Sciopero e manifestazioni del 5 maggio in difesa della scuola pubblica: cosa insegnano

 

Lo sciopero del 5 maggio in difesa della scuola pubblica ha assunto un carattere ampio e dispiegato, popolare.
A Roma ha coinvolto oltre 100 mila tra studenti, docenti, personale ATA e genitori; piazze gremite anche a Milano, Bari e Palermo, migliaia le scuole chiuse. Si parla di mezzo milione di persone scese in piazza in tutto il paese.
Per la prima volta, dopo sette anni, si sono unite tutte le sigle sindacali: FLC-CGIL, CISL Scuola, Uil scuola, Snals Confsal e Gilda, Cobas, Unicobas. Anche la FIOM ha aderito e in molte piazze i metalmeccanici hanno sfilato a sostegno della mobilitazione degli studenti e dei lavoratori della scuola.
Al malcontento e all’opposizione degli operai, adesso, si aggiunge la mobilitazione di ampi e differenti settori delle masse popolari, suggellando un’alleanza che, se i promotori della mobilitazione sapranno valorizzare, potrebbe dare la spallata decisiva al governo Renzi.

Che cosa dimostra e ci insegna la mobilitazione del 5 maggio.
La riforma Giannini sta contribuendo in maniera determinante all’allargamento e consolidamento del fronte di opposizione alle politiche dell’accoppiata Renzi-Bergoglio, dimostrando che la difesa dell’istruzione pubblica è un campo fecondo per alimentare la lotta di classe nel nostro Paese. I numeri, la partecipazione e la determinazione delle masse popolari parlano da soli e ci danno la misura dell’importanza che la scuola pubblica assume nel “senso comune corrente”. Infatti, per la struttura che aveva acquisito e per le dimensioni che aveva raggiunto il sistema d’istruzione pubblica, universale e gratuita, rappresentava una delle più importanti conquiste strappate nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria. La scuola pubblica, seppure marchiata dai limiti dovuti al permanere dell’ordinamento borghese, ha assunto un carattere di massa, è stata per decenni il trampolino per “l’ascensore sociale” e ha consentito alla maggioranza delle masse popolari di accedere a quelle attività specificamente umane (imparare a pensare) da cui l’ordinamento capitalista le avrebbe naturalmente escluse.
Il ruolo, l’iniziativa e la determinazione dei sindacati conflittuali ha dimostrato e, in una certa misura confermato, l’azione di incalzo sul sindacato concertativo. Non solo i sindacati di base hanno avuto un ruolo determinante nella riuscita della manifestazione del 5 maggio (è su loro iniziativa che anche i sindacati di regime si sono mossi per non perdere del tutto prestigio, iscritti e influenza), ma un ruolo determinante lo hanno anche nella prosecuzione della lotta: annunciando lo sciopero degli scrutini hanno costretto CGIL, CISL e UIL a seguirli, a fronte delle minacce del garante sugli scioperi di precettare i lavoratori.
L’adesione e la partecipazione della FIOM dà continuità al ruolo politico che il gruppo dirigente vuole assumere con la promozione di UNIONS. Va considerato che spontaneamente operai di varie aziende avevano già deciso di aderire allo sciopero e di partecipare alle manifestazioni: questo conferma che la mobilitazione della base spinge inevitabilmente i vertici a essere conseguenti con l’assunzione di quel ruolo politico che dicono di voler assumere.

Stante questa situazione, la questione adesso si gioca tutta sull’orientamento: il governo Renzi non farà facilmente marcia indietro, la farà solo se costretto dalla mobilitazione che rende ingovernabile il paese. Ecco l’ultima questione che spinge affinchè la mobilitazione contro il DDL Giannini sia, contemporaneamente, la legnata a Renzi e l’ambito di moltiplicazione di organizzazioni operaie e popolari che fanno valere la loro autorevolezza e iniziano a operare da nuove autorità pubbliche.

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