Intervista a Mauro Gentile

Libertà per i compagni e le compagne perseguitati per i fatti del 15 ottobre 2011 a Roma

538106 270286983101478 866956686 n

 

 

Abbiamo raccolto questa intervista pochi giorni dopo la scarcerazione di Mauro, il 21 maggio. Il 6 giugno è arrivata la sentenza che conferma le condanne per lui e per i compagni Davide e Cristian. La pubblichiamo senza ulteriori premesse dato che il messaggio di Mauro, alla luce di questa sentenza infame, è ancora più chiaro.

 

Sei libero dopo 37 mesi di detenzione ai domiciliari. Sono stati anni di resistenza tenace e di lotta. Qual è l’insegnamento principale che ricavi da questa esperienza?

Prima di tutto vorrei esprimere il mio ringraziamento al P.CARC per il ruolo che ha assunto nella lotta e nella campagna solidale nei miei confronti e di tutti gli imputati nel processo per i fatti del 15 ottobre. In questo lungo periodo di detenzione ho dovuto far fronte all’isolamento forzato impostomi con il divieto di comunicazione e combattere quest’aspetto della detenzione è stata la fase più dura.

Ma non mi sono lasciato isolare, come avrebbe voluto chi mi ha colpito; ho iniziato a studiare e a cercare gli strumenti che mi una più efficace lotta e resistenza. Ad esempio il Manifesto Programma del (n)PCI.

Ho imparato che lo studio deve essere alla base dell’attività di ogni comunista perché è attraverso questo che si acquisisce la capacità di organizzare e coordinare le masse popolari e fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Il mio impegno futuro seguirà questa direzione: bisogna coinvolgere tutta quella parte di popolo che non riesce a trovare il coraggio per ribellarsi nonostante sia stremata dalla crisi del sistema dei padroni. Oggi i comunisti per rispondere efficacemente agli effetti della crisi e avanzare nella lotta per il socialismo devono portare le masse popolari a rendere ingovernabile il paese a partire dall’ iniziativa in ogni luogo sociale e lavorativo. Oggi è necessario che i comunisti si mettano a promuovere la creazione di nuove organizzazioni operaie e popolari e coordinarle a quelle già esistenti. Sta alle organizzazioni operaie e popolari più avanzate creare la condizione e assumere questo il ruolo di orientare il movimento contro gli effetti della crisi. Penso che le organizzazioni sindacali sui posti di lavoro debbano contribuire a questo processo. E’ anzitutto adempiendo alla creazione e alla moltiplicazione di Organizzazioni Operaie sui posti di lavoro che si creano le condizioni per l’instaurazione di un Governo di Emergenza Popolare.

Questi anni di detenzione hanno alimentato in me la convinzione nella via seguita dal P.CARC e dalla carovana del (nuovo)PCI

La tua scarcerazione è stata la combinazione di due fattori: da una parte il lavoro dei legali ha messo all’angolo il PM Minisci (che ha tentato di presentare in dibattimento prove video manipolate), dall’altra c’è stato un salto di qualità degli stessi imputati e della rete di solidali nella mobilitazione. Tu stesso sei entrato in aula con una maglietta che aveva in evidenza la scritta “Basta leggi fasciste” che ha messo in crisi giudice e polizia, alcuni solidali hanno fatto irruzione dentro l’aula e fuori ci sono stati due giorni di intensa mobilitazione…. Ecco, possiamo dire che emerge una linea più avanzata nella lotta contro la persecuzione per i fatti del 15 ottobre che mette al centro il passaggio degli accusati in accusatori?

Allora, la scarcerazione è avvenuta per decorrenza dei termini della custodia cautelare, dovuta a una legge entrata in vigore l’8 maggio scorso che ridetermina le condizioni degli arresti, ma anche grazie al mio legale che ha presentato un’istanza inattaccabile. Legali, imputati e solidali hanno cambiato modo di agire e la linea che sta emergendo è quella di passare da accusati ad accusatori e le giornate dell’11 e 12 maggio ne sono la dimostrazione. Nell’udienza dell’11 maggio è stata impedita, nuovamente la requisitoria del P.M. Minisci, inquisitore dell’ultima ora in cerca di punti carriera, grazie alle istanze presentate dai legali della difesa in merito ai video del girato della polizia scientifica, un lavoro orchestrato e mal riuscito dagli uomini della Questura e della Procura.

Non è successo solo questo, ho portato personalmente la mia protesta in Tribunale indossando una maglia che recitava “Basta leggi fasciste – il 15 ottobre non si processa”. Un gesto per condannare la persecuzione politica ai compagni e alle compagne che presero parte alle manifestazione del 15 ottobre 2011 a Roma. Una maglia è stata in grado di mettere in imbarazzo un intero tribunale e il suo servizio d’ordine al punto che al mio arrivo la DIGOS voleva impedirmi di entrare e successivamente mi è costata l’espulsione dall’aula su decisione della Corte senza poter rendere alcuna dichiarazione.

Un compagno imputato ha abbandonato l’aula in solidarietà alla mia espulsione dopo aver reso una dichiarazione di protesta nei confronti della Corte, cosi come un compagno solidale espulso a sua volta per le proteste avanzate. La linea di condotta degli imputati e dei solidali ha alzato la tensione del processo e messo in difficoltà Corte e polizia, soprattutto nella giornata seguente all’udienza dove diverse centinaia di solidali hanno partecipato ad un presidio fuori del Tribunale ribadendo la loro solidarietà e complicità e attaccando le Autorità. Il presidio si è mosso in corteo non autorizzato creando disagi nel quartiere Prati per poi arrivare in una stazione della metropolitana del quartiere e attaccare l’ATAC, che si è costituita parte civile del processo, occupandola e aprendo i tornelli evitando così il pagamento a quanti dovevano prendere la metropolitana. In queste due giornate si è data una forte risposta alle Autorità: si è lanciato un chiaro segnale alla persecuzione politica dei compagni e delle compagne. Più delle altre volte è emerso che in questo processo i veri colpevoli siedono dalla parte dell’accusa. Bisogna proseguire con questo metodo.

Nel caso dei processi ai NO TAV vediamo come la solidarietà di personaggi come Erri De Luca, Grillo ecc. alimenti le contraddizioni nelle Autorità e allarghi il fronte della solidarietà. La persecuzione contro te e gli altri imputati nel processo per i fatti del 15 ottobre ha suscitato nel corso di questi mesi un’ampia solidarietà che, con alcune eccezioni, si è fatta largo anche tra i dirigenti e gli autorevoli esponenti delle organizzazioni che promossero la giornata del 15 ottobre. Per alcuni versi è ancora una solidarietà “sotto voce”. Non credi che nell’ambito della campagna contro la persecuzione politica per i fatti del 15 ottobre si debba fare di più per mettere a contribuzione quest’area di personaggi che al di là delle valutazioni politiche possiede un seguito tra i lavoratori e le masse popolari organizzate?

E’ vero che nel caso del processo per i fatti del 15 ottobre la rete solidale che è nata attorno a noi imputati è rimasta all’interno del circuito antagonista e questo è un limite a cui dobbiamo porre rimedio. Il processo del 15 ottobre riguarda tutti e tutte perché ad essere processati non siamo solo noi imputati, capro espiatorio, ma le ragioni che spinsero le centinaia di migliaia di persone a partecipare a quella grande manifestazione. Rivolgersi a determinati personaggi non vuol dire per forza di cose inquinare il movimento di lotta: sono uno strumento per portare a conoscenza di tutti i veri obiettivi delle Autorità attraverso questo processo.

Ritengo che il contributo di tutti sia necessario e importante ai fini del risultato che vogliamo ottenere, non possiamo pensare che le sole forze del movimento antagonista possano bastare anche perché molti militanti sono e saranno colpiti dalla repressione e le forze da mettere in campo vengono decimate frequentemente. C’è bisogno che la rete solidale si deve estenda a tutte le masse popolari altrimenti commettiamo l’errore del settarismo. C’è bisogno di persone che abbiano un seguito popolare ma che allo stesso tempo prendano una chiara posizione contro la persecuzione politica del 15 ottobre. In molti ci considerano delinquenti e devastatori, nemici dei manifestanti, parlo anche di organizzazioni, partiti e associazioni che hanno promosso e preso parte alla manifestazione, ma non per questo ci dobbiamo fermare al primo scoglio. Altrettanti si sono ricreduti e sono scesi al nostro fianco dopo aver partecipato ad assemblee sulla repressione del 15 ottobre. Voci autorevoli hanno molta più influenza tra le masse: mettiamole a contribuzione! Non è denigratorio verso chi lotta da anni al nostro fianco e tanto meno semplicistico ricorrere al personaggio, è solo un mezzo per arrivare a quelle masse popolari dove noi soli non arriveremo mai.

Nel nostro documento congressuale indichiamo che la lotta alla repressione è un fronte della lotta di classe in cui è prezioso che i comunisti intervengano per ritorcere gli attacchi repressivi contro il nemico e sviluppare la lotta di classe. Vuol dire costruire comitati di parenti e amici, reti e casse di solidarietà, iniziative ecc. vuol dire costruire strumenti tramite cui fronteggiare la repressione con la solidarietà e tramite questa convogliare nuove forze nella lotta di classe.

La resistenza alla repressione messa in campo dal movimento NO TAV per alcuni versi è l’esempio che più si avvicina a questa linea di condotta. In altri casi la resistenza alla repressione viene svolta come roba “da duri e puri” e che “le masse popolari non capiscono”. Insomma due vie: resistere alla repressione per rafforzare la lotta di classe, la linea avanzata, oppure resistere alla repressione per conservarsi “duri e purI” e guardando con diffidenza alla solidarietà delle masse popolari. Alla luce della tua esperienza cosa hai da dire a proposito di questa lotta tra le due linee in corso anche nel movimento dei legali, degli imputati, dei solidali per i fatti del 15 ottobre?

La mia esperienza da detenuto politico mi ha portato ha fare diverse considerazioni sul ruolo della rete solidale, uno su tutti sull’incapacità di coinvolgere le masse popolari e lasciare che al fianco dei compagni imputati ci fosse sempre e solo la parte più radicale dei militanti della lotta di classe. Inoltre il settarismo e il forte contrasto tra le correnti politiche non fa assumere la giusta importanza a questo processo che sta ripercorrendo, in modo leggermente diverso, il processa di Genova 2001. L‘esperienza del movimento No TAV ci insegna che solo con la partecipazioni di tutte le realtà sociali e politiche si ottengono risultati sul piano della lotta e della solidarietà e che aprire il fronte di lotta contro la repressione alle masse popolari è una pista concreta per organizzare un fronte di lotta unitario capace di contrastare efficacemente la stretta repressiva. Oggi assistiamo a delle vere e proprie reti solidali settarie, ogni movimento pratica solidarietà a determinate lotte colpite dalla repressione come a significare che quest’orto è mio e lo coltivo io. Questa pratica categorizza la solidarietà rendendo alcune lotte di serie A ed altre di serie B. Ho sempre criticato questo modus operandi e ho sempre lanciato appelli all’unificazione della rete solidale dove vengano racchiuse tutte le lotte contro la repressione in corso nel paese. Inoltre c’è un problema di immobilismo tra gli imputati: ci sono imputati che ostentano disinteresse ai processi e allo sviluppo della rete solidale. All’opposto sono per primi gli imputati a dovere essere attivi su tutti i fronti e prendere iniziative che facciano l’interesse della lotta di classe oltre che quella solidale. Lavorare tutti e lavorare insieme, imputati, legali e solidali per la costruzione di un movimento unitario solidale Dobbiamo ragionare e muoverci in questi termini e mai più con la logica settaria che da sempre divide i movimenti.

 

Iscriviti alla newsletter

Abilita JavaScript nel browser per completare questo modulo.

I più letti

Articoli simili
Correlati

La lotta per la formazione

La formazione è un pilastro dell’attività del P.Carc. Si...

Manuale di Storia contemporanea

La conoscenza della storia è uno strumento della lotta...

4 novembre in piazza: appello del Calp di Genova

Unire le lotte e le mobilitazioni contro la guerra...

Quando i sionisti attaccano hanno paura della verità

Liliana Segre e la denuncia all'attivista Cecilia Parodi