L’unico modo per fare fronte immediatamente agli effetti della crisi sono misure di emergenza per difendere i posti di lavoro esistenti e crearne di nuovi, per difendere le aziende da chiusure, delocalizzazioni e ristrutturazioni, per riorganizzare l’attività economica sulla base di un piano che valorizzi le potenzialità delle strutture e delle infrastrutture esistenti nel paese.
I capitalisti non prenderanno mai queste misure di loro iniziativa. A loro il prodotto (cosa producono le loro aziende, quanto producono, come lo producono) e i posti di lavoro interessano solo in funzione del loro profitto: per il profitto sono disposti e costretti a fare qualunque cosa. Nella loro condotta l’avidità, la cattiveria o altre questioni morali non c’entrano o sono secondarie: anche il “miglior padre di famiglia” a capo di un’azienda capitalista deve essere disposto a tutto per essere competitivo (cioè per accrescere il suo capitale).
Proprio questo è il problema centrale oggi. Per tutta una fase storica il profitto dei capitalisti è stato il motore dello sviluppo della società, ma per la natura stessa del capitalismo ora è il freno a ogni ulteriore sviluppo.
Dopo che con le distruzioni della prima e della seconda guerra mondiale i capitalisti avevano fatto fronte alla prima crisi generale del capitalismo (1900-1945), alla conseguente nuova fase di valorizzazione del capitale (1945-1975) è seguita una nuova crisi generale, quella in cui siamo immersi, che nel 2008 è entrata nella fase acuta, terminale e devastante: il profitto dei capitalisti è in contrapposizione persino con il mantenimento del livello di civiltà e benessere raggiunto dalla società.
Finché le aziende funzioneranno per il profitto dei padroni anziché per produrre i beni e i servizi che occorrono alla popolazione del nostro paese e alle relazioni con altri paesi, parlare di ripresa, di soluzione alla crisi, di fine della crisi è una menzogna o un’illusione.
Finché le aziende capitaliste non saranno trasformate in aziende pubbliche gestite dai lavoratori in funzione delle esigenze e degli interessi delle masse popolari e la loro attività non sarà inquadrata in un piano generale del lavoro, il nostro paese sarà sempre più un cimitero di aziende e una fabbrica di disoccupazione, di precarietà e di miseria, oltre che un regime in cui peggiorano costantemente le condizioni di lavoro e vengono smantellati i diritti e le tutele (aumento della disoccupazione e smantellamento dei diritti vanno di pari passo).
Per quanto sia ragionevole, giusto, legittimo rivendicare “più diritti”, “più lavoro”, protestare contro questo corso delle cose, finché gli operai e gli altri lavoratori lasciano nelle mani delle attuali autorità il compito di trovare soluzioni e attuare le misure di emergenza che sono necessarie, le cose non possono cambiare e non cambieranno.
Anche quando con la lotta rivendicativa, per condizioni particolari, si ottiene una vittoria, i risultati sono parziali e temporanei: i padroni torneranno alla carica per riprendersi quello che sono stati costretti a concedere e andranno fino in fondo nell’imporre il corso delle cose che rispecchia i loro interessi.
Per quanto le misure che devono essere prese con urgenza siano semplici da capire, siano misure di buon senso, nessun governo che è espressione della classe dominante le prenderà perché quelle misure contrastano con il corso innaturale e disastroso delle cose che la classe dominante impone alla società.
Ci sono centinaia di esempi che ognuno potrebbe fare, che abbiamo tutti davanti agli occhi: FCA (ex FIAT), Lucchini di Piombino, AST di Terni, Whirlpool, Fincantieri, Alenia… e altre migliaia di aziende più piccole e meno conosciute.
Costituire organizzazioni operaie nelle aziende private e organizzazioni popolari nelle aziende (ancora) pubbliche che si occupino sistematicamente della salvaguardia delle aziende prevenendo le manovre padronali per ridurle, chiuderle o delocalizzarle, studiando in collegamento con esperti affidabili quale è il futuro migliore per l’azienda, quali beni e servizi può produrre che siano necessari alla popolazione del paese o agli scambi con altri paesi, predisporre in tempo le cose. Questo è oggi il primo passo: lo chiamiamo “occupare l’azienda”.
Stabilire collegamenti con organismi operai e popolari di altre aziende, mobilitare e organizzare le masse popolari, i disoccupati e i precari della zona circostante a svolgere i compiti che le istituzioni lasciano cadere, a gestire direttamente parti crescenti della vita sociale, a distribuire nella maniera più organizzata di cui sono capaci i beni e i servizi di cui la crisi priva la parte più oppressa della popolazione, a non accettare le imposizioni dei decreti governativi e a violare le regole e le direttive delle autorità. E’ il contrario che restare chiusi in azienda ed è il salto decisivo: lo chiamiamo “uscire dall’azienda”.
Ecco, in breve, perché diciamo che solo gli operai e i lavoratori organizzati possono cambiare il corso delle cose. Non è un desiderio, una chimera, un’aspirazione astratta: è l’unica strada possibile. E’ una strada difficile, ma necessaria, che va contro il senso comune (per cui gli operai e i lavoratori sono pagati per fare, non per pensare) e di cui non abbiamo esperienza (né noi comunisti che promuoviamo questa via, né gli operai e i lavoratori che sono chiamati a percorrerla). E’ una strada che richiede di rompere con la concezione che l’alternativa politica si possa costruire solo vincendo le elezioni (ma la situazione della Grecia ci dimostra che non è vero) e solo affidandoci a “chi sa farlo” (ma “chi sa farlo” è impelagato a vario titolo con il potere attuale e la sua testa e i suoi pensieri sono plasmati dalle concezioni della classe dominante).
E’ una strada difficile, ma possibile. Per percorrerla nessuno può affidarsi alla sorte, alla speranza “che vada bene”. Occorre seguire un piano di azione preciso e unitario. Non significa che dobbiamo tutti essere d’accordo su tutto, ma che nell’applicazione di questo piano d’azione ognuno si assume il compito di contribuire per ciò che può fare ora (con la sua concezione, le sue forze, le sue risorse) e la responsabilità di imparare a fare meglio. Collettivamente impareremo a fare meglio ciò che va fatto per rendere ingovernabile il paese a ogni governo che sia espressione della classe dominante e per imporre un governo di emergenza che sia espressione delle organizzazioni operaie e popolari.
Politica rivoluzionaria per le organizzazioni operaie e le organizzazioni popolari. Un piano di azione che tiene conto dell’insieme di cui ogni azienda è parte e delle relazioni della singola fabbrica con esso.
Senza un preciso piano d’azione nessuno potrà compiere alcun passo avanti. Senza un preciso piano di azione, quello che le masse popolari nel loro complesso costruiscono con una mano, rischiano di disperderlo con l’altra. Nel marasma generale provocato dalla crisi, sono mille le rivendicazioni e le mobilitazioni e a volte sono anche in contraddizione l’una con l’altra (ad esempio: difendere i posti di lavoro o tutelare ambiente e salute? Difendere i diritti sul posto di lavoro o difendere il posto di lavoro? Accogliere umanamente e dignitosamente i profughi e gli immigrati o “pensare prima agli italiani?).
Il piano di azione che promuoviamo tiene conto di tutto questo: rende organiche, sinergiche, convergenti tutte le rivendicazioni delle masse popolari perché, molto sinteticamente, mette al centro tre questioni: costruire dal basso la nuova governabilità del paese sulla base degli interessi delle masse popolari; difendere i posti di lavoro esistenti e crearne di nuovi (a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso) per garantire la produzione di beni e servizi utili e necessari alle masse popolari; avanzare nella mobilitazione per costruire la soluzione definitiva alla crisi e ai suoi effetti, avanzare verso l’instaurazione del socialismo.
Il Governo di Blocco Popolare sarà costituito da persone che riscuotono la fiducia delle organizzazioni operaie e popolari e che sono decise a dare forma e forza di legge ai provvedimenti che esse indicheranno caso per caso per realizzare le sei misure generali che costituiscono il programma del Governo di Blocco Popolare:
1. Assegnare a ogni azienda compiti produttivi (di beni o servizi) utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale (nessuna azienda deve essere chiusa).
2. Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi.
3. Assegnare ad ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società (nessun lavoratore deve essere licenziato, ad ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato).
4. Eliminare attività e produzioni inutili o dannose per l’uomo o per l’ambiente, assegnando alle aziende altri compiti.
5. Avviare la riorganizzazione delle altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.
6. Stabilire relazioni di solidarietà, collaborazione o scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.
Il capitalismo ha reso ogni azienda un nodo di una rete non solo nazionale ma anche internazionale da cui riceve e a cui dà (materie prime, semilavorati, materiale ausiliario, pezzi di ricambio, energia, ecc.). Un gruppo di operai che cerca di salvare la fabbrica, pone giustamente il problema che produce un pezzo che viene assemblato a Singapore da un’azienda che lavora per una multinazionale con sede in Olanda, ecc. Quindi se l’altra azienda non compra il suo pezzo, la sua fabbrica non ha futuro. La globalizzazione rende cioè impossibile la salvezza individuale della singola fabbrica.
Quindi? Quindi la singola fabbrica si salva solo con una riorganizzazione generale dell’economia e delle relazioni politiche interne e internazionali del paese (e costituendo il governo che la promuove).
Nell’ambito di una simile riorganizzazione dell’economia del paese o alla fabbrica vengono assicurati sbocchi per il suo attuale prodotto o la fabbrica viene convertita ad altre produzioni necessarie per l’uso all’interno del paese e alle sue relazioni (scambio, collaborazione e solidarietà) con altri paesi.
Il Governo di Blocco Popolare è lo strumento per avviare questa riorganizzazione (riorganizzazione che sfocerà nella sostituzione su scala generale dell’azienda capitalista con l’azienda socialista).
Nelle aziende che i padroni vogliono chiudere per mancanza di sbocchi commerciali, il Governo di Blocco Popolare assegna commesse di lavori pubblici o ritira lui la produzione che destinerà ad aziende che la usano come materia prima o alle aziende della distribuzione per il consumo.
Nelle aziende che i padroni abbandonano e dove i lavoratori sono pronti a costituirsi in cooperative e riprendere la produzione, il Governo di Blocco Popolare favorisce la loro iniziativa: fornirà tecnici, consulenti, commesse, materie prime, energia.
Nelle altre aziende che i padroni abbandonano, il Governo di Blocco Popolare nomina nuovi dirigenti e organizzatori della produzione.
Il Governo di Blocco Popolare promuove la creazione di nuove aziende dedite alle attività già oggi assolutamente necessarie che impiegano i disoccupati autoctoni e immigrati nel riassesto del territorio, nel miglioramento idrogeologico, nella produzione e utilizzazione di energie rinnovabili, nel miglioramento dei servizi pubblici, nel miglioramento della sicurezza generale, nell’educazione dei bambini, nella manutenzione e gestione del patrimonio edilizio e artistico, nel risanamento urbano, nei servizi alle persone disabili, anziane e non autosufficienti, nel riassetto forestale e agricolo, in attività sportive, nel turismo, ecc.
Nell’intera società tutte le aziende sono di fatto già connesse l’una all’altra e alla rete di distribuzione e utilizzo, come oggi i reparti di un’azienda sono tra loro connessi già anche di diritto. Ogni azienda produce quello che un’altra usa. Il Governo di Blocco Popolare anzitutto deve tenere in moto o rimettere in moto a pieno regime e su larga scala questo meccanismo sociale di produzione e di distribuzione che la crisi generale del capitalismo ha già in parte sconvolto e ogni giorno sconvolge un po’ di più. A questo serve un governo d’emergenza popolare.
E se di un bene o di un servizio non ce n’è più bisogno? E’ ovvio che si smetta di produrlo. Ma è dovuto all’ordinamento sociale capitalista che questo avvenga buttando per strada i lavoratori fino a quel momento addetti a quella produzione, anziché il loro passaggio, il passaggio della loro azienda, a fare altro: le aziende non si chiudono, si trasforma il loro lavoro. Prendiamo il caso della Whirlpool che vuole chiudere alcuni stabilimenti. Sappiamo produrre elettrodomestici, perché dovremmo perdere questa capacità (che è una capacità che non si improvvisa)? Dimensioniamo la quantità e il tipo di elettrodomestici che gli stabilimenti producono alle necessità dell’uso interno e dei rapporti con l’estero. Se le attuali direzioni degli stabilimenti Whirlpool ci stanno, bene; se invece non ci stanno, il nuovo governo espropria gli stabilimenti e cambia la direzione: o mandando nuovi amministratori affidabili che assieme all’organizzazione operaia tengono in funzione lo stabilimento o affidando la direzione alla stessa organizzazione operaia se ne è capace. Non serve produrre tutti gli elettrodomestici che gli stabilimenti producevano? Si riduce la produzione e si destinano i lavoratori ad altre attività. Quali? Progettazione, valutazione, sperimentazione, ecc. connesse alla produzione di elettrodomestici, attività lavorative esterne all’azienda necessarie nella zona in cui è situata, attività di formazione, riunioni con organizzazioni operaie di altre aziende e con organismi popolari, attività culturali, ecc. Quindi una riduzione generale del tempo destinato alle attività che i capitalisti considerano lavoro (cioè quelle che servono a produrre merci) e impiego del tempo in attività che i padroni non considerano lavoro degli operai o che secondo loro gli operai non occorre che svolgano (a meno che non lo facciano come consumatori paganti). Un discorso analogo vale per tutte le aziende, sia che producano materie prime, sia che producano componenti, sia che producano beni di consumo finali: si tratta di verificare se sono di qualità e quantità adeguate per l’uso interno e per le relazioni (di solidarietà, collaborazione o scambio) con altri paesi.
Ovviamente alcuni sono convinti che, dato il corso disastroso delle cose, è più urgente promuovere le lotte per difendere quanto rimane di diritti e conquiste. Non siamo noi comunisti a dire che le lotte di difesa non servono. Ognuno imparerà dalla propria esperienza che non ci sono più i margini per chiedere e rivendicare, che non ci sono più i margini per una gestione “più razionale” della società e non serve a niente aspettare e sperare che la crisi passi.
Siamo noi comunisti a sostenere, invece, che le lotte rivendicative possono e devono essere l’ambito in cui le organizzazioni operaie e popolari si trasformano e iniziano a operare da nuove autorità pubbliche.
Agire da nuove autorità pubbliche significa passare dallo sdegno, dalla denuncia, dalla rivendicazione e dalla protesta a concepirsi e agire come artefici e costruttori di una nuova governabilità, che poggia sul protagonismo e sull’azione delle masse popolari organizzate; non affidare la soluzione dei problemi a partiti e istituzioni della Repubblica Pontificia, ma occuparsi direttamente del futuro delle aziende e della società e sperimentare l’emanazione e l’attuazione delle misure d’emergenza (a partire dalla misura centrale, “un lavoro utile e dignitoso per ogni adulto”) in concorrenza e in rottura con le autorità della classe dominante.
Ecco, non è più il tempo di protestare e rivendicare, è il tempo in cui le masse popolari si devono organizzare per imparare a governare!
Il Governo di Blocco Popolare non è ancora lo Stato socialista. Costituire il Governo di Blocco Popolare è un modo per allargare la formazione di organizzazioni operaie nelle aziende capitaliste, di organizzazioni popolari nelle aziende pubbliche, di organizzazioni territoriali e tematiche in ogni zona, ambito e contesto, per rafforzare la loro azione e la loro coscienza come nuove autorità pubbliche, per arrivare in condizioni più favorevoli allo scontro decisivo con la borghesia e il suo clero. Detto in altri termini è un modo per alimentare nelle masse popolari, sulla base dell’esperienza pratica, la fiducia e la convinzione che possono creare un mondo senza padroni, senza clero e senza le altre classi dominanti, per alimentare la fiducia e la convinzione che un tale mondo è possibile e per unire i suoi fautori. In sintesi il Governo di Blocco Popolare è lo strumento per creare le condizioni di organizzazione e di coscienza che sono la base portante, il presupposto del nuovo Stato socialista.
Tale organizzazione e tale coscienza non cadono dal cielo, sono il risultato della mobilitazione pratica che gli operai, i lavoratori e il resto delle masse popolari fanno nella lotta per costruire il loro governo d’emergenza e con il ruolo che assumono in esso.