Il governo Renzi è debole. Colpirlo da più parti, fino ad affondarlo

Che la grande fiducia del paese nei confronti di Renzi fosse propaganda-spazzatura era chiaro fin da quando giornali e televisioni ne celebravano il trionfo “con il 40% dei consensi al PD” alle europee del 2014, mentre in realtà le europee avevano mostrato che il PD perdeva i suoi elettori tradizionali, sostituiti dagli elettori che abbandonavano Berlusconi: cioè Renzi diventava il capofila delle larghe intese al posto di Berlusconi.
Oltre che costruire una falsa verità sulla forza di Renzi, quella propaganda doveva nascondere le crepe, le incertezze, le debolezze a cui il suo governo avrebbe dovuto fare fronte: è sempre stato in bilico (ecco perché è il governo che in assoluto ha fatto maggiore ricorso al voto di fiducia sui Decreti Legge) e sta in piedi solo per il fatto che i vertici della Repubblica Pontificia non hanno altra soluzione di ricambio, non hanno nessun altro “galantuomo” a cui affidare le riforme.
E Renzi le riforme le ha fatte: ha liquidato il Senato, ha imposto l’Italicum, il Jobs Act e ha abrogato l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (la giusta causa). E’ alle prese con la riforma della scuola e ventila una revisione peggiorativa della legge Fornero sulle pensioni, ha dato il via allo Sblocca Italia. Non è poco e Renzi continua a ripeterlo come per averne il riconoscimento da chi lo ha installato al governo. Tuttavia quella che viene presentata come una “marcia inarrestabile” (e la sinistra borghese ne alimenta l’epica ogni volta che denuncia il suo atteggiamento da “padre padrone”, come se davvero fosse cosa diversa da un venditore di talento) è più che altro una resistibile ascesa dall’esito incerto.

“Il governo Renzi si è liberato della stampella Berlusconi. La Corte Pontificia si è avvalsa di essa (Patto del Nazareno) per dare apparenza democratica (di conformità alle procedure e alle regole della democrazia borghese, versione Repubblica Pontificia) all’investitura e ai primi passi del nuovo cavallo su cui essa ha puntato per salvaguardare la Repubblica Pontificia. L’esito delle elezioni generali del febbraio 2013, con la crescita del numero degli astenuti e l’affermazione del M5S di Beppe Grillo, aveva mostrato che i vertici della RP hanno difficoltà crescenti a controllarne l’esito: meglio quindi non far passare Renzi attraverso la prova di elezioni generali. Berlusconi ha accettato di fornirgli la stampella per motivi analoghi a quelli per cui a fine 2011 aveva accettato di dimettersi da capo del governo e Renzi ha potuto formare il suo governo e imporre il suo programma con i voti favorevoli di Camera e Senato, anche se non aveva avuto alcuna convalida elettorale. Ottenuto questo risultato, i vertici della RP hanno congedato Berlusconi con solide garanzie che le ricchezze sue e dei suoi complici non saranno toccate e che i loro reati e i loro delitti resteranno impuniti. È quindi diventata più evidente la divisione dei compiti tra la Corte Pontificia e il governo Renzi. Ora però l’accoppiata Bergoglio-Renzi è alla prova dei fatti, deve dimostrare ai vertici della RP e alla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti di essere all’altezza dei compiti che ha assunto” (dal Comunicato del (n)PCI del 18 maggio 2015).

Una resistibile ascesa. Non è Renzi a essere forte, sono le masse popolari che devono ancora far valere la loro forza. Renzi ha avuto buon gioco per tre motivi.
Il primo e già citato: è il miglior esponente che la classe dirigente del paese potesse esprimere per fare ciò di cui c’era bisogno, ciò che la crisi generale imponeva alla classe dirigente per tentare di “rimanere competitivi”, cioè salvaguardare al massimo possibile l’intrico di interessi che trovano espressione nella Repubblica Pontificia: quelli degli imperialisti USA, quelli degli imperialisti UE, quelli del Vaticano, quelli dei grandi industriali, banchieri e speculatori italiani e quelli delle organizzazioni criminali.
Il secondo motivo è che le tappe forzate alle riforme imposte da Renzi erano negli interessi della classe dominante: bando alle ciance, ai lacci e lacciuoli democratici, alle norme e alle leggi; il governo va avanti come un treno e tutte le fazioni della Repubblica Pontificia vi si devono accodare; chi più convinto e chi meno, chi ingoiando il rospo e chi entusiasta, chi avendo in cambio qualcosa e chi convinto dalla paura di essere lasciato indietro (emblematico lo psicodramma interno al PD e la “notte dei lunghi coltelli” in Forza Italia e nell’ex PdL di Berlusconi).
Il terzo motivo è che l’opposizione sindacale e quella parlamentare hanno fatto un’opposizione inconsistente, al di là delle dichiarazioni buone solo per i giornali.

I sindacati di regime hanno messo da subito i remi in barca e hanno lasciato fare. CISL e UIL lo hanno fatto in conformità al loro ruolo storico di sindacati gialli. I vertici della CGIL lo hanno fatto per interesse e paura. Per interesse, dato che parte consistente del giro di affari del principale sindacato ruota attorno ai risultati di decenni di concertazione con governi, istituzioni e autorità. Per paura che Renzi davvero smantellasse il sindacato nelle aziende (in particolare quelle pubbliche). Per fare una lotta seria la CGIL avrebbe dovuto mobilitare tutta la sua base in una campagna articolata e prolungata di cui il gruppo dirigente conosceva l’inizio, ma non poteva prevedere né controllare gli sviluppi e le evoluzioni. Quindi non lo ha fatto e si è attivato solo quando costretto della base (a partire dai metalmeccanici, vedi mobilitazione contro il Jobs Act e la mobilitazione contro il DDL scuola) e in genere in modo rituale e stanco, senza voler vincere su alcun fronte.
L’opposizione parlamentare, d’altro canto, si è distinta per l’attivismo nella difesa delle regole e delle norme democratiche (come il ruolo di “sentinelle della democrazia” del M5S) più che sulla lotta contro le riforme di Renzi… tanto fiato sprecato e nessun risultato pratico. Vale per M5S e SEL quanto vale per il sindacato: avrebbero dovuto chiamare alla mobilitazione le masse popolari (e invece il M5S al massimo ha chiamato gli eletti alla mobilitazione dentro i palazzi). Ma ciò implica l’avere una prospettiva di alternativa politica a Renzi e ai vertici della Repubblica Pontificia. Invece per M5S e SEL la mobilitazione delle masse popolari è limitata alla lotta politica elettorale: chiedono il voto, non le organizzano per la lotta.

Renzi ha quindi vestito i panni di salvatore della patria che gli sono stati cuciti addosso e in effetti ha alcune medaglie da mostrare ai suoi mandanti. Ma i nodi vengono al pettine e soprattutto grava sul suo governo il fatto che la sottomissione ai circoli della finanza internazionale comporta che nessuna misura è sufficiente a porre fine alle devastazioni in corso: i conti non tornano mai, le riforme non bastano mai, la rapina a danno delle masse popolari non basta mai. La crisi in corso non ha soluzione possibile entro i confini del capitalismo.
Un esito incerto. Il primo nodo che viene al pettine è quello del consenso: in poco più di un anno di riforme antipopolari Renzi è riuscito a suscitare tra le masse popolari risentimento, avversione e disgusto quanto Berlusconi in quasi 20 anni di colpi di mano, riforme antipopolari e scandali. Non è esagerato dire che tra le masse popolari non lo può più vedere nessuno. Questa non è la principale preoccupazione di Renzi (un governo che ha imposto l’Italicum, se ne frega dell’esito delle regionali o delle amministrative), ma se il PD perdesse regioni importanti, fatto da combinare con una probabile astensione molto alta, ciò darebbe la stura a regolamenti di conti fra fazioni dei vertici della Repubblica Pontificia (il secondo nodo che il governo Renzi deve affrontare).
Riguardo alle elezioni, rimandiamo all’articolo a pag. 7.

Ci soffermiamo qui sulle faide entro i vertici della Repubblica Pontificia. Benché non sia pronto un altro personaggio a cui i vertici della Repubblica Pontifica possano affidare il compito di governare il paese, la missione di Renzi incontra crescenti resistenze, ostacoli e defezioni. Il contenuto della sua missione (“innovare”) comporta la rottura di una serie di equilibri, di vincoli, di rendite di posizione che si erano accumulati negli anni, comporta di forzare la mano a beneficio di alcuni e a danno di altri, sia sul piano nazionale che su quello internazionale.
La contraddizione fra gruppi imperialisti USA e gruppi imperialisti UE (Renzi è emanazione dei primi, insieme a Bergoglio) spiega le pressioni sul governo a suon di condanne della Corte Europea (la prima sulla questione dei precari della scuola con la condanna ad assumerne o almeno risarcirne una parte consistente per essere stati obbligati a lavorare con contratti illegali per anni; la seconda quella sulle torture alla Diaz e la mancanza del reato di tortura nel codice penale) e l’isolamento “sulle questioni che contano” (le politiche per “fronteggiare l’immigrazione” sono diventate un teleromanzo: le proposte della Mogherini sono liquidate e guardate con un misto di indifferenza e sarcasmo dai governi dei paesi della UE). A questo si aggiungono le beghe interne: una maggioranza “blindata” che inizia a sfaldarsi, istituzioni che si mettono di traverso (vedere la sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni), enti locali che si ribellano (vedi articolo sullo Sblocca Italia a pag. 1).
La crescente ingovernabilità dall’alto (cioè a opera delle stesse autorità e istituzioni) rende il governo Renzi sempre più debole. Cacciarlo è possibile. L’alternativa la devono costruire le organizzazioni operaie e popolari: solo loro possono farlo. Approfittare dell’ingovernabilità dall’alto per imporre il Governo di Blocco Popolare: questo è il compito politico, unitario, all’ordine del giorno.

“L’eliminazione della relativa autonomia di cui godeva ognuna delle molte istituzioni centrali e locali della Repubblica Pontificia per sottometterle tutte a un unico centro decisionale, suscita resistenze accanite, aperte ma più spesso subdole e trasversali, da parte di ogni istituzione, dei suoi titolari e dei suoi funzionari che difendono ognuno le sue prerogative e i suoi interessi e clienti (vedi le sentenze della Corte Costituzionale sulla legge elettorale Porcellum o sulla riforma Fornero delle pensioni, vedi l’ISTAT che sulla situazione economica sistematicamente smentisce il governo, ecc.): la politica-spettacolo si presta a un’infinità di manovre e di colpi. La Repubblica Pontificia per alcuni decenni ha comperato la collaborazione dei titolari e dei funzionari concedendo privilegi e impunità, concedendo feudi di caccia riservata, creando un sistema generale di corruzione e di ricatti la cui origine e vastità desta meraviglia (l’UE paga un deputato italiano al Parlamento europeo il triplo di quello che paga un deputato tedesco perché ognuno è pagato secondo la tariffa nazionale sua, ecc.) e restano incomprensibili a chi non ammette la natura unica della Repubblica Pontificia. Ora la crisi riduce la possibilità di proseguire e ancora più di espandere questo sistema, mentre il governo Renzi-Bergoglio ha bisogno di ridurre l’autonomia di ogni istituzione e in tempi brevi. Persino personaggi devoti alla Santa Sede come Enrico Letta e lo zio Gianni oramai lamentano di essere maltrattati” (dal Comunicato del (n)PCI del 18 maggio 2015)

carc

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