Per l’unità dei comunisti quattro temi da discutere

 

Nei numeri scorsi abbiamo accennato spesso alle quattro principali tematiche che come Carovana del (n)PCI poniamo come punto di partenza per il dibattito tra comunisti italiani e di altri paesi per contribuire alla rinascita del movimento comunista. Abbiamo provato a sintetizzarli in questo articolo, con l’ambizione che sia un passo per contribuire a quel dibattito franco e aperto con partiti, organizzazioni e singoli che vogliono costruire la rivoluzione socialista nel nostro paese. Il testo completo dell’articolo che abbiamo riassunto è consultabile sul sito del (nuovo)PCI www.nuovopci.it.
La prima questione su cui dobbiamo ragionare è il bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria e dei primi paesi socialisti che essa ha creato. Il movimento comunista nel secolo scorso ha raggiunto i risultati: 1. il campo socialista nel quale viveva circa un terzo dell’umanità, 2. la distruzione del sistema coloniale, 3. le grandi conquiste di civiltà e benessere nei paesi imperialisti. Tuttavia bisogna chiedersi come mai dopo un periodo di progresso i primi paesi socialisti sono decaduti fino a crollare? Come mai dopo questo periodo di vittorie il movimento comunista è entrato in crisi? Ed infine, come mai il movimento comunista non è riuscito ad instaurare il socialismo nei paesi imperialisti?
Studiando l’esperienza dei primi paesi socialisti, trascuriamo la denigrazione sistematica fatta a ragion veduta (devono scongiurare il ritorno!) dalla borghesia, dal clero e da loro scimmiottatori alla Bertinotti. Tralasciamo anche i giudizi di chi “butta il bambino assieme all’acqua sporca” liquidando le esperienze vittoriose come “capitalismo di Stato” o altre simili idiozie socialdemocratiche. Consideriamo invece i compagni che vogliono fare una seria valutazione di ciò che sono state quelle esperienze. Tra questi alcuni affermano che il fallimento dei primi paesi socialisti è dovuto principalmente alla forza degli imperialisti. Altri sostengono che i primi paesi socialisti sono falliti a causa del tradimento di alcuni dirigenti. Altri che sono falliti perché caduti in mano a “burocrazie” che li hanno fatti degenerare. Noi invece partiamo dalla tesi di Marx che i comunisti sono coloro che hanno una comprensione superiore delle condizioni, forme e risultati della lotta di classe. Quindi sosteniamo che la causa del fallimento dei primi paesi socialisti è da ricercarsi all’interno del movimento comunista, nello specifico negli errori e nei limiti della sinistra di quei partiti comunisti che hanno fatto la rivoluzione socialista, ossia di quei dirigenti che nella maniera più sincera e combattiva lavoravano per far avanzare la transizione di quei paesi verso il comunismo.

Gli errori e limiti di comprensione da parte della sinistra hanno fatto sì che i revisionisti moderni, a partire da Kruscev in Unione Sovietica e da Deng Xiaoping in Cina, prendessero le redini di quei paesi indirizzandoli sulla via della restaurazione del capitalismo. Resta ovviamente da cercare quali sono stati nello specifico di ogni caso i limiti della sinistra dei partiti comunisti. Questo è il nostro criterio di ricerca coerente con la concezione comunista del mondo.
Lo stesso principio e il conseguente criterio di ricerca valgono sia per quanto riguarda la costruzione della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti che per la crisi del vecchio movimento comunista: è principalmente a causa degli errori e limiti nella comprensione delle condizioni, forme e risultati della lotta di classe che i Pietro Secchia del nostro e degli altri paesi non sono riusciti a far avanzare il movimento comunista.
Le tesi dell’onnipotenza del nemico, del tradimento dei dirigenti o di burocrazie manovratrici sfumano di fronte alla realtà: quando la classe operaia e le masse popolari marciavano verso il comunismo, non c’era forza del nemico, dirigente corrotto o burocrati che impedissero la sua avanzata.
Quali insegnamenti ricaviamo dal “vecchio” movimento comunista e come traduciamo quegli insegnamenti nella situazione odierna: ecco un fattore determinante per la rinascita del movimento comunista italiano ed internazionale, un tratto fondamentale delle basi su cui rinasce il movimento comunista.

La seconda questione da prendere in considerazione attiene alla fase storica in cui viviamo. La crisi in corso è sotto gli occhi di tutti, l’interrogativo da porci è: questa è una crisi generale di sovrapproduzione assoluta di capitale, che quindi investe tutte le sfere della società (la crisi economica sviluppa una crisi politica, ambientale, intellettuale e morale), oppure una crisi ciclica? La risposta a questa domanda ne determina un’altra: siamo o non siamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo?
Assodato che siamo (ormai da circa metà 1800) nella fase imperialista come fase suprema del capitalismo, ossia che non esiste più il “libero scambio” tra capitalisti ma sia nel campo delle produzioni di merci che in quello finanziario esistono grandi gruppi monopolistici che si spartiscono il mondo, e che a livello politico la borghesia ha esaurito il suo ruolo civilizzatore mettendosi a recuperare vecchie anticaglie feudali come il Vaticano per mantenere il proprio dominio, allora le crisi cicliche diventano piccole oscillazioni nell’andamento degli affari per le quali i capitalisti hanno messo a punto antidoti, e ci troviamo ad affrontare crisi generali che si risolvono solo con la guerra o la rivoluzione socialista.
Con buona pace degli economisti neokeynesiani e le loro misure di “ridistribuzione del reddito”: la prima crisi generale avvenuta nel secolo scorso si è risolta solamente con due guerre mondiali e la creazione del campo socialista, altrochè New Deal!
Dopo un periodo di ripresa, indicativamente dal 1945 al 1975, il capitalismo è precipitato di nuovo in una crisi generale dove la finanziarizzazone dell’economia e la globalizzazione sono misure che i capitalisti hanno preso perché l’economia reale non basta più per la valorizzazione del loro capitale: oggi la finanza oltre ad essere diventato il principale campo di investimenti dei capitalisti, soffoca l’economia reale dalla quale tuttavia dipende e nessuna soluzione di “uscita dai circoli della finanza mondiale” o di politiche keynesiane potrà risolvere la situazione.

Questa situazione di crisi generale crea una situazione rivoluzionaria in sviluppo che non significa che le azioni rivoluzionarie delle masse caratterizzano il nostro tempo, ma significa che l’assetto politico interno e il sistema di relazioni internazionali sono precari, che sia la classe dominante sia le classi oppresse devono trovare un nuovo modo di essere e di vivere. Questa situazione pone all’ordine del giorno solamente due possibili uscite dalla crisi, in ogni singolo paese ed a livello internazionale:
O la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari dirette da partiti comunisti all’altezza dei propri compiti; cioè da partiti che osano pensare che la rivoluzione socialista è possibile e che capiscono che spetta ai comunisti costruirla.
O la mobilitazione reazionaria delle masse popolari: mettendo masse contro masse, paesi contro paesi fino a raggiungere il picco massimo, ossia la guerra.

L’interpretazione che diamo della crisi non è quindi un esercizio di stile, ma caratterizza l’attività dei partiti comunisti nella loro tattica e strategia.
Il terzo tema è quello che attiene a quali sono le caratteristiche del regime politico vigente nel nostro paese.
Alcuni compagni sostengono che oggi siamo in un regime di “moderno fascismo” o urlano alla onnipotenza della borghesia quando si trovano di fronte ad un attacco repressivo o a sistematiche intimidazioni e controlli da parte delle forze dell’ordine. Questi compagni non tengono conto di due aspetti che gli permetterebbero di comprendere le caratteristiche di quello che noi chiamiamo regime di controrivoluzione preventiva. Uno attiene al fatto che la borghesia nei paesi imperialisti non riesce a governare se non ha un minimo appoggio o l’indifferenza delle masse popolari, l’altro riguarda il fatto che la borghesia deve impedire l’organizzazione dei comunisti e che essi si leghino alle masse popolari.
Prendendo in considerazione questi due aspetti, possiamo evincere che quelle teorie di “moderno fascismo” non stanno in piedi e che esiste un regime politico specifico che la borghesia ha instaurato per mantenere il proprio dominio nei paesi imperialisti: il regime di controrivoluzione preventiva.

Questo regime particolare dei paesi imperialisti nasce negli USA intorno al 1945 quando la borghesia americana doveva far fronte all’avanzata del movimento comunista negli USA e ha avuto successo a causa dei limiti dello stesso movimento comunista americano e internazionale e si traduce in cinque pilastri fondamentali, da declinare per le specificità del singolo paese imperialista.
1. Mantenere l’arretratezza politica e in generale culturale delle masse popolari, diffondendo tra le masse una cultura d’evasione dalla realtà, teorie, movimenti e occupazioni che distolgono l’attenzione, l’interesse e l’attività delle masse popolari dagli antagonismi di classe e le concentrano su futilità (diversione); fare confusione e intossicazione con teorie reazionarie e notizie false cercando di impedire la crescita della coscienza politica con un apposito articolato sistema di operazioni culturali.
2. Soddisfare le richieste di miglioramento che le masse popolari avanzano con più forza; dare a ognuno la speranza di poter avere una vita dignitosa e alimentare questa speranza con qualche risultato pratico; avvolgere ogni lavoratore in una rete di vincoli finanziari (mutui, rate, ipoteche, bollette, imposte, affitti, ecc.) che lo mettono ad ogni momento nel rischio di perdere individualmente tutto o comunque molto del suo Stato sociale, se non riesce a rispettare le scadenze e le cadenze fissategli.
3. Sviluppare canali di partecipazione delle masse popolari alla lotta politica della borghesia in posizione subordinata, al seguito dei suoi partiti e dei suoi esponenti. La partecipazione delle masse popolari alla lotta politica della borghesia è un ingrediente indispensabile della controrivoluzione preventiva. La divisione dei poteri, le assemblee rappresentative, le elezioni politiche e la lotta tra vari partiti (il pluripartitismo) sono aspetti essenziali dei regimi di controrivoluzione preventiva. La borghesia deve far percepire alle masse come loro lo Stato che in realtà è della borghesia imperialista.
4. Mantenere le masse popolari e in particolare gli operai in uno stato di impotenza, evitare che si organizzino, fornire alle masse organizzazioni dirette da uomini di fiducia della borghesia, da uomini venali, corrompibili, ambiziosi, individualisti; impedire che gli operai formino organizzazioni autonome dalla borghesia nella loro struttura e nel loro orientamento.
5. Reprimere il più selettivamente possibile i comunisti. Impedire ad ogni costo che i comunisti abbiano successo: quindi che moltiplichino la loro forza organizzandosi in partito; che elaborino e assimilino una concezione del mondo, un metodo di conoscenza e di lavoro e una strategia giusti; che svolgano un’attività efficace; che reclutino; che affermino la loro egemonia nella classe operaia. Corrompere e cooptare i comunisti, spezzare ed eliminare quelli che non si lasciano corrompere e cooptare.

Con l’entrata della crisi nella sua fase acuta e terminale nel 2008, il regime di controrivoluzione preventiva ha subito mutamenti.
Il primo pilastro rimane in piedi, si perpetua la manipolazione delle coscienze (chiese, credenze, pregiudizi, sette), la promozione di condotte individualiste (soddisfacimento dei bisogni più immediati, raggiungimento di futili piaceri, cultura “dello sballo” e dell’evasione), l’intossicazione dell’opinione pubblica con notizie false o distorte.
Il secondo pilastro vacilla, è in corso non solo l’eliminazione rapida di quanto restava delle conquiste di civiltà e benessere strappate dalle masse popolari quando il movimento comunista era forte nel nostro paese e nel mondo, ma anche l’adozione di misure “senza se e senza ma” che lasciano mano libera alla borghesia e al clero nella gestione della società e ai padroni nella gestione delle aziende.
Il terzo pilastro si sta sgretolando per opera della classe dominante stessa e del M5S, il teatrino della politica borghese salta e le conseguenze si manifestano nella reiterata violazione della Costituzione, nelle misure per impedire la partecipazione delle masse popolari alle competizioni elettorali (leggi elettorali, sbarramenti, premi di maggioranza), in un uso smodato e crescente del voto di fiducia e decreti legge in Parlamento, nella violazione degli esiti referendari, ecc. I paramenti della “democrazia borghese” non sono più utili, non concorrono più al mantenimento della pace sociale.

Il quarto pilastro è corroso dal crescente discredito dei sindacati di regime e dal ruolo assunto dai sindacati alternativi e di base e dalle organizzazioni operaie e popolari.
Il quinto pilastro muta, la repressione da selettiva e circoscritta sta assumendo un carattere di massa: dal pestaggio di lavoratori in lotta, all’uso della legislazione speciale e antiterrorismo contro i movimenti popolari, al ricorso alle sanzioni pecuniarie amministrative e penali, alla limitazione o privazione della libertà personale.
Delle caratteristiche di questo regime politico, i partiti dei comunisti nei paesi imperialisti non possono non tenerne conto nella loro azione e nelle loro caratteristiche.

La quarta tematica con cui dobbiamo misurarci attiene a quale strategia utilizziamo per fare la rivoluzione socialista nel nostro paese.
A fronte delle valutazioni e dei ragionamenti che sono emersi nei punti precedenti, noi sosteniamo che la via universale per la costruzione della rivoluzione socialista è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, ossia una guerra di lungo periodo che attiene principalmente alla conquista del cuore e della mente delle masse popolari, che parte dalla fondazione del partito che si pone nell’ottica di condurre tale guerra e tappa dopo tappa, campagna dopo campagna, scalza il potere della classe dominante costruendo nel paese il nuovo potere.
Questa strategia è a grandi linee la stessa che di fatto seguì Lenin e di cui l’insurrezione dell’Ottobre 1917 a Pietrogrado fu una tappa. E’ quella che Gramsci chiama “guerra di posizione”. E’ quella che Mao sintetizzò dopo che anch’egli riconobbe di aver agito alla cieca. E’ quella che organizzazioni comuniste nel nostro paese hanno attraversato in maniera inconsapevole arrivando alle porte della guerra civile (Biennio Rosso, Resistenza Partigiana, Brigate Rosse). E’ quella che organizzazioni di altri paesi (Partito comunista del Perù) hanno condotto consapevolmente.
La strategia (e di conseguenza la tattica) che utilizziamo dipende in maniera precisa da quale bilancio facciamo dei primi paesi socialisti, da quale analisi facciamo della crisi e da quale regime politico vige nel nostro paese.
In definitiva, ancora una volta, l’aspetto determinante che permette a noi comunisti di vincere (e di unirci) è la concezione del mondo che ci guida, ossia quanto facciamo bilancio dell’esperienza e quanto comprendiamo condizioni, forme e risultati della lotta di classe, ossia quanto riusciamo a trovare la strada specifica per costruire la rivoluzione socialista nel nostro paese.
Rinnoviamo l’invito a tutti quei compagni e quelle organizzazioni che hanno a cuore la sorte della rivoluzione socialista nel nostro paese, a costruire iniziative e dibattiti insieme a noi, dibattendo su questi quattro temi (ma anche altri) in modo da sviluppare la rinascita del movimento comunista nel nostro paese e nel mondo.

october revolution

 

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