Il Primo Maggio una cinquantina di delegati (di varia appartenenza sindacale), RLS, lavoratori e lavoratrici degli stabilimenti di Melfi, Termoli e Cassino della FCA e della Sevel di Atessa, al termine di una riunione autoconvocata, hanno costituito ufficialmente un coordinamento “per contrastare in maniera più incisiva ed efficace la deriva autoritaria persistente negli stabilimenti FCA a seguito dell’introduzione del CCSL e della nuova metrica del lavoro Ergo-Uas. La finalità di tale iniziativa è esclusivamente quella di riunire i lavoratori/ci, marciando uniti contro le divisioni promosse dai vertici aziendali, condividendo iniziative di lotta e conflitto, le uniche indispensabili al ripristino di condizioni di lavoro ed economiche migliori all’interno delle fabbriche”.
Un passo avanti. La costituzione di questo organismo è estremamente positiva; è il frutto della spinta impressa dalle mobilitazioni contro i sabati forzati a Melfi, degli scioperi e dei presidi (vedere Resistenza n. 3 e 4 / 2015) promossi dai lavoratori della principale azienda capitalista italiana (quella che detta la politica industriale e i rapporti sindacali). Così gli operai vanno nella direzione di stabilire, rafforzare e condividere contatti ed esperienze al di fuori dei recinti sindacali, di sviluppare l’iniziativa unitaria.
E’ un passo avanti importante, ma non risolutivo. Va alimentato, sostenuto, sviluppato avendo chiaro che la sua funzione è quella di strumento per passare dalle lotte di difesa (lotta sindacale e rivendicativa) all’attacco, per cominciare a occuparsi del futuro delle fabbriche del gruppo e garantirne la continuità della produzione e dei posti di lavoro rispetto alle prospettive che offrono Marchionne e soci. Il centro della questione è e sarà che i lavoratori discutano e indichino quali misure concrete devono adottare per fare fronte agli attacchi di Marchionne, mobilitando nella loro attuazione i lavoratori dell’indotto, dei distretti industriali più prossimi e le altre organizzazioni popolari della zona.
E’ l’opposto di concepire il coordinamento come strumento per “essere di più” e costringere il sindacato (la FIOM, nella fattispecie) a fare quello che non vuole fare (per calcolo politico) o non sa fare (per la concezione che guida il gruppo dirigente). Intraprendere questa seconda via spingerebbe verso una direzione sbagliata, fuorviante, che porterebbe il coordinamento a ricalcare le orme dei tanti altri coordinamenti che sono “nati nel fuoco della lotta” e abortiti (fuori dalle organizzazioni sindacali, ma anche interni ad esse), dato che non hanno portato (e non possono portare, in questa fase) a risultati concreti a stretto giro.
L’iniziativa in mano agli operai. Un esempio molto parziale (perché riguarda una iniziativa specifica e circoscritta), ma efficace di cosa intendiamo quando diciamo che gli operai non devono aspettare di convincere questo o quel funzionario sindacale l’ha data il Comitato cassintegrati e licenziati politici di Pomigliano: non ha chiesto il permesso a nessuno per occupare la gru del cantiere della metropolitana nel centro di Napoli. Ecco, autonomia e indipendenza degli operai dai vertici sindacali vanno intese soprattutto per la definizione della linea e degli obiettivi, come gli operai di Pomigliano le hanno intese per le iniziative di lotta.