Roma: un’Amministrazione Comunale di Emergenza per la capitale della Repubblica Pontificia

Lo scandalo di Mafia-Capitale è un’operazione lanciata dall’interno dei vertici della Repubblica Pontificia: da chi? Chi ha fatto scoppiare lo scandalo di Mafia-Capitale e con quale obiettivo? Come si combina lo scoppio dello scandalo con l’avvento dell’accoppiata Bergoglio-Renzi al vertice della Repubblica Pontificia? I gesuiti non sono una banda di provinciali appena arrivata a Roma. Ne conoscono a menadito le tasche e più ancora.
Roma è il centro della corruzione e del malaffare italiani da quando la borghesia italiana nel 1870 è calata su Roma e ha sconvolto la vita sonnacchiosa e putrescente dello Stato Pontificio e della sua aristocrazia nera: “la vergogna d’Europa” l’aveva definito l’allora capo del governo inglese Gladstone, che di Europa e di vergogne se ne intendeva. Da allora inizia il “sacco di Roma” fatto di speculazioni immobiliari e bancarie, di manovre cortigiane e di oscuri delitti, in cui si combinano, confliggono e collaborano le vecchie cerchie clericali e le nuove fameliche orde borghesi. Un successivo salto si ebbe con il fascismo, che eresse lo Stato del Vaticano a potenza autonoma all’interno di uno Stato che Mussolini sognava indipendente ma che nella realtà rimase succube del Papato. Il terzo salto si è avuto con la subdola fondazione della Repubblica Pontificia dopo la seconda guerra mondiale.
Perché di una prassi d’illegalità e di criminalità che dura e prospera da quasi 150 anni, oggi se ne è fatto uno scandalo nazionale? Molte sono le domande ancora senza risposte, ma certo è che lo scandalo di Mafia-Capitale è un effetto della crisi della Repubblica Pontificia e la aggrava. Chi, anche con le migliori intenzioni, pensa o cerca di risolverla come caso a sé e circoscritto, di risolvere la questione romana senza risolvere l’anomalia italiana, di fatto spinge le masse popolari a fare da massa di manovra dei gruppi dei vertici della Repubblica Pontificia promotori dello scandalo o dei gruppi che sono il loro bersaglio.
Noi dobbiamo affrontare gli sviluppi dello scandalo in modo che le masse popolari ne traggano il massimo vantaggio, in termini di moltiplicazione delle organizzazioni operaie e popolari, del loro rafforzamento a funzionare come nuove autorità pubbliche e creare le condizioni per costituire il Governo di Blocco Popolare. La questione romana non si risolve a Roma, ma in Italia: è l’Italia che l’ha creata. D’altra parte è impossibile risolvere la questione italiana senza far piazza pulita della questione romana.
Nell’articolo che segue descriviamo alcuni aspetti della situazione, delineiamo alcune mosse e indichiamo alcuni primi passi che noi comunisti dobbiamo percorrere con tutti i gruppi e le persone decisi a trasformare lo scandalo di Mafia-Capitale in un’arma della guerra che deve porre fine alla Repubblica Pontificia. I comunisti e tutte le forze sane del paese devono approfittare dello scandalo di Mafia Capitale per imparare a far fronte alla crisi generale del nostro paese.

L’amministrazione comunale di Roma è diversa da tutte le altre. Per alcune caratteristiche è accomunabile a quelle di altre grandi città (Milano che è la capitale finanziaria del paese, Napoli che è la “capitale del sud”), ma in definitiva è unica per il ruolo che ricopre nel sistema della Repubblica Pontificia, di cui è capitale politica, sede del Vaticano e delle sue congregazioni e delle sue ambasciate, dei suoi traffici e intrighi. Per questo motivo l’amministrazione comunale di Roma è stravolta dalla combinazione di due fenomeni: la contraddizione fra governo centrale ed enti locali (che la accomuna a ogni altro ente locale del paese, grande e piccolo, nel dover resistere al taglio dei finanziamenti e alla trasformazione da ente di governo del territorio a esattore di tasse e imposte per conto del governo centrale) e la guerra per bande fra gruppi e fazioni che compongono i vertici della Repubblica Pontificia e che a Roma hanno base e specifici interessi. Fra i due fenomeni, questo secondo è il principale ed è quello che, contemporaneamente, fa di Roma e delle sue istituzioni uno dei centri del malaffare e della speculazione a livello nazionale e fa dell’Amministrazione di Roma un anello debole della Repubblica Pontificia.
Lo scoppio dello scandalo di Mafia-Capitale è un atto di quella guerra per bande che caratterizza la crisi politica del paese, Roma e la sua amministrazione comunale ne sono un campo di battaglia. Come esito temporaneo della stessa guerra per bande vanno intese anche le “soluzioni” promosse dalla classe dominante (tutte in nome della legalità, della trasparenza e della democrazia, beninteso): commissariamento? Elezioni anticipate? Rimpasto della giunta? Per farsi un’idea (parziale) di quello che c’è in ballo, oltre al conosciuto giro di interessi e speculazioni attorno alle aziende partecipate, all’emergenza casa e a quella immigrazione, alla gallina dalle uova d’oro degli appalti delle cooperative (quanto emerso da Mafia-capitale), Roma sarà il centro del Giubileo Straordinario 2016, e, con una riunione tenuta al Padiglione Lombardia all’Expo di Milano a inizio luglio, è stata ufficialmente candidata per le Olimpiadi del 2024.

Assedio al Campidoglio. Lo scandalo Mafia-capitale ha posto la giunta Marino nell’occhio del ciclone, non solo ai piani alti della Repubblica Pontificia. I lavoratori della Multiservizi a inizio giugno hanno occupato per 10 giorni l’aula del Consiglio Comunale e dopo lo sgombero hanno continuato a presidiare la piazza e manifestare. Il 9 giugno, insieme al M5S hanno manifestato per chiedere le dimissioni di Marino; l’11 giugno, sotto il comune di Roma hanno manifestato diversi schieramenti politici (dal M5S a Casa Pound, fino all’area di Deliberiamo Roma, un coordinamento di oltre 70 organismi, che ha organizzato con una “farsa teatrale” l’insediamento di un Consiglio Popolare al posto della giunta attuale). Il 15 giugno, la Carovana delle Periferie (campagna di una parte del movimento di lotta per la casa) e il M5S hanno promosso un’assemblea per chiedere lo scioglimento del Comune e nuove elezioni. E’ in pieno svolgimento la campagna di occupazioni Roma Comune, promossa dalla Rete per il Diritto alla Città. Il 24 giugno le Liste di disoccupati e precari dell’Asia Usb hanno fatto irruzione durante un convegno della Regione Lazio sullo stanziamento dei fondi europei di disoccupazione. Anche la destra si è mobilitata, oltre ai comitati contro l’accoglienza dei profughi (in particolare il Comitato San Nicola), il 23 giugno anche Salvini si è fatto fotografare in piazza.
Se il movimento popolare si limita a chiedere le dimissioni di Marino o nuove elezioni, esso, come anche chi chiede il commissariamento, spinge le masse popolari a fare da massa di manovra per questo o quel gruppo di potere. Illudersi che sia diverso contrasta con l’evidenza delle cose e con l’esperienza pregressa. Che Marino si dimetta, che siano indette nuove elezioni o che sia nominato un commissario, se l’iniziativa rimane in mano ai vertici della Repubblica Pontificia nessuna discontinuità è possibile.

Darsi i mezzi per la propria politica. Gli organismi che hanno chiamato le masse popolari ad assediare il Campidoglio sono solo una parte di quelli che promuovono la mobilitazione popolare nella capitale della Repubblica Pontificia. Per far valere la loro forza, per organizzare, mobilitare e raccogliere il resto della parte sana della città, occorre che si diano un piano d’azione per approfittare della debolezza della giunta (che è, alla luce di quanto detto, anche la debolezza dei vertici della Repubblica Pontificia) e imporre quelle misure straordinarie per fare fronte agli effetti della crisi che fino a oggi hanno chiesto a Marino.
Un piano d’azione per Roma. Lo stato in cui è ridotta la città obbliga già le masse popolari a occuparsi direttamente di quegli aspetti su cui l’amministrazione non ha interesse, capacità o volontà di intervento: riappropriazione di case e spazi aggregativi, sociali, culturali e politici, riqualificazione di pezzi di città, parchi e quartieri, autorganizzazione di servizi come doposcuola, palestre, disobbedienza alle misure antipopolari, come i distacchi dell’acqua. Ci sono centinaia di esempi in questo senso, citiamo quello del Comitato di Sviluppo Locale “Piscine di Torre Spaccata” di Cinecittà. Nel 2011 il Comitato, coordinandosi con gli operatori sociali delle Cooperative “Stand Up” e “Le Rose Blu”, le Assistenti Sociali del VII Municipio e il Dipartimento di Studi Urbani dell’Università di Roma 3, promuove incontri e formazione con i cittadini del territorio e svolge un’inchiesta sul quartiere da cui emergono tre emergenze: patrimonio pubblico abbandonato, assenza di servizi e un tasso di disoccupazione elevatissimo, in particolare la necessità di uno spazio per gli anziani e l’esigenza di riqualificare e rivitalizzare il mercato comunale, da anni in stato di parziale abbandono e degrado. A luglio 2012, attraverso un’ordinanza municipale di Sandro Medici (all’epoca Presidente del Municipio che aveva già finanziato il progetto), si attiva il centro anziani e vengono poi assegnati 6 box del mercato comunale per avviare un polo artigianale e un polo biologico. Oggi sono più di 50 gli edifici requisiti, recuperati e rimessi in moto, dove si sta riattivando un polo produttivo, economico e sociale.
Di esempi come questo la città è piena: l’USB promuove la formazione di liste di disoccupati e la loro mobilitazione per la creazione di posti di lavoro, il movimento di lotta per la casa fa la mappatura degli alloggi sfitti e abbandonati e promuove le assegnazioni dal basso, i Gruppi di Allaccio Popolare riattaccano le utenze ai cittadini a cui le autorità le hanno tagliate.

Questo patrimonio di organizzazione e mobilitazione, a cui va aggiunta la mobilitazione dei lavoratori delle aziende private e quella dei lavoratori delle aziende pubbliche, vedi ATAC, può e deve essere sintetizzato in un piano d’azione, iniziative concatenate e sinergiche (il contrario di sparse e occasionali) che diventano il contenuto della lotta per un’amministrazione locale di tipo nuovo.
Più che cacciare Marino (magari invocandone le dimissioni o nuove elezioni), imporre a lui e la sua giunta quelle misure di emergenza è lo strumento che cambia i rapporti di forza e prepara il terreno per far fronte anche alle evoluzioni che i vertici della Repubblica Pontificia vorranno dare all’amministrazione di Roma. Qualunque sia la “soluzione” che vorranno imporre dovrà fare i conti con quelle misure e con la mobilitazione delle organizzazioni operaie e popolari per attuarle.

La politica delle idee e la politica di principio. Marino è una delle tante facce della classe dominante. Non importa che sia più o meno onesto, più o meno democratico, più o meno invischiato con speculazione e malaffare. Importa che una parte dei vertici della Repubblica Pontificia è decisa a cacciarlo per spingere più a fondo le sue radici nei traffici e nelle clientele nella capitale del paese e una parte è invece decisa a tenerlo in piedi per il medesimo motivo. Essere con o contro Marino, per le masse popolari, non è una questione “di idee”, ma una questione pragmatica. Permettere che Marino sia cacciato senza avergli imposto niente di ciò che è nell’interesse delle masse popolari, apre le porte a una situazione per cui le masse popolari si troveranno a partire da zero una volta che il nuovo sindaco (o il commissario) sarà eletto o nominato. Fare della necessità di Marino di “avere alleati” un punto di forza per il movimento popolare; imporgli (e non chiedergli) di dare forza di delibera della giunta alle iniziative che il movimento popolare assume per fare fronte alla crisi. Solo in questo modo i rapporti di forza della “disfida” sulla giunta di Roma cambieranno in senso favorevole alle masse popolari.

Per quanto Marino abbia bisogno di alleati, non diventerà il paladino delle conquiste e dei diritti nel giro di una settimana e nemmeno di un mese. La sua stella polare rimangono i poteri forti, i vertici della Repubblica Pontificia che però proprio su Roma si stanno scannando. E’ quindi impensabile che si faccia proprio lui promulgatore di delibere di una moratoria sugli sfratti, del blocco degli sgomberi, della creazione dal basso di posti di lavoro, della trasparenza, della rottura del patto di stabilità, ecc. E’ un processo che va concepito per gradi (concatenazione e sinergia delle mobilitazioni, il piano d’azione), che ha l’obiettivo di costruire un’amministrazione locale di emergenza e che si verifica sulla base dei passi concreti in questo senso, che saranno per forza di cose contraddittori e confusi. Pensare che le cose possano andare diversamente (amministrazione migliore tramite elezioni, miglioramento delle condizioni tramite commissariamento, repentino cambio di passo di Marino, ma anche impossibilità del cambio di passo di Marino) confina la mobilitazione nel campo delle richieste e delle speranze che in un modo o in un altro qualcuno cambierà le cose.

Governo di Blocco Popolare. Dato il ruolo che l’amministrazione di Roma ha negli ingranaggi di potere dei vertici della Repubblica Pontificia, le organizzazioni operaie e popolari della capitale hanno un compito e una responsabilità che va oltre la costruzione di una amministrazione “più democratica”, hanno il compito di costruire un’amministrazione comunale di emergenza.

“Le Amministrazioni Locali di Emergenza sono amministrazioni locali (dispongono dei mezzi, delle risorse e dell’autorità conferitegli dagli ordinamenti, dalle leggi e dalle prassi vigenti)
– che nella loro attività pongono gli interessi delle masse popolari davanti alle direttive e alle imposizioni delle autorità centrali: disobbediscono alle direttive delle autorità centrali in ogni caso in cui contrastano con gli interessi delle masse popolari, si danno i mezzi per farlo con efficacia e non esitano ad affrontare le ritorsioni delle autorità centrali (commissariamento, denunce, ecc.);
– che mobilitano le masse popolari a organizzarsi, sostengono con i propri mezzi, risorse e autorità l’attività delle organizzazioni operaie e popolari, le incitano a coalizzarsi e a prendere iniziative che mirano a costituire il Governo di Blocco Popolare.
Si distinguono dalle vecchie amministrazioni perché mettono al centro del loro programma e della loro azione:
– la salvaguardia delle aziende e dei posti di lavoro esistenti e la creazione di nuovi posti di lavoro utili e dignitosi per migliorare le condizioni di vita delle masse popolari (abitazione, istruzione, assistenza, servizi pubblici, ecc.) e per tutelare l’ambiente, il territorio e il patrimonio pubblico;
– l’attuazione della più ampia trasparenza sul funzionamento dell’Amministrazione e la partecipazione delle masse popolari alla scelta e alla gestione delle attività economiche, politiche e sociali e del patrimonio e delle risorse pubbliche” – dalla Dichiarazione Generale approvata dal IV Congresso.

Proprio questa particolarità rende più evidente che non basta chiedere e rivendicare: Marino o un altro, come Renzi o un altro. La questione è se e quanto il prossimo governo della città, come il prossimo governo del paese, sono espressione della classe dominante o delle organizzazioni operaie e popolari.

carc

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