La vittoria del NO al referendum in Grecia ha ringalluzzito i No euro nostrani che si sono scatenati nella formulazione di scenari più o meno articolati e convergenti dai quali si deduce: che adesso le masse popolari greche devono imporre l’uscita dall’euro, che adesso il governo greco deve promuovere l’unità d’azione con le altre “pecore nere” dell’UE per fare un’alleanza mediterranea sullo stile dell’ALBA sudamericana, che adesso anche in Italia bisogna mobilitarsi per conquistare un referendum su tutti i memorandum dagli anni ’90 a oggi. I più temerari prevedono che a colpi di referendum i popoli d’Europa faranno ingoiare alla Troika e al governo tedesco la dissoluzione dell’UE, conquistando regimi politici (quali?) più giusti, democratici e progressivi. Facciamo due ragionamenti, non per spirito di polemica, ma perché queste teorie, divulgate da popolari fonti del movimento (Contropiano), sostenute da dirigenti sindacali (Cremaschi) o politici (M5S, ma ce ne sono altri che dichiarano a gran voce o insinuano gli stessi propositi) inquinano l’orientamento dei movimenti, alimentano la concezione metafisica e sognante della sinistra borghese, deviano gli elementi avanzati delle masse popolari dai compiti immediati, realistici e costruttivi e di conseguenza intralciano il processo di costruzione dell’alternativa politica. Che lo facciano “in buona fede” (e ci mancherebbe altro!) poco importa: il dibattito politico serve a distinguere le idee giuste da quelle sbagliate.
Quello che gli sceneggiatori di queste “storie No euro” proprio rifiutano di voler affrontare sono le risposte a domande semplici, di buon senso. Il centro del discorso è darsi i mezzi per la propria politica.
Per uscire dall’euro (le masse popolari greche come quelle italiane), per sviluppare relazioni internazionali basate sulla solidarietà e la cooperazione con altri paesi, per rifiutare i memorandum e decidere unilateralmente di sospendere i vincoli economici e finanziari che come una catena legano ogni singolo Stato e l’economia di ogni paese capitalista ai circoli della finanza e della speculazione internazionale non basta un referendum (o una serie di referendum). Occorre un governo che abbia la precisa volontà politica di farlo (cioè abbia una strategia e una tattica per farlo) e che si doti dei mezzi necessari per farlo. Agli evocatori di scenari NO euro bisogna chiedere: ma pensate che un governo nominato dai vertici della Repubblica Pontificia (il voto è una formalità, in questo paese) potrebbe avere queste caratteristiche essenziali? La domanda è interessante perché nemmeno il governo Tsipras sembra intenzionato a farlo.
Dalla crisi – che per inciso non è causata dall’euro e non è iniziata nel 2008, ma è causata dalla sovrapproduzione assoluta di capitale (ha la sua fonte nell’economia reale capitalista, nella produzione di beni e servizi fatta da aziende capitaliste), è iniziata a metà anni ’70 ed è entrata nella sua fase acuta e terminale nel 2008 – non si esce “uscendo dall’euro”, ma superando il capitalismo e costruendo un sistema superiore, il socialismo. E’ una questione politica che non ha soluzione con misure economiche o monetarie.
A queste affermazioni, i fautori del NO euro rispondono che il socialismo è impossibile (non ci sono le condizioni) e che la costruzione del Governo di Blocco Popolare (che è uno strumento per avanzare nella costruzione del socialismo) è “difficile da farsi”. Chiaro, no? Spacciano come possibile, probabile, certa la prospettiva di uscire dall’euro con un referendum e definiscono difficile da farsi l’unica via che implica la creazione dei mezzi per farla veramente finita con l’euro: ma, guarda caso, se lo riconoscessero sarebbero obbligati a impegnarsi anche loro in una lotta ben più “compromettente” che le richieste di referendum e le invocazioni a uscire dall’euro.
La base su cui fanno leva è il senso comune della lotta politica come lotta fra opinioni: tante opinioni fanno una maggioranza e la maggioranza vince.
Ma questo non era vero neppure nella “democrazia ellenica” (che va tanto di moda rispolverare), figuriamoci nel regime di controrivoluzione preventiva nella fase acuta e irreversibile del capitalismo… Della maggioranza che decide questa classe dirigente ne ha fatto carta straccia e non da oggi. Persino gli istituti della democrazia borghese sono in via di disgregazione a opera della borghesia stessa (processo a cui si combinano la disaffezione, l’astensione e il rifiuto delle masse popolari). Vediamo quotidianamente la classe dominante fare cose in aperto contrasto con la volontà popolare (vedi referendum sull’acqua, TAV, legge Fornero, Jobs Act, ma non facciamo l’elenco) e questi portavoce, dirigenti, esponenti della base vogliono rifilare alle masse popolari un’analisi di seconda mano su quanto sia bella e giusta la democrazia dei borghesi di oggi (o dei padroni di schiavi dell’antica Grecia)?
Per essere credibili essi stessi e per fare un buon servizio alla causa che promuovono i NO euro dovrebbero darsi i mezzi per la propria politica: se davvero vogliono uscire dall’euro, fare le alleanze con le masse popolari che resistono alla morsa della speculazione in cui sono costretti i loro paesi, dovrebbero prima di tutto pensare a costruire il governo che può elevare le loro narrazioni al rango di leggi dello Stato. In questo modo avranno un ruolo positivo anche nei confronti di quei settori delle masse popolari che essi oggi pretendono di indottrinare su progetti campati per aria (su progetti campati sulle opinioni).
Per rompere con la UE, con la Troika, con l’euro occorre creare le condizioni materiali per cui le aziende funzionino senza la cappa di speculazione finanziaria che le opprime, i servizi funzionino senza la cappa del profitto che li snatura e li cancella, che alle aziende non si chieda di produrre profitti per chi ci mette iniziativa, tecnologia, macchinari, soldi, relazioni, ecc. ma beni e servizi utili, che la società funzioni sulla base della mobilitazione delle masse popolari (da sempre escluse dalla conoscenza e dalla direzione della società) che via via acquisiscono le capacità (politiche, organizzative, tecniche, morali) di farla funzionare. Questo è il processo di costruzione e consolidamento del Governo di Blocco Popolare. Senza questa base le chiacchiere si sprecano, i referendum vengono disattesi, i vorrei ma non posso si sprecano e nella contesa della mobilitazione delle masse popolari fra via rivoluzionaria e via reazionaria lasciamo al nemico tempo, spazio, terreno e risorse su cui è inutile recriminare.
Le masse popolari della Grecia avranno la forza di decidere se e come uscire dall’euro quando si saranno dotate di un governo che sappia tradurre quella decisione in atti concreti, che sarà deciso e capace (politicamente, perché tecnicamente non ha vincoli) di mobilitare le masse popolari e di fare di quella mobilitazione la sua forza trainante. Le masse popolari greche avranno la possibilità di stabilire rapporti di cooperazione e collaborazione con le masse popolari di altri paesi se si doteranno di un governo che è capace di farlo (l’ALBA sudamericana non è nata sotto una palma, è la lotta condotta nel continente dal governo del Venezuela e altri, Ecuador, Bolivia, Cuba…).