni cosa nuova, smuove equilibri, mette in discussione assetti e abitudini, spinge ad avanzare. E’ stato un processo che ha investito diversi compagni, il loro rapporto con i genitori, il loro rapporto di coppia, il loro rapporto con ciò che è di loro proprietà, il loro concetto di Partito e di militanza. Riportiamo alcuni estratti di loro lettere e discorsi, dando così una visione d’insieme, dall’interno e a più voci di questo sommovimento collettivo, di questa corda d’arco che si è tesa prima della spedizione per poi liberarsi e scoccare la freccia. Verso il Sud.

I miei genitori stanno facendo ostruzionismo rispetto alla mia partenza. Mi stanno pressando, mettendo alla strette, stanno facendo leva sui miei sensi di colpa e sulla mia dipendenza economica da loro. Mi hanno detto che non posso saltare l’Università per cinque giorni. Mi hanno detto poi ‘che figura ci facciamo con il tuo ragazzo se ti mandiamo cinque giorni in Puglia?’ e, ancora, ‘che cosa penserà di te e di noi la gente?’. Questo mi ha fatto male. Soffro molto nel non riuscire a cambiarli, a fargli capire l’importanza di quello che sto facendo… Ma io voglio partire, voglio far parte di questa spedizione, voglio contribuire allo sviluppo del Partito in Puglia, voglio allargare i miei orizzonti e uscire dal solito contesto! Chiedo al collettivo di sostenermi e di aiutarmi nell’affrontare questa situazione! Con il Partito posso farcela!”.

Sono combattuta se dare o meno al Partito i miei contatti in Puglia, per la spedizione… La Puglia è la mia terra d’origine, dove sono cresciuta, dove vive la mia famiglia. Non so come loro la prenderebbero se gli chiedessi di ospitare dei compagni o se mi attivassi per mettere compagni e operai del posto (loro conoscenti) in contatto con il Partito… Forse si, la Puglia è il mio ‘porto sicuro’ come mi state dicendo, che scollego dall’attività politica che svolgo con il Partito fuori dalla Puglia, una sorta di via di fuga sempre aperta e sempre pronta…”. Qualche giorno dopo: “Compagni ci ho pensato su e voglio contribuire alla spedizione: questi sono i miei contatti in zona. Li ho già sentiti. Sono disponibili ad incontrarvi. Ditemi come posso aiutarvi e cosa posso fare dell’altro! Ci manco solo io…”.

La mia ragazza ieri sera mi ha detto che la nostra storia è finita. Per me è un colpo durissimo, inatteso. Sto soffrendo, compagno, non ho dormito questa notte. Ma mi sono assunto la responsabilità con il Partito di partire con la spedizione e non intendo tirarmi indietro. Non abbandono la posizione. ‘In questi momenti vedo solo la mia vita e la mia sofferenza, è la mia sola verità. In questi momenti, cari compagni, ributtatemi nella realtà!’ (Giorgio Gaber, Ci sono dei momenti)”.

Fare una valutazione sullo stato economico di mio padre, non equivale a fare una valutazione sul mio stato economico, infatti lui non vive con me e mia madre, non è lui che mi mantiene quotidianamente o che mi ha mai mantenuta economicamente. Non posso chiedere delle sottoscrizione per la spedizione ad una persona che non sento quasi mai o vedo una volta all’anno. Inoltre secondo la sua concezione c’è un ricatto morale, dove sono i soldi a creare un rapporto. Per questo non gli ho chiesto soldi (…) mi sono attivata però per raccogliere 80 euro di sottoscrizione attraverso altre persone, nonostante le mie resistenze iniziali e l’atteggiamento di delega ad altri rispetto a questo aspetto (l’aspetto finanziario) della spedizione”. 

Adesso che la spedizione si è conclusa, mi rendo conto di quali erano le mie resistenze a prestare l’auto ai compagni che partivano. L’auto mi è stata riconsegnata così come l’avevo lasciata ai compagni. Ne avevo certezza fin da principio, in realtà (…) Preoccupazioni proprie al senso comune le mie, si direbbe. In realtà, qualcosa anche di più specifico. Preoccupazioni simili a quelle di un padre che, per la prima volta, lascia l’auto ai figli neopatentati. Questo ho pensato, facendo analisi delle mie preoccupazioni. Inaccettabile davvero! Infatti poi, guardando il compagno che avrebbe guidato, né figlio né neopatentato, ma compagno di spinta e prospettiva, motivato e attento e mio compagno d’organismo e guardando il resto della squadra, giovani compagni entusiasti di sentirsi Partito, essere essi stessi Partito, mi sono accorto di quanto sciocca potesse essere la mia preoccupazione di fronte all’impresa che stiamo costruendo, di fronte a una spedizione pionieristica per il Partito, che chiedeva anche a me di fare la mia parte. Ecco, al di la dell’auto, che resta solo un mezzo sostanzialmente, la mia parte era quella di avere fiducia nei compagni e nel Partito. Né fede, né obbedienza mera, né ‘si fa così perché è l’unico modo in cui si può fare’. Fiducia, invece. Quindi, in questo senso, la spedizione in Puglia mi è stata utile anche personalmente, ovvero relativamente al mio processo di crescita e di trasformazione in comunista”.

 

Tante sono state le scoperte fatte. Tante le sorprese positive.

Una di queste è stata la risposta di una compagna di Lecce (che non conoscevamo) alla mail che dall’indirizzo centrale del Partito abbiamo inviato a tutti i recapiti che abbiamo in Puglia chiedendogli di contribuire alla spedizione con segnalazioni di scuole e fabbriche in cui intervenire e aiutandoci a metterci in contatto con compagni e collettivi interessanti. La compagna ha risposto, mettendoci in contatto con altri cinque-sei attivisti di diverse realtà. Riportiamo un estratto della sua mail, ringraziandola ancora per il prezioso aiuto che ci ha dato (di fatto è stata una delle protagoniste di questa esperienza!): “Sono felice che i compagni della spedizione abbiano trovato utili i nomi che ho dato loro, sono compagni che vivono una vita autentica e vicina sinceramente a chi non ha voce in ogni ambito e ad ogni livello. Io sono una comunista ‘istintiva’, e tale rimarrò! Studio, leggo mi confronto ma poi mi rendo conto che continuo istintivamente a fidarmi del mio intuito che finora non mi ha mai tradito, così come è successo con il P.CARC. Non sapevo bene chi foste, ma mi sono fidata e ho fatto bene! Non vi nascondo che altre persone contattate, mi hanno categoricamente chiuso la porta, spiegandomi quali potessero essere gli opportunismi celati dietro alla vostra venuta! Sono andata avanti, perché so che significa impegnarsi per un mondo migliore e quale sia il costo da pagare! Dunque non vi aspettate che mi impegni per campagne elettorali o altro, non per ora, ma state certi che mi impegnerò a darvi il mio aiuto e il mio appoggio qualora doveste averne bisogno!”.

“Diamo dei numeri” per rendere l’ìdea. Abbiamo diffuso 1.500 volantini (facendo anche megafonaggio) davanti a due scuole superiori, all’Università di Lecce e all’Ilva di Taranto. Abbiamo venduto 20 Resistenza. Abbiamo conosciuto esponenti di sei organismi con cui prima non eravamo in contatto (Binario68 Lecce, Rete dei conflitti, collettivo universitario di Lecce, NO TAP, UdS Nardò, Casa Occupata di Taranto, associazione Gallipoli Futura), abbiamo fatto sei interviste (ad alcuni degli organismi appena indicati, più l’USB dell’Ilva e lo Spartak Lecce), abbiamo tenuto una lettura di Resistenza all’Università di Lecce con 8 compagni e un’assemblea (come relatori) con Gallipoli Futura, alla presenta di 50 persone. Il dato però che più rende l’idea è che da 3 contatti che avevamo prima di avviare la costruzione della spedizione alla fine dell’operazione ne abbiamo più di 50!

 

Non è stato però tutto “rose e fiori”. Anzi sul campo la spedizione è iniziata un po’ in salita, a dire il vero. La prima sera, appena arrivati, abbiamo avuto una riunione con alcuni anarchici dello spazio occupato di Lecce Binario68. Eravamo veramente interessati di conoscere la loro esperienza, di conoscere il movimento cittadino, a confrontarci. L’accoglienza non è stata delle migliori, la discussione è stata abbastanza accesa, avvitandosi sulla forma-partito, sullo stalinismo, ecc. anziché sviluppare un positivo interscambio, sulle rispettive esperienze. Siamo andati via con l’amaro in bocca. Un po’ delusi e un po’ spiazzati. “La spedizione sarà tutta cosi?”. Ragionando collettivamente (abbiamo fatto una riunione fino a tarda notte) alla fine ci siamo però detti: “siamo solo all’inizio!”. E per fortuna. E’ stata un po’ la nostra “prova del fuoco”.

I giorni successivi ci hanno confermato che il settarismo e la chiusura nei nostri confronti non erano cose così diffuse. Anzi i giorni a nostra disposizione si sono dimostrati essere veramente pochi a fronte della ricchezza del territorio e delle relazioni intessute (abbiamo dovuto sacrificare incontri con diversi compagni, non abbiamo potuto sviluppare rapporti con diversi organismi, non siamo riusciti ad andare a Brindisi).

Andando Lecce abbiamo incontrato compagni dello Spartak Lecce, che ci hanno dato tutta una serie di elementi sulla città, sul movimento politico in essa presente, sulla sua storia. Informazioni preziose per orientarci nel nuovo contesto. Ci hanno invitato a tornare in occasione dei mondiali anti-razzisti che si terranno in primavera.

All’Università abbiamo scoperto che c’erano dei compagni del collettivo che già ci conoscevano, alcuni di loro avevano anche letto il nostro materiale (uno di essi anche i nostri documenti congressuali) ed erano interessati a sviluppare il dibattito con noi. Abbiamo allora tenuto una (completamente inaspettata!) lettura di Resistenza nell’Università, con la partecipazione di otto compagni tra cui un professore universitario attivo anche nella Rete dei conflitti (struttura nata circa cinque-sei mesi fa per coordinare e organizzare le lotte sociali presenti sul territorio). Abbiamo letto e commentato l’editoriale del numero di novembre-dicembre, sviluppando poi un articolato dibattito sull’analisi della situazione, la linea che i comunisti devono seguire, le scelte tattiche. Molto dibattuta (ma ormai ci siamo abituati!) è stata la posizione che abbiamo assunto alle elezioni politiche del 2013 rispetto al M5S e l’utilizzo che più complessivamente i comunisti devono fare delle elezioni (tema caldo soprattutto per i compagni che vengono dal PRC e PdCI e che per rigetto della sinistra borghese sono passati nel campo dell’astensionismo), l’unità dei comunisti e, anche, l’attualità della forma-partito, la tattica del GBP. Riportiamo alcuni estratti dell’intervento del professor De Nardis: “Nell’editoriale trovo i contenuti di Marx e Lenin, attualizzati nella nostra situazione (…) La rivoluzione non va intesa come ‘momento X’ ma in un’ottica processuale, che comincia molto prima del fare rivoluzione e che prosegue anche dopo. Altrimenti ci mettiamo ad aspettare il ‘momento X’ che non arriva mai e per qualcuno inizia ad essere stressante (…) dobbiamo capire come costruire il Governo di Blocco Popolare: oggi non è facile parlare con il cittadino che vive le contraddizioni della crisi ma non è politicizzato. La maggior parte dei cittadini, in particolare i più giovani, vivono una situazione di stimoli sociali che li ha completamente desertificati: cinema, tv, giornali, politica borghese. E’ difficile far capire ai cittadini che la politica non si esaurisce nel rapporto a due o a tre (…) Dal ‘75 in poi è cambiato non solo il modello produttivo ma anche l’organizzazione sociale (la scuola, l’università, la precarietà e la miriadi di tipi contratti, ecc.). Bisogna capire le modalità di intervento, a partire dalla comunicazione (…) E’ molto utile recuperare gli insegnamenti di Gramsci (…)”. Il professore si è detto disponibile a proseguire l’interscambio, ponendo particolare attenzione all’aspetto scientifico della politica rivoluzionaria, anche con nuove iniziative nell’Università.

 

Abbiamo incontrato esponenti del Movimento contro il gasdotto TAP, un realtà che conoscevamo molto, molto vagamente e che invece è ricchissima di esperienza e che si incammina di fatto nella direzione di diventare una Nuova Autorità Pubblica!

Lasciamo la parola al racconto di uno dei protagonisti: “Siamo partiti in pochi, nel 2010, con la piccola associazione Tramontana di Menendugno (attiva nelle battaglie ambientali). Inizialmente pensavamo che la TAP sarebbe stata un tubo sulla spiaggia. Abbiamo poi scoperto che era un gasdotto enorme. Preziosa è stata la collaborazione ingegneri e architetti, giovanissimi, del territorio che con le loro competenze ci hanno aiutano a comprendere meglio la situazione. Da collaboratori molti di loro con il tempo sono diventati parte attiva del movimento. Una cosa che abbiamo capito è che l’esito della battaglia è molto legato alla conoscenza: senza conoscere bene contro cosa stai lottano le tue armi sono poco incisive. Se sei bravissimo ad organizzare la manifestazione ma non conosci il progetto, non sei efficace (…) Abbiamo avviato un’azione di logoramento politico: irruzioni nel Comune di Menendugno, abbiamo costretto la giunta comunale a fare una delibera contro al NAP, cominciano ad arrivare le delibere di altri comuni interessati (la TAP prevede altri paesi). Anche la Regione è stata costretta a dare il suo parere negativo (…) Nel 2012 c’è un punto cruciale. Il comitato inizia una nuova sperimentazione: ci sono le elezioni amministrative. Tutte le liste di Menendugno si dichiararono contro il gasdotto. Il sindaco eletto si è dovuto confrontare con il suo programma, che aveva un forte NO al TAP. Siamo quindi entrati nella prima istituzione: questo ci ha permesso di avere tutti i documenti, di essere sempre presenti e vigili, di essere interni alle decisioni del Comune. Il sindaco ha istituito su nostra spinta una commissione tecnica comunale sul TAP, con i tecnici del movimento a cui si sono aggiunti anche tecnici venuti da tutta la Puglia (ingegneri, architetti, geologici, professori Universitari: 40 persone in tutto!). Hanno spolpato il progetto, lo hanno distrutto (…) Abbiamo provato ad entrare anche in Regione: abbiamo reso il TAP un problema della regione intera. Tutti i candidati presidenti alle elezioni si sono dovuti esprimere contro il gasdotto. Il candidato che ora è diventato presidente (Vendola) ha dovuto rispondere ancora una volta del suo programma. Il TAP alla fine del 2012 viene bocciato dalla Regione e il Ministero ha chiesto integrazioni, delucidazioni alla multinazionale (…)

Non è vero che le persone non capiscono, dipende da come si interviene. Abbiamo tradotto i volantini anche in dialetto salentino e il risultato è stato che i vecchi al bar ad un certo punto mentre giocavano a carte si sono messi a parlare di TAP! Anche l’esempio dei tecnici parla chiaro: oggi ci sono tecnici legati al movimento in Comune, Regione, ARPAC, ecc., che controllano le istituzioni e ci riferiscono quello che non va. Tutti i documenti sono controllati. Se gli enti sbagliano, bisogna denunciarli subito dicendo che non rispettano il programma elettorale. Ormai siamo ritenuti una fonte molte attendibile e quando parliamo ciò che diciamo viene subito ripreso dai giornali (…)

Il NO TAP è composto da 60 associazioni, che si sono aggregate tra loro (e alcune sono nate) nell’arco di 5 anni. Associazioni attive nel sociale e in campo ambientale. Per noi le questioni legate del gasdotto e del lavoro vanno affrontare con la stessa visione, non vanno messe in contrapposizione e bisogna fare fronte comune. Ci poniamo in una posizione di ferma opposizione ai tentativi di mettere lavoro contro ambiente e viceversa. C’è forte strumentalizzazione della contraddizione lavoro e ambiente nel nostro territorio ma non solo (…) Ad esempio a Taranto, con l’Ilva. Il governo dovrebbe aprire una seria inchiesta. Ma perché non lo fa? Perché anche i pezzi grossi sono collusi, il governo dovrebbe mettere sotto accusa se stesso e buona parte della classe politica (…) un governo di emergenza popolare, di cui parlate, sarebbe interessante ma in Italia non ci sono i numeri”.

Al compagno abbiamo fatto notare che “i numeri” che contano realmente, che ci devono interessare e che dobbiamo moltiplicare non sono quelli elettorali ma i movimenti come il loro, come i NO TAV, i NO MUOS che dal basso prendono in mano il territorio, organizzano le masse popolari e le mobilitano, mettono a contribuzione tecnici, indicano con i rapporti di forza alle Amministrazioni Locali cosa fare, favoriscono e alimentano il coordinamento tra le diverse Amministrazioni Locali, si legano con gli operai in lotta, con gli studenti e gli insegnamenti in lotta, i lavoratori e i disoccupati che si organizzano per far fronte alla crisi!

 

Siamo stati a Taranto, restando impressionati davanti all’Ilva, una fabbrica gigantesca che sovrasta la città. Siamo stati davanti ai cancelli della fabbrica, facendo due diffusioni e comizi (alcuni compagni dell’USB ci hanno anche riconosciuto: c’eravamo incontrati qualche mese fa davanti ai cancelli della FCA di Melfi!), abbiamo attraversato il quartiere Tamburi con le sue case rosse per via delle polveri della fabbrica.

In uno dei quartieri vicino all’Ilva abbiamo incontrato alcuni degli attivisti della “Casa Occupata”, un’esperienza interessante di riappropriazione di uno spazio e di lotta al degrado: uno spazio in disuso è stato occupato da un collettivo di insegnanti (attivi anche contro la Buona Scuola) e non, che lo hanno reso una scuola popolare autorganizzata per i bambini che a scuola non ci vanno, una scuola che insegna le materie scolastiche attraverso una didattica creativa e legata al territorio, che forma culturalmente e anche come cittadini. Ad es. per insegnare la geometria questi compagni hanno portato i bimbi a vedere un campo da calcio abbandonato del quartiere, hanno preso le misure e, tornati in classe, ogni bimbo ha fatto il suo “progetto” di ristrutturazione del campo, un suo disegno che è stato discusso, analizzato accuratamente e collettivamente e, alla fine, la classe e gli insegnanti sono giunti ad un progetto unitario e… sono andati a ristrutturare realmente il campo da calcio! Insomma un didattica strettamente legata all’intervento nella vita sociale e che si combina anche con una sorta di autorganizzazione del lavoro, fermo restando la tutela dei bimbi: questa è la “Buona scuola” che serve! Ascoltando questo stupendo racconto non abbiamo potuto fare a meno di pensare alla colonia Gorki di Makarenko in URSS…

Siamo stati poi nella sede dell’USB, sindacato in espansione nella città con più di 2.000 iscritti tra l’Ilva e un grande call-center, e abbiamo intervistato il compagno Franco Rizzo, che ci ha illustrato la situazione in fabbrica, nel territorio, ha messo in luce che il sindacato non può occuparsi solo di vertenze e chiudersi in fabbrica (“bisogna ispirarsi a Di Vittorio”) e che il problema della contraddizione ambiente-salute lo può risolvere solo un governo determinato a farlo (senza però indicare come fare per costruire questo governo). Gli lasciamo la parola: “(…) Il Comitato cittadini liberi e pensati di Taranto dal punto di vista della salute dice la verità: la situazione è drammatica. La loro proposta di far compiere ai lavoratori dell’Ilva la riqualificazione dell’area e dell’azienda è accattivante ma ci credo poco. Il governo dice ‘possiamo mettere a norma l’azienda’, noi come USB sosteniamo la nazionalizzazione. Se il problema si può infatti risolvere e si può avere un’azienda eco-compatibile, lo può fare solo lo Stato. Perché? Non ci sarà mai nessun privato che verrà a mettere dei soldi per risanare impianti e area. Ci vogliono produzioni con un bassissimo impatto ambientale, che esistono (…) Secondo noi, quindi, è il governo si deve fare carico, che deve cominciare a valutare un’alternativa. Ma, allo stesso tempo, finora abbiamo visto solo degli spot propagandistici (…)

Il nostro sindacato non è nato solo per entrare in fabbrica ma per occuparsi di tutto, di accompagnare i lavoratori nella fabbrica, fuori dalla fabbrica, nei quartieri, nel territorio, per essere un punto di riferimento, proporre idee, mettersi insieme, organizzarsi, mettere su un’alternativa diversa di fare sindacato e politica, perché chiariamoci sono la stessa cosa. Perché si stanno sviluppando idee che fanno male alla società, che opprimono la gente comune come noi, che in realtà è il centro, fulcro dell’economia (…) Quando facciamo questo, veniamo accusati di voler strumentalizzare (…) il sindacato nasce perché dovrebbe essere  un sindacato sociale, ma negli anni si è trasformato in una nicchia di affari, una sorta di banca (…) il modello è il sindacato di Di Vittorio (…)

Dobbiamo ribaltare l’ottica quando siamo attaccati: non dobbiamo pensare quello che ci dicono loro o limitarci a subire, ma diventare attori protagonisti del proprio futuro. La nostra generazione ha il compito di gettare le basi per costruire un’alternativa per le future generazioni che metta al centro i cittadini di lavoratori, un protagonismo vero, che porti la prossima generazione a diventare padrona di se stessa e non essere più subalterna come lo siamo oggi (…)”.

 

Abbiamo incontrato gli studenti di Nardò, siamo andati nella loro sede, ci siamo confrontati con una rappresentante dell’Unione degli Studenti: compagni attivi sia nella scuola, sia sul territorio con cui hanno tutta una serie di rapporti e relazioni, coscienti che gli studenti sono cittadini e che la lotta contro la “Buona scuola” deve essere combinata con la lotta per il lavoro, contro la guerra tra poveri e le prove di fascismo.

L’ultimo giorno, abbiamo tenuto… un’assemblea con l’associazione Gallipoli Futura, interessata a conoscere la nostra posizione rispetto alle elezioni amministrative e sulle Amministrazioni Locali di Emergenza. Un’assemblea partecipata, con più di 50 persone (siamo rimasti spiazzata, francamente, ci aspettavamo una riunione ristretta e non così tanta gente!), in cui si è sviluppato un positivo interscambio rispetto al tipo di campagna elettorale che occorre (“organizzare e mobilitare le masse popolari per adottare qui ed ora le misure necessarie e non attendere il dopo elezioni!”) e al tipo di amministrazione locale che è necessaria. Le nostre posizioni hanno suscitato interesse, dieci persone hanno acquistato Resistenza e qualche giorno dopo un compagno ci ha chiamato e ci ha detto di aver proposto all’associazione di organizzare un comitato di disoccupati per fare scioperi al contrario e la proposta è passata!

 

Siamo tornati a casa arricchiti da questa esperienza dal punto di vista persona e politico, abbiamo scoperto un territorio ricco di esperienze importanti di autorganizzazione e lotta e, soprattutto, ci siamo resi conto veramente che sono moltissime le possibilità, gli appigli per sviluppare la nostra opera, che la linea del Governo di emergenza popolare è lo sbocco di tutte queste esperienze (dalla lotta per la difesa e il miglioramento dell’ambiente a quelle per il lavoro, dalla lotta contro il degrado a quella contro la Buona Scuola, dalla lotta contro le prove di fascismo e quella per un’amministrazione realmente al servizio delle masse popolari) e che dipende solo da noi cercarli, vederli, intervenirci. Cinque giorni se all’inizio ci sembravano molti e avevamo il timore di non riuscire ad impiegarli al meglio, alla fine ci siamo resi conto che sono estremamente pochi… Torneremo a breve in Puglia! E tutti i compagni si sono proposti per…. la prossima spedizione! Adelante!

 

 

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