In questo articolo prendiamo come “pretesto” le mobilitazioni dei lavoratori del Trasporto Pubblico Locale per portare un esempio pratico di cosa intendiamo con “occupare l’azienda e uscire dall’azienda” e del ruolo che le organizzazioni popolari (in questo caso intese come organizzazioni dei lavoratori di aziende pubbliche) possono assumere nella costruzione della governabilità dal basso del paese.
Non racconteremo, quindi, solo “ciò che è successo”, ma tratteremo soprattutto di “ciò che i lavoratori possono far succedere”.
La premessa è che per il 28 aprile la CUB indice uno sciopero dei mezzi pubblici a Roma e a Milano. In entrambi i casi l’adesione è molto alta: se a Roma montano le polemiche perché lo sciopero è iniziato senza preavviso 15 minuti prima del previsto, a Milano i tranvieri non riconoscono l’accordo firmato da sindacati confederali e azienda che aumenta esponenzialmente i carichi di lavoro a causa dei servizi straordinari per EXPO e lo contestano, sostenendo che sono necessarie nuove assunzioni. Era la prima volta che un sindacato chiamava a scioperare contro EXPO, il risultato è stato il blocco della città (non solo i mezzi di superficie, ma anche le 4 linee della metropolitana): se si considera che la CUB non ha schiere di iscritti nell’Azienda Trasporti Milanesi (ATM) si comprende anche il carattere straordinario di quella mobilitazione e la sua portata (è stata l’unica mobilitazione contro EXPO che davvero ha avuto la forza e la caratteristica di “alzare il conflitto”).
Per il 15 maggio è stata l’USB a convocare uno sciopero nazionale “contro il Jobs Act, le privatizzazioni selvagge che dirottano capitali pubblici verso soggetti privati, i continui innalzamenti dell’età pensionabile, le pesanti discriminazioni imposte dal testo unico sulla rappresentanza sindacale, le gravi penalizzazioni di un contratto nazionale fermo da ben otto anni”, ma a Milano il Prefetto ha precettato i lavoratori. Un atto grave che più che mostrare la forza delle Autorità ne dimostra la debolezza: con ogni probabilità ci sarebbe stata un’adesione alta, sarebbe stato un altro blocco della città, il secondo nei primi 15 giorni di EXPO.
La precettazione dei tranvieri di Milano dimostra tre questioni importanti su cui sviluppiamo il resto del discorso.
La prima è che i lavoratori dei trasporti pubblici hanno ingoiato per troppo tempo i giochini e i calcoli dei sindacati di regime e vogliono lottare, sono disposti a farlo indipendentemente da quale sia la sigla che indice lo sciopero.
La seconda è che i movimenti (ci limitiamo qui a prendere ad esempio quello NO EXPO) si sviluppano e si radicano nel tessuto sociale quando riescono a coinvolgere i lavoratori (la classe operaia e i lavoratori delle aziende pubbliche): per il ruolo che hanno nella società sono decisivi.
La terza è che fin quando la vertenza rimane su questioni strettamente sindacali, le autorità trovano il modo di dividere il fronte di lotta (è quello che fanno da 40 anni, da quando è diventata di moda la teoria che “i lavoratori si interessano solo di cose concrete e spicce” e le vertenze particolari hanno preso il posto della lotta per il socialismo); quando alla questione rivendicativa si combinano questioni più generali e politiche (creare nuovi posti di lavoro, come rivendicano i tranvieri di Milano, è una questione politica, non sindacale) i lavoratori non si risparmiano.
Ecco, sulla base di questa esperienza e di queste tre questioni sviluppiamo il resto del discorso. Quanto vale la combattività dei lavoratori del trasporto pubblico? Come si valorizza? Come si sviluppa “oltre la vertenza” e alimenta il movimento di trasformazione generale del paese (agire da nuova autorità pubblica)? Sembrano domande “generali”, che si staccano da terra per fare voli pindarici, le risposte sono invece estremamente concrete.
Le aziende del trasporto locale sono in larga misura aziende pubbliche (partecipate). Iniziamo a ragionare sul ruolo che tali aziende hanno già oggi nelle relazioni economiche e sociali, politiche, della zona in cui operano.
Un’azienda pubblica:
1. è un centro di produzione di beni e servizi, con specifiche competenze, conoscenze e corrispondenti attrezzature, organizzazione e relazioni;
2. è un collettivo di lavoratori oggettivamente costituito capace di una vita politica, sindacale e culturale più o meno intensa;
3. può essere (e in una certa misura comunque già è) un centro di orientamento, di aggregazione, di organizzazione e di direzione delle masse popolari della zona circostante (della lotta di classe e della loro vita, ha strumenti per esserlo) e di connessione di questo con la lotta di classe dell’intero paese.
Prendiamo come esempio Milano (ma il discorso vale per ogni città): con 32 depositi fra urbani ed extraurbani, officine, uffici, linee su cui opera il personale viaggiante, l’ATM è una rete.
La questione è se la rete (che è un bene pubblico, la trasposizione del diritto costituzionale alla mobilità) è strumento per speculazioni, per peggiorare le condizioni di lavoro (dipendenti) e di vita (utenti) o strumento per promuovere organizzazione, coordinamento e protagonismo popolare, sia su aspetti di carattere locale (legame con la lotta per costruire Amministrazioni Locali di Emergenza) sia su aspetti che riguardano questioni politiche di carattere generale.
Per quanto riguarda le questioni di carattere locale i lavoratori del trasporto pubblico possono avere un ruolo decisivo nella lotta contro il degrado dei quartieri popolari e per la loro riqualificazione dal basso, per la vivibilità e la sicurezza e il controllo popolare del territorio: coordinarsi con le associazioni, i movimenti e gli organismi che operano nella zona in cui sorge il deposito, l’ufficio o l’officina facendo valere il loro ruolo di forza organizzata presente sul territorio, facendo valere la loro organizzazione, usando la loro esperienza e il loro ruolo, mettendo a disposizione spazi o contribuendo a conquistarne di nuovi da sottrarre alle speculazioni e da destinare a uso pubblico e sociale. In questo modo trasformano le linee dei mezzi pubblici (la rete) in strumento di controllo popolare del territorio utile a utenti, cittadini e dipendenti, contro la falsa soluzione della militarizzazione delle strade e le altre misure che servono alla classe dominante a promuovere la guerra fra poveri.
Per quanto riguarda le questioni di carattere generale l’esempio lo danno in questo caso gli operai della FIOM che hanno aderito e partecipato allo sciopero della scuola del 5 maggio contro il DDL Giannini. Uscire dall’azienda significa non mettere in contrapposizione il fatto di essere lavoratore del trasporto pubblico con l’essere anche cittadino, padre o madre, utente della sanità, futuro pensionato, affittuario o sottoposto al pizzo del mutuo… La questione è: che posizione prendono i lavoratori dell’ATM su questa o quale questione? Come si legano con gli organismi popolari, con le organizzazioni operaie e popolari di altre aziende della zona per alimentare la mobilitazione e svilupparla?
La sintesi fra i due aspetti è il processo di trasformazione del ruolo che devono assumere: dal rivendicare alle autorità della classe dominante all’elaborare posizioni e proposte, indicare obiettivi e promuovere la mobilitazione delle masse popolari della zona attorno all’azienda per raggiungerli.
I tranvieri milanesi hanno una gloriosa tradizione di lotta da mettere a valore in questo senso: non solo ebbero un ruolo decisivo nella Resistenza e nella fase immediatamente successiva alla Liberazione, ma nel recente passato, nel 2003, sono stati protagonisti di uno sciopero “selvaggio” di 5 giorni che se sul piano delle rivendicazioni non ha ottenuto tutti gli obiettivi che i lavoratori si erano posti, ha dimostrato quanta solidarietà le masse popolari serbano per chi lotta, rischiando anche pesanti sanzioni e condanne (più di 4000 tranvieri sono stati processati per quello sciopero e infine assolti).
Alle possibili (e probabili) obiezioni che andare in questo senso è difficile, risponde prima di tutto la precettazione del Prefetto per impedire lo sciopero del 15 maggio; dice che è possibile, i lavoratori del trasporto pubblico ne hanno la forza e la capacità, possono essere esempio e motore di questo processo, altrimenti non sarebbero stati precettati.