La Grecia insegna: darsi i mezzi per la propria politica Passare dalla difesa all’attacco, costruire il Governo di Blocco Popolare

La vittoria del NO al referendum in Grecia dice molte cose, ma poche delle cose che dice sono state percepite da chi la commenta. Lasciamo da parte le illusioni (in certi casi interessate, in altri solo ingenue) di chi ha tratto dalla vicenda che c’è bisogno di una Syriza italiana e lasciamo da parte gli entusiasmi di chi dice che ha vinto la democrazia solo per l’esito di un referendum: la classe dirigente italiana è stata maestra nel far esprimere le masse popolari attraverso “gli strumenti della democrazia” per poi fare carta straccia degli esiti (vedi referendum sull’acqua pubblica, elezioni politiche del 2013, ecc.) e oggi è maestra nell’impedire che tali strumenti siano usati (italicum, cassetti pieni di dispositivi referendari che fanno la muffa)… a chi piace continuare a chiedere di potersi esprimere lo faccia, ma senza illusioni sul fatto che l’esito delle consultazioni sia vincolante per la borghesia.
Ci concentriamo su due o tre aspetti che interessano quello che succede in Italia.

La classe dominante è debole. La “piccola” Grecia, 11 milioni di abitanti, 300miliardi di euro di debito (una formica paragonata all’Italia, 60 milioni di abitanti, più di 2000 miliardi di debito), una “periferia” della UE, uno Stato la cui classe dominante ha taroccato più di quella italiana i conti pubblici per entrare nell’euro, ma l’hanno fatta entrare perché l’euro era la via per dare ai governi locali la forza di eliminare le conquiste che le masse popolari avevano strappato sulla scia della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria, ora ha sparigliato le carte nei circoli della finanza e della speculazione internazionale. Il merito non sta nel coraggio del governo Tsipras e nelle sue idee chiare: la stessa indizione del referendum, più che un atto di coraggio, è stato un atto di irresponsabilità (aveva già vinto le elezioni con un programma che parlava chiaro, fare un passo indietro sulla rottura con la Troika ha significato non assumersi la responsabilità del programma di governo che aveva promesso… ma tant’è), ma nella generosità e nel coraggio delle masse popolari che hanno dato un segnale nonostante le pressioni di ogni tipo che hanno subito (economiche, finanziarie, politiche, l’intossicazione dell’opinione pubblica e il terrorismo mediatico). Dare un segnale non equivale a risolvere il problema e nemmeno la generosità e la combattività con cui hanno espresso un’opinione bastano per uscire dalla crisi. L’esito del referendum in Grecia è la massima dimostrazione che la classe dominante è debole (nessuna soluzione sarà indolore per i caporioni della speculazione, saranno per forza di cose scornati) e che le masse popolari devono imparare a far valere la loro forza.

“Fare come la Grecia”? Ma anche no! Darsi i mezzi per la propria politica. Chi dopo la vittoria del NO si è ubriacato di entusiasmo e va ripetendo che “in Italia bisogna fare come la Grecia”, ha perso d’occhio cosa è costato alle masse popolari questo lungo periodo (dal 2008) in cui la Grecia ha iniziato a essere presa di mira dalla speculazione internazionale, prima, e le masse popolari sono diventate il bersaglio delle politiche di austerità, poi. Diecimila suicidi in 5 anni, disoccupazione di poco sotto al 30%, quella giovanile al 60, taglio degli stipendi, dei salari e delle pensioni, smantellamento della sanità pubblica, denutrizione infantile, miseria, degrado materiale e morale, aumento delle tossicodipendenze e della prostituzione, privatizzazione di beni e servizi, svendita di terreni, isole, spiagge. Le condizioni oggettive, materiali, che spingevano le masse popolari greche a rompere con la Troika esistevano da tempo e lo testimoniano il numero impressionante di scioperi generali (48 in 2 anni), di manifestazioni, di blocchi, di proteste, di assalti al Parlamento, di molotov sulla polizia, di occupazioni di ospedali e quartieri. Eppure sette anni di mobilitazioni generose e combattive non sono bastate né a invertire il corso delle cose, né a impedire alla classe dominante di organizzare mosse e contromosse (il boom elettorale di Alba Dorata, il partito nazista dei ricchi e dei poliziotti, è un esempio, non l’unico). Allora nessuno si stupisca se diciamo che, proprio grazie ai tanti e preziosi insegnamenti delle masse popolari e dei lavoratori greci, non vogliamo fare in Italia come hanno fatto in Grecia. Non vogliamo arrivare a fare le code per il pane, non vogliamo eleggere un governo che ha come programma la rottura con la Troika e la creazione di posti di lavoro, ma che poi mette la testa sotto la sabbia e chiede alle masse popolari di votare un referendum, non vogliamo chiamare le masse popolari a fare 48 scioperi generali in 2 anni per poi andare al tavolo coi pescecani della finanza a trattare, a elemosinare.
La situazione dell’Italia è molto diversa da quella della Grecia, la principale diversità non sta nelle caratteristiche economiche, finanziarie, sociali. La principale differenza sta nel fatto che per sette anni l’opposizione greca (compreso il KKE, il Partito Comunista Greco) ha chiamato le masse popolari a difendersi e oggi che governa (ma il KKE è orgogliosamente all’opposizione e chiama le masse popolari a opporsi al governo Tsipras), costretta con le spalle al muro, le chiama a “esprimersi”. In Italia la Carovana del (n)PCI ha elaborato un piano d’azione cui chiama le masse popolari a dare la forza (imparare a far valere la loro forza) per invertire il corso disastroso delle cose, che permette di passare dalla difesa all’attacco, che ha l’obiettivo di trasformare i lavoratori e le masse popolari da classi oppresse a classi dirigenti del paese, che ha l’obiettivo di costruire un governo di emergenza popolare per attuare le misure urgenti e necessarie per fare fronte da subito almeno agli effetti più gravi della crisi e avanzare nella costruzione dell’alternativa al sistema della crisi e dello sfruttamento, il socialismo.

Di opposizione, di lotte di difesa, di “verranno tempi migliori” si muore. Stante la situazione generale fare l’opposizione ai governi dei capitalisti e degli speculatori non basta più, le mobilitazioni difensive, per quanto combattive ed eroiche, non bastano più: la classe dominante non arretrerà di un passo e non cederà su nulla che poi non tenterà con maggiore violenza di riprendersi dal giorno dopo. Non è una questione di cattiveria, di avarizia, di ingordigia, è il sistema capitalista che, entrato nella fase terminale della sua crisi, non consente altra politica che non sia la rapina e la sottomissione delle masse popolari agli interessi della borghesia imperialista.
“Ogni attività che non concorre alla valorizzazione del capitale finanziario è un nonsenso. Le conquiste di dignità e di benessere che le masse popolari avevano strappato alla borghesia nella prima parte del secolo scorso, sono uno spreco scandaloso e intollerabile. Servizi sociali, pensioni, salari, diritti dei lavoratori, salvaguardia dell’ambiente, sicurezza e salute vanno aboliti o trasformati in merci per chi ha i soldi per pagarli e in strumenti di pressione per estorcere profitti (i 20 turni settimanali, la riduzione delle pause e il resto del regime che Marchionne sta imponendo nelle fabbriche FCA illustrano la sorte in cui il capitale finanziario condanna gli operai).
Il capitale finanziario è una massa enorme di titoli: essi sono oggetto delle speculazioni di borsa e dei traffici delle società finanziarie e delle banche e ogni anno devono costituire una massa maggiore di denaro. Il capitale finanziario è il nuovo dio, il moloch che ha soppiantato quello delle vecchie religioni. Non c’è sacrificio che sia troppo per saziare la sua fame di profitto. La Troika e le pubbliche autorità sono i suoi sacerdoti, devono estorcere sacrifici per il loro dio” (dal Comunicato del (n)PCI n.18, 6 luglio 2015).

Ecco perché i “tempi migliori” non pioveranno dal cielo, ecco perché combattere in difesa non basta più, ecco perché se non si ribalta il tavolo e non si cambia il corso delle cose non si può impedire la morte lenta delle aziende, la morte lenta dei servizi pubblici, la morte lenta che ha la forma e il contenuto del degrado materiale e morale in cui versa la società.
La vertenza Whirlpool si è momentaneamente chiusa con la proprietà che ha ritirato i piani di licenziamento per 2300 dipendenti fra operai e impiegati. Quanto durerà? Ha ritirato i licenziati in Italia, ma ha chiuso in altri paesi, tornerà alla carica appena ne avrà occasione, possibilità o necessità. Il gruppo Fincantieri, invece, ha raccolto commesse tali per cui può garantire i posti di lavoro fino al 2022, ma in cambio della garanzia di evitare licenziamenti pretende aumento delle ore e tagli dei salari, misure antisciopero e sistemi di controllo invasivi sugli operai. La Marcegaglia di Sesto San Giovanni ha invece chiuso, ha imposto agli operai il trasferimento in altri stabilimenti (deportazione, la chiamano i sindacati), quello in cui sono stati “deportati” la maggioranza degli operai di Sesto è in Piemonte ed è già in regime di cassa integrazione. La padrona della Marcegaglia sta “diversificando” il business (e Renzi l’ha nominata nel frattempo Presidente dell’ENI): quanto dureranno i posti di lavoro che ha “garantito” a fronte della chiusura dello stabilimento di Sesto? I comuni e gli altri enti locali stanno tagliando i servizi, che vuol dire non solo meno servizi, ma anche meno posti di lavoro. Grandi aziende private e piccoli enti pubblici: l’Italia è un cimitero di posti di lavoro.

Il nostro tempo è ora, un preciso piano d’azione. Badate che non si tratta di convincere qualcuno di qualcosa. C’è chi pensa che, tanto peggio tanto meglio, man mano che le cose peggiorano le masse popolari diventeranno più combattive. E’ un ragionamento un po’ sbagliato, un po’ primitivo e un po’ vero. E’ un ragionamento sbagliato perché non è vero che le masse popolari si muovono “solo per la pagnotta” o solo quando sono costrette a condizioni infami: se ciò fosse vero non esisterebbero popolazioni ridotte alla miseria e alla fame da decenni, ad esempio in Africa o in Asia, e invece non solo esistono, ma nemmeno sono alla testa di grandi ed efficaci movimenti di ribellione. Ancora, è un ragionamento sbagliato e lo dimostrano le mobilitazioni promosse da organismi operai che non si attivano a partire da una vertenza o perché la fabbrica è in crisi, ma perché si rendono conto che se anche la loro fabbrica non in crisi, la società sta andando a rotoli e non può essere che una singola azienda si salvi quando tutto il resto va in rovina. E’ un ragionamento primitivo, anche, perché riduce le masse popolari a un branco che si muove per istinto e sulla base di interessi immediati. Questa concezione delle masse popolari è tipica della classe dominante (che infatti considera le masse popolari come animali, a volte anche meno: certa gente si interessa più dei cani randagi che degli immigrati). La società ha raggiunto un livello tale di sviluppo che per funzionare ha bisogno del contributo meticoloso del grosso della popolazione. Ma in questa concezione c’è anche del vero, nel senso che al procedere della crisi le masse popolari e i lavoratori si mobilitano per difendere il livello di civiltà e benessere che hanno conquistato con le lotte dei decenni precedenti. Quindi a fronte di un generale peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro corrisponde una generale mobilitazione (che assume mille forme, non tutte costruttive, non tutte collettive, e non tutte positive, dipende da quanto il movimento comunista è capace di orientarle e organizzarle e farne una “scuola di comunismo”). Tutto questo per dire che possiamo, perché è possibile, e dobbiamo, perché è giusto, invertire il corso delle cose prima di “toccare il fondo”, prima di “fare la fine della Grecia”. Aspettare che le cose peggiorino “così la gente si sveglia” è una forma di sottomissione ideologica, culturale e morale alla classe dominante. Possiamo sollevarci ora, dobbiamo sollevarci ora, possiamo e dobbiamo dare alle masse popolari che si mobilitano gli strumenti adeguati a fare della propria mobilitazione al forza materiale che trasforma il mondo.

Un preciso piano d’azione. Con i lavori del IV Congresso abbiamo combinato il bilancio del vecchio movimento comunista, l’analisi della società attuale, con il bilancio e le prospettive delle lotte spontanee in corso nel paese e ne abbiamo tratto un preciso piano d’azione per valorizzare le lotte spontanee (forme, contenuti, obiettivi) nella lotta per costruire la rivoluzione socialista in un paese imperialista come l’Italia alle condizioni attuali: è la linea per costruire il Governo di Blocco Popolare.

Alle condizioni attuali del nostro paese far valere la forza dei lavoratori e delle masse popolari, aprire un corso nuovo e diverso rispetto alle abitudini imposte dal senso comune, rompere con i ricatti della classe dominante significa principalmente tre cose:
1. moltiplicare il numero delle organizzazioni operaie (nelle aziende capitaliste) e delle organizzazioni popolari (nelle aziende pubbliche) e promuovere il loro coordinamento. Cioè fare in modo che una parte crescente di lavoratori e masse popolari si organizzino in modo autonomo dalla classe dominante, dalle sue autorità e dalle sue istituzioni e costruiscano fra di loro una rete che si estende man mano che crescono il numero delle organizzazioni operaie e popolari e le relazioni fra di esse;
2. individuare quali sono i passi da fare per iniziare a fare fronte agli effetti più gravi della crisi e farli, ogni organizzazione operaia e ogni organizzazione popolare deve iniziare a mettere mano a ciò che la classe dominante, le sue autorità e le sue istituzioni lasciano all’abbandono, al degrado, alla mercè delle speculazioni e degli interessi dei capitalisti, dei padroni e degli affaristi: impedire la chiusura di una fabbrica, riqualificare un quartiere o una zona, promuovere l’autorganizzazione del lavoro mobilitando disoccupati e cassintegrati, impedire la devastazione ambientale, riappropriarsi di spazi, diritti, servizi, autoridursi affitti e bollette, imposte e tasse… il tutto secondo il principio che è legittimo tutto quello che è conforme agli interessi delle masse popolari anche se è considerato illegale dalle autorità e dalle istituzioni della classe dominante;
3. le organizzazioni operaie e le organizzazioni popolari devono via via imparare a operare da nuove autorità pubbliche che orientano le masse popolari e attraverso la loro rete fanno valere la loro autorevolezza, indicano cosa è giusto e cosa è sbagliato e mobilitano le forze sane del territorio a operare di conseguenza anche in aperta contrapposizione con le vecchie autorità della classe dominante.
Darsi i mezzi per la propria politica significa, come indica il (n)PCI nel suo comunicato del 6 luglio 2015: “disporre di mezzi propri sufficienti per stare comunque in piedi. E in questo campo i mezzi sufficienti indispensabili sono masse popolari abbastanza organizzate da essere capaci di prendere in mano l’economia del paese a prescindere dai capitalisti e dai loro traffici”.

Passare dalla difesa all’attacco. Senza voler banalizzare il contenuto del preciso piano d’azione, possiamo fare esempi che lo rendono estremamente semplice da capire e traducibile nel concreto da chiunque. E’ prassi corrente, deriva dal senso comune (come vanno correntemente le cose, “tutti fanno così”, “si è sempre fatto così”), che le masse popolari chiedano a qualche autorità che cosa fare e come farlo. Se chiudono l’azienda gli operai chiedono al sindacato, se chiude un ospedale le masse popolari chiedono all’assessore e al sindaco, se il quartiere è degradato i cittadini chiedono ai carabinieri o alla polizia, se l’istituto case popolari sfratta, gli inquilini chiedono un incontro con il consigliere o il presidente, e via così. Il primo passo di fronte a ognuno di questi casi è non limitarsi a chiedere alle autorità competenti, ma consultarsi con altri che subiscono gli effetti di quel provvedimento, con altri con cui si condividono gli interessi comuni. Il secondo passo è chiedere ai lavoratori della tale azienda presente sul territorio (azienda pubblica o privata che sia, se ci sono entrambe è meglio) di prendere posizione sulla questione, se si tratta di questioni aziendali, il secondo passo è far conoscere la posizione dei lavoratori e chiedere alle masse popolari della zona di prendere posizione. Gli esempi sono innumerevoli e valgono per qualunque aspetto della vita della masse popolari. Il principio è che quanto esiste di organizzato in un dato territorio si esprima su ciò che riguarda la vita delle masse popolari. Si esprima ed elabori soluzioni proprie: i lavoratori della tal azienda sono contrari alla chiusura del distretto sanitario e sono disposti a sostenere le mobilitazioni di lavoratori e utenti; gli abitanti della tal zona sono contrari alla chiusura della tale azienda e si mobiliteranno a sostenere le soluzioni che gli operai ritengono opportune; gli studenti della tal scuola sostengono la mobilitazione dei lavoratori del trasporto pubblico; i lavoratori della tal azienda pubblica denunciano la situazione di degrado del quartiere e si mobilitano per riqualificarlo, ecc. Questo significa, in piccolo, alla portata di tutti, passare all’attacco, passare dal chiedere cosa fare e come farlo, al decidere cosa fare, perché fare e farlo. Il come fare è quello che si impara facendo e se le masse popolari fanno valere la loro forza possono contare sul contributo di tanti tecnici, studiosi, esperti che la casse dominante lascia disoccupati o impiega con l’unico scopo di aumentare l’oppressione sulle masse popolari.

Far funzionare parti crescenti della società in modo indipendente dalla classe dominante, affermare gli interessi collettivi anche se sono in contrasto con quelli della classe dominante, fare quello che è legittimo, anche se per le autorità della Repubblica Pontificia è illegale, rompere con le prassi, gli usi, le liturgie degli iter burocratici, sindacali, politici, istituzionali. Chi vuole avere un ruolo positivo sul corso delle cose deve fare questo, oppure decide di soffocarsi e soffocarci di discorsi sulle alleanze elettorali, sulla necessità dei movimenti di avere una sponda politica, sulla necessità di fare un’alleanza di governo con tutti i paesi poveri del Mediterraneo (senza dire chi la promuove, quale governo la attua, con quale programma), su quanto sia necessario uscire dall’euro e rompere con la UE, su quanto sia importante fare piattaforme unificanti e radicali per chiedere 1000 alla classe dominante per poter ottenere 100…

Non si può rimanere in mezzo, non si può rimanere a guardare. Se qualcuno pensa che queste cose non fanno per lui, che è forse più conveniente ritirarsi da qualche parte e procurarsi quel poco che basta per vivere dignitosamente, non ha capito in che paese e in che epoca vive. E’ il medesimo ragionamento di chi, mentre il palazzo brucia, sale al piano superiore per sfuggire alle fiamme anziché mettersi a spegnere l’incendio: o per le fiamme o per il fumo diventerà cenere, come il palazzo. Se qualcuno pensa che queste cose non fanno per lui è bene che inizi seriamente a riflettere su quali sono le forme e i modi che gli sono più congeniali per contribuire anche lui e aggregarsi a quanti sono invece già in moto. Non è (solo) una questione morale, ma anche strettamente pratica: dalla crisi nessuno si salva da solo.
Torniamo al referendum in Grecia, a quel NO e alle tante parole che vengono spese per interpretarlo e commentarlo. Quel NO coraggioso e generoso, dice della Grecia quello che vale per l’Italia, darsi i mezzi per la propria politica. Le masse popolari d’Italia possono valorizzare quello che hanno insegnato loro quelle di Grecia e fare quel pezzo di strada che esse non hanno ancora fatto: le masse popolari del primo paese che rompe le catene dei circoli della finanza e della speculazione internazionale aprirà la strada a quelle degli altri paesi. Ecco quello che siamo chiamati a fare, aprire un corso nuovo alla storia dell’umanità.

Compagni e compagne,

i lavoratori hanno bisogno del comunismo, i popoli oppressi hanno bisogno del comunismo, l’umanità ha bisogno del comunismo!

La borghesia imperialista e il clero non hanno le forze per far fronte alla rivoluzione quando la classe operaia e le masse popolari combatteranno. I loro regimi sono putridi e cadono a pezzi, corrotti e fradici: guardate mafia capitale a Roma diretta dal Vaticano, guardate il Mediterraneo e i confini tra Messico e USA cosparsi di cadaveri, guardate Ventimiglia, Calais e Ceuta e Melilla, guardate New York e Charleston, guardate la FIFA, guardate la ribellione contro gli imperialisti USA e i loro agenti locali che dilaga nei paesi arabi sotto la direzione dello stesso clero musulmano che gli imperialisti avevano usato per decenni contro il movimento comunista, guardate Snowden e gli altri che sono in esilio o in carcere per aver denunciato i loro e nostri padroni. La ribellione cova dappertutto, anche tra i mercenari che i ricchi hanno arruolato al loro servizio. In Venezuela la guerriglia era stata sconfitta militarmente, ma dalle file delle Forze Armate che l’avevano vinta sono usciti Chavez e i suoi seguaci che hanno promosso la Rivoluzione Bolivariana e questo perfino in un periodo in cui il movimento comunista era in fondo alla china dove i revisionisti l’avevano fatto sbandare.

Noi vinceremo se assimileremo la concezione comunista del mondo e la assumeremo a guida della nostra condotta e della nostra attività. Noi siamo determinati a farlo e lo faremo!

 

carc

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