Una gabbia di cartone. Rompere le catene della globalizzazione

Il primo paese che spezzerà le catene della comunità internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti aprirà la strada a tutti gli altri. Concretamente cosa significa spezzare quelle catene?
La produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza umana è la base di tutte le società, dei diversi modi di produzione fin qui conosciuti. Ogni modo di produzione si caratterizza per la relazione fra il contenuto (le forze produttive, i processi produttivi, gli strumenti, le risorse, il livello tecnologico raggiunto e impiegato) e la forma (le relazioni sociali che intercorrono fra gli uomini nel processo di produzione, i rapporti di produzione); ogni modo di produzione caratterizza l’intera società.

Facciamo un esempio terra-terra che aiuta a capire la questione: il risultato della produzione di patate sono sempre patate, ciò che cambia è che tale produzione sia fatta da un contadino per autosussistenza, da un contadino che ha lo scopo di rivenderle per guadagnare quanto gli serve per vivere o da un capitalista che lo fa per valorizzare il suo capitale. Il risultato della produzione sono sempre patate, ma ognuno dei tre casi rappresenta rapporti di produzione diversi.
I rapporti di produzione (la forma) a loro volta influenzano il contenuto della produzione, cioè le forze produttive impiegate. A un determinato grado di sviluppo (favorito dalla forma), per svilupparsi ulteriormente le forze produttive richiedono il passaggio a un gradino superiore, richiedono di cambiare la forma, i rapporti di produzione. È quanto è avvenuto nel passaggio dal feudalesimo al capitalismo ed è quanto avviene nel passaggio dal capitalismo al comunismo.
Il capitalismo è un modo di produzione, cioè un particolare insieme di procedimenti e di relazioni tramite cui i lavoratori sono messi nelle condizioni necessarie per produrre e indotti a lavorare. Nella società borghese le condizioni materiali dell’esistenza vengono prodotte su iniziativa del capitalista che assume i lavoratori e li fa lavorare con lo scopo di vendere quanto prodotto e accumulare nuovo capitale (cioè per valorizzare il suo capitale). In cambio di ciò ai lavoratori il capitalista corrisponde un salario. È l’interesse del capitalista il motore della produzione: se per qualsiasi motivo viene a mancare il profitto, cessa anche la produzione. La proprietà privata dei mezzi di produzione è la base giuridica di questo meccanismo.
Il capitalismo ha sviluppato enormemente le forze produttive di tutta la società, sia a livello materiale che intellettuale, dando impulso alle scienze e alla tecnologia per perseguire i suoi fini. Come effetto di ciò, il processo di produzione è sempre più collettivo (ogni unità produttiva funziona solo se funzionano anche le altre, ogni lavoratore lavora solo in relazione con altri, i prodotti di un lavoro servono solo o principalmente come ingredienti di altri lavori, ecc.), è stato creato un sistema sociale ed educativo adeguato a formare cittadini in grado di compiere determinati lavori, è stata creata una serie di infrastrutture (strade, ferrovie, edifici pubblici ecc.) che di fatto sono patrimonio collettivo. Il capitalismo ha trasformato in proletari (venditori della propria forza lavoro) la maggior parte dei lavoratori. Ha reso tecnicamente possibile la produzione in quantità illimitate di tutto ciò che serve per la vita di ogni individuo. Tutti questi aspetti, nella gabbia della società odierna, alimentano la contraddizione principale del capitalismo: quella di avere un vasto patrimonio di forze produttive collettive che però vengono gestite pezzo per pezzo e allo scopo di aumentare (valorizzare) il capitale del proprietario. Questa è la causa e la base insanabile del disastro e della devastazione in corso.

Il passaggio dal capitalismo al comunismo non è un proposito, una scelta, un disegno arbitrario. È determinato dallo sviluppo dei presupposti oggettivi che si sono formati nel capitalismo (livello di sviluppo delle forze produttive e contraddizione fra il carattere collettivo delle forze produttive e la proprietà privata delle stesse). Essi indicano nel comunismo il successivo gradino nell’evoluzione dell’umanità: forze produttive che hanno raggiunto un carattere collettivo non possono più essere gestite come un affare privato dei singoli capitalisti, richiedono di essere gestite collettivamente. E’ lo sviluppo del contenuto della produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza che richiede una nuova forma: come per un bambino che, crescendo, ha bisogno di nuovi vestiti.
Il comunismo è il futuro dell’umanità e il socialismo è la fase transitoria che verrà percorsa per arrivarvi: è scritto nelle condizioni oggettive create dal capitalismo e nelle sue contraddizioni.

La globalizzazione. A questo punto alcuni diranno: “Va bene, ma ormai tutto questo discorso è superato, siamo in una fase diversa del capitalismo, c’è la globalizzazione!”. In effetti molti scienziati dell’economia, e fra essi alcuni intellettuali sedicenti marxisti, sostengono che la globalizzazione avrebbe creato un nuovo modo di produzione, cambiando la natura del capitalismo che Marx aveva analizzato ed esposto in dettaglio in Il capitale.
Anche un secolo fa alcuni presentavano l’imperialismo come un nuovo modo di produzione, che aveva superato il vecchio capitalismo (vedi “L’imperialismo, anticamera del socialismo”, Resistenza n. 1/2015). Le tesi errate sull’imperialismo vennero confutate da Lenin e grazie anche alle sue analisi oggi possiamo dire che la globalizzazione non è un nuovo modo di produzione, ma una sovrastruttura del vecchio capitalismo. Se viene rotta, se crolla, se i confini statali vengono ristabiliti, compare il vecchio capitalismo. Perché anche nel “mondo globalizzato”, la base, il nocciolo economico delle relazioni sociali resta sempre il capitalista che assolda in cambio di un salario il lavoratore, lo fa lavorare e vende il prodotto del suo lavoro (che questo si concretizzi in beni piuttosto che in servizi non fa alcuna differenza, non cambia la sostanza del rapporto di produzione).

La globalizzazione esiste. E’ un fatto che, per far fronte alla seconda crisi generale del capitalismo, la comunità internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti ha rotto i vincoli (quelli storici e quelli posti dalla prima ondata della rivoluzione proletaria) alla libertà dei capitalisti, ha reso gran parte del mondo un terreno aperto di operazione per il capitale industriale, commerciale e finanziario. I confini di molti paesi sono stati spazzati via e con essi anche la sovranità dei singoli paesi in campo industriale, commerciale, finanziario e monetario.
Ma quali sono le trasformazioni della struttura della società capitalista realmente attuate nei decenni della seconda crisi generale? Queste trasformazioni consistono:

1. nel progresso nella divisione del lavoro, che ha trasformato singole operazioni del processo produttivo (ad es. la ricerca, la pulizia dei locali, il trasporto) in servizi prodotti, comperati e venduti come merci e ha trasformato in merci a se stanti i prodotti parziali dei precedenti processi produttivi;

2. nella sussunzione nel capitale (cioè nella trasformazione in merci prodotte da lavoratori salariati, da operai) di attività che ancora non lo erano, in particolare i servizi alla persona;

3. nella riduzione se non eliminazione dei diritti dei lavoratori (un numero crescente di lavoratori sono diventati nuovamente precari, come lo erano fino alla prima ondata della rivoluzione proletaria);

4. nell’eliminazione o nella forte riduzione delle frontiere industriali, commerciali, finanziarie e monetarie. Su questo terreno il TTIP (il Trattato Transatlantico per il commercio e gli investimenti che è in corso di negoziazione tra gli USA e l’Unione Europea), il TPP (il Trattato di Partenariato Transpacifico in corso di adozione tra gli USA e il Giappone, la Malesia, Singapore, Vietnam, Brunei, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Messico e Perù) e altri analoghi accordi rappresentano un salto in avanti.

Lottare contro la globalizzazione, sognando il ritorno a un capitalismo dal volto umano, è una lotta fuorviante e sterile: la globalizzazione è un effetto e non la causa della crisi attuale. Come vediamo non è altro che un approfondimento della penetrazione ed espansione del capitalismo a livello mondiale. Ma, contemporaneamente, è anche un enorme passo avanti nella socializzazione delle forze produttive. Infatti molti aspetti della globalizzazione sono ulteriori presupposti verso il socialismo, che assumono un carattere distruttivo esclusivamente per il permanere dei rapporti di produzione capitalisti. Il marasma che questo produce lo abbiamo sotto gli occhi: dalla desertificazione industriale nel nostro paese alla fuga di migliaia di persone da paesi devastati dalla guerra e dalla voracità del capitale.
È chiaro quindi che anche soluzioni come l’uscita dall’Euro, o dalla UE, senza intaccare il sistema economico e statale, non sortirebbero effetti positivi per le masse popolari, ci ridarebbero una lira comunque in balia della speculazione finanziaria internazionale. Anche i progetti di costruzione di un’ALBA del Mediterraneo, ispirata a quella che in Sud America ha creato una rete solidale fra i governi che resistono all’imperialismo USA, hanno senso solo come frutto del cambiamento dei rapporti di produzione nel paese: il Governo di Blocco Popolare può far nascere ALBA, m pensare di costituire ALBA con governi borghesi è da illusi o da imbroglioni.

Dunque che fare per liberarsi dalle catene del sistema imperialista mondiale? Le narrazioni di tanti politicanti e intellettuali borghesi dicono che la lotta di classe è un vecchio arnese della storia e la comunità internazionale degli speculatori è un leviatano imbattibile e tremendo. Quindi non si può che soccombere e sottomettersi in nome del realismo, come ha fatto Tsipras in Grecia. Così si alimenta il disfattismo fra le masse popolari (“non c’erano altre possibilità”, “di questi tempi non si poteva fare altro”), altro che realismo!

Altri dicono “autarchia!”. Ma non considerano che è la stessa via imboccata dal nazismo e dal fascismo: solo che nazisti e fascisti, per far fronte alla prima crisi generale del capitalismo, puntarono sulla ripresa industriale attraverso l’ingente produzione bellica, una premessa materiale per la Seconda Guerra Mondiale; inoltre la loro autarchia è stata ben tollerata e sostenuta dai capitalisti a livello internazionale, dato che Hitler e Mussolini (insieme a Franco) erano nei rispettivi paesi la sola alternativa realistica al movimento comunista e si candidavano ad essere i capofila della guerra contro l’Unione Sovietica e il movimento comunista. L’autarchia separata dalla mobilitazione reazionaria delle masse popolari non può esistere e la mobilitazione reazionaria è una via che la borghesia imperialista oggi ha difficoltà e timore nel perseguire. Difficoltà perché all’epoca il sostegno delle masse popolari, fascismo e nazismo se lo comprarono con ampi investimenti in opere pubbliche e, anche, perché non esistono nè un forte movimento comunista che terrorizza i capitalisti di tutto il mondo né la sua base rossa, come fu l’URSS; timore perché l’esito di quella avventura per i capitalisti è stato disastroso.

L’unica via per rompere con le catene della comunità internazionale, con il mercato mondiale, con la globalizzazione è costruire la rivoluzione socialista, come per la prima volta nella storia dell’umanità il movimento comunista fece in Russia nel 1917. E la Russia aprì le porte alle masse popolari di tanti altri paesi (nel momento del massimo sviluppo della prima ondata della rivoluzione proletaria, un terzo dell’umanità viveva in paesi socialisti, il sistema coloniale era stato eliminato, grandi progressi erano in corso in ogni parte del mondo).

La debolezza del movimento comunista in Italia non permette di porre all’ordine del giorno immediatamente l’instaurazione del socialismo, nonostante ne esistano tutti i presupposti oggettivi. Nell’immediato il passo possibile e necessario per portare la rivoluzione socialista a un livello superiore è l’instaurazione di un governo delle organizzazioni operaie e popolari, facendo fronte agli effetti più gravi della crisi e avanzando così nella creazione delle condizioni del socialismo. Il Governo di Blocco Popolare, benché ancora nel contesto dell’economia capitalista e delle sue relazioni internazionali, è lo strumento per rompere qui e ora con il mercato mondiale e la globalizzazione. La sua sesta misura, “stabilire relazioni di solidarietà, collaborazione o scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi”, è la via per far fronte, unitamente alla costruzione di una vasta mobilitazione e organizzazione popolare all’interno del paese, al boicottaggio e al sabotaggio interni ed esterni. È quello che il governo Tsipras non ha potuto fare in Grecia, dato che mancava di una strategia e una tattica per costruire il socialismo (era un governo della sinistra borghese riformista), dato che mancava della volontà politica di perseguire gli interessi delle masse popolari e rompere quelle catene dandosi i mezzi della propria politica.

In conclusione, una sintesi. Chi dice che la globalizzazione ha superato il marxismo, è un modo di produzione diverso dal capitalismo, vende fumo alla classe operaia e alle masse popolari, partecipa più o meno coscientemente all’opera di intossicazione delle coscienze e dell’opinione pubblica.
Di conseguenza, chi dice che bisogna trovare vie particolari e nuove (“inventarsele” diciamo noi) per fare fronte agli effetti della crisi e per uscire dalla crisi, alimenta la diversione delle masse popolari dalla lotta di classe, esattamente come chi dice che questo è l’unico mondo possibile.
Rompere con il mercato mondiale e con la globalizzazione, uscire dalla crisi è possibile: la questione è politica e non economica; attiene alla trasformazione della società e all’emancipazione dell’umanità, ha le radici piantate nella lotta di classe in corso. Per tali caratteristiche è materia su cui decidono le masse popolari organizzate (sono le masse popolari che scrivono al storia) nel partito comunista, non devono più decidere banchieri, speculatori e capitalisti o i loro portavoce.

carc

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