Un bicchiere pieno a metà, è anche vuoto per metà. Dobbiamo considerarlo metà pieno o metà vuoto?
Una forza attiva e rivoluzionaria, non opportunista a metà, non in cerca di qualcuno a cui accodarsi, ma decisa a lottare e a vincere, deve far leva sul fatto che le masse sono già in qualche misura in moto (il bicchiere è già in parte pieno), per liberare la loro energia, per mobilitarle alla battaglia, a superare gli ostacoli che le frenano e andare verso l’instaurazione del socialismo. Ma riesce a farlo se essa stessa è una forza materialista dialettica:
– dialettica perché sa che il mondo cambia, sa dove può e deve andare, sa dove le masse popolari per la loro stessa condizione hanno bisogno di andare e ancora non vanno a causa di ben individuabili condizioni, conosce quello che esse sono e quello che possono diventare, conosce quello che sono e quello che possono diventare i personaggi, i gruppi, i sindacati e i partiti della sinistra borghese che hanno oggi influenza tra le masse popolari e sono gli attuali dirigenti della loro mobilitazione;
– materialista perché non si illude che le masse popolari siano già in moto oltre un livello elementare senza i comunisti, sa che stante le condizioni da cui sono formate e quelle in cui la classi dominanti le costringono le masse popolari devono essere smosse dai comunisti, sa come smuoverle. Oggi noi sappiamo già come far leva su quello che le masse popolari e in particolare gli operai già sono per farli diventare in massa quello che possono essere? No! Non lo sappiamo ancora, ma siamo pronti e capaci di imparare, provando e imparando dai risultati, rialzandoci da ogni sconfitta.
Questo è un partito di comunisti, ora che milioni di lavoratori del nostro paese sono coinvolti nel rinnovo dei CCNL che i padroni e le autorità della Repubblica Pontificia vogliono liquidare.
Questo è l’orientamento dell’attività che noi comunisti dobbiamo svolgere nei confronti dei milioni di lavoratori coinvolti in questi mesi nei movimenti, sommovimenti, lotte, assemblee, riunioni, consultazioni e referendum relativi ai CCNL.
Vediamo più in dettaglio alcuni punti.
1. I padroni vorrebbero sopprimere CCNL, diritti dei lavoratori, sindacati e tutte le tracce della prima ondata della rivoluzione proletaria, in conformità con l’indirizzo delineato nel “Piano di Rinascita” del testé defunto Licio Gelli, grande ideologo ispiratore dell’ambiente da cui escono Matteo Renzi e i suoi più fidati ministri e assistenti. La crisi rende indispensabile per i vertici della Repubblica Pontificia cancellare la Costituzione del 1948, cancellare tutto quanto di progressista i comunisti vi avevano fatto scrivere e a cui più o meno strumentalmente si abbarbicano ancora oggi alcuni oppositori nelle lotte intestine della classe dominante, cancellare quel tanto che le lotte che i comunisti hanno animato ha fatto entrare nella “costituzione materiale” della Repubblica Pontificia. A questo si aggiunge che più Matteo Renzi grida che la crisi è finita, più è favorita la rivendicazione di rinnovare i CCNL: alcuni da anni (ad es. 8 per quello del Trasporto Pubblico Locale) sono bloccati in tutto o almeno nella parte salariale. I sindacati di regime e assimilati presentano ai padroni del privato e del pubblico come “nuovo modello di contratto” (di cui si stanno occupando sia CGIL-CISL-UIL sia FIOM), piattaforme e proposte che, come abbiamo scritto nell’articolo di Resistenza n. 11-12/2015, più che proposte ispirate agli interessi dei lavoratori, sono assist per permettere a Squinzi & C. di mettere a segno i loro propositi.
Questi assist sono il risultato della sottomissione ideologica che guida i sindacalisti di regime anche nei casi in cui non vi sono sottomissione finanziaria e sociale o connivenza e corruzione sistematiche. E’ la mentalità del “meno peggio” (che porta di male in peggio), della competitività dell’impresa e del paese e della concertazione che sono dogmi, “legge di natura”, per chi non concepisce altra società oltre quella borghese.
Quindi noi comunisti dobbiamo intervenire nelle iniziative di massa relative alla lotta contrattuale, perché sono comunque una scuola elementare di comunismo a conferma della grande capacità di mobilitazione che ancora hanno i sindacati di regime e affini che possiamo e dobbiamo far tornare a vantaggio della nostra lotta. Dobbiamo intervenire per farne una scuola superiore di comunismo: per far constatare e capire caso per caso, questione per questione che i padroni e le loro autorità vogliono l’opposto di quello che interessa ai lavoratori, che anche quando si mostrano concilianti, la loro avidità è senza limiti e l’antagonismo di interessi irriducibile, che non si tratta di caratteristiche morali dei singoli individui, ma di una legge del loro sistema capitalista: esso esige la sottomissione di tutti e di tutto alla valorizzazione del capitale, oggi ostacolata dallo stesso sistema capitalista in crisi. Ridurre il salario, aumentare il tempo di lavoro e i ritmi di lavoro, spremere i lavoratori sono leggi elementari tutt’ora valide del sistema capitalista, quali che siano gli abbellimenti e le chiacchiere dei padroni e della sinistra borghese (produzione automatizzata, scomparsa della classe operaia, “lavoratori cognitivi”, globalizzazione, spersonalizzazione del capitale, ecc.).
2. Ai sindacati di regime e affini, collaborativi con i padroni e le loro autorità sul piano delle rivendicazioni salariali e normative e sul piano ideologico (della formazione della coscienza), si contrappongono sindacati di base e alternativi: fautori della lotta rivendicativa, che apertamente si proclamano conflittuali. Tra essi oggi è agli onori della cronaca il SiCobas, per la coraggiosa e vittoriosa lotta dei facchini della logistica, in gran parte immigrati, ma l’USB, la CUB, la Confederazione Cobas e altri hanno svolto e svolgono un ruolo analogo chi in una categoria, chi in un’altra.
Da una parte i sindacati di base e alternativi svolgono un ruolo importante per la rinascita del movimento comunista: nel campo della coscienza criticano i cedimenti e la collaborazione dei sindacati di regime e affini in nome dei diritti e dei bisogni dei lavoratori; nel campo dell’organizzazione creano il contesto in cui lavoratori combattivi, che i sindacati di regime espellono ed espellerebbero, costruiscono fruttuosi e solidi legami con la massa dei lavoratori. Dall’altra parte essi alimentano una delle principali deviazioni del movimento comunista dei paesi imperialisti: la riduzione della lotta di classe alla lotta sulle condizioni di vita e di lavoro (riduzione che nel gergo del movimento comunista si chiama economicismo). Di conseguenza noi comunisti in linea generale dobbiamo intervenire nei sindacati di base e alternativi, nelle lotte e nei movimenti che promuovono senza mai scomparire in essi e, in particolare, dobbiamo contrastare la lotta tra sindacati di regime e sindacati di base e alternativi. I sindacati di base e alternativi che mettono in primo piano il loro contrasto con i sindacati di regime, che li additano come causa principale delle difficoltà dei lavoratori, incarnano l’economicismo nella forma più dura. Esplicitamente o implicitamente sostengono, e spingono i lavoratori a credere, che un forte movimento sindacale possa risolvere i problemi dei lavoratori, ritornare al capitalismo dal volto umano, creare una società senza i mali del capitalismo benché ancora fondata sulla proprietà capitalista delle forze produttive, senza instaurare il socialismo.
La nostra lotta per fare delle lotte rivendicative una scuola superiore di comunismo ha invece come fattore trainante la concezione che per avviare alla fine la crisi generale del capitalismo bisogna instaurare il socialismo a partire da alcuni paesi imperialisti. La lotta sindacale è importante ma è una lotta ausiliaria. Determinante è la mobilitazione dei lavoratori delle aziende capitaliste e di quelle pubbliche a formare organizzazioni popolari e popolari e l’impegno di esse a occuparsi della continuità delle proprie aziende e a uscire dalle aziende.
E’ con questa concezione che dobbiamo appoggiare, intervenire e promuovere le lotte per i CCNL.