Scriviamo questo articolo alla vigilia delle elezioni regionali e amministrative del 31 maggio (9 regioni per un totale di circa 18 dei 47 milioni di elettori italiani, più vari comuni in altre regioni). Non trattiamo qui di risultati o di analisi del voto, ci concentriamo su tre aspetti che già dalla campagna elettorale fanno intravedere che qualunque siano “i numeri” che usciranno dalle urne, si tratta di un ulteriore passo verso l’ingovernabilità del paese.
Le questioni in ballo. Una prima questione è che le elezioni del 31 maggio sono prima di tutto un regolamento di conti fra gruppi e fazioni dei vertici della Repubblica Pontificia, in particolare fra quelli legati agli imperialisti USA (l’asse Renzi – Bergoglio) e quelli più legati agli imperialisti UE. Le elezioni sono un ring dove si consumerà la guerra fra correnti: “conquistare” o “perdere” una regione, un grande comune, le percentuali di voti… tutte cose che non hanno a che fare con il governo del territorio ma rientrano nella lotta che ognuna delle fazioni conduce contro l’altra. Qualunque sia l’esito delle elezioni tale lotta non si concluderà e anzi si svilupperà, così come è stato per le precedenti elezioni (una lotta sempre più dispiegata).
Seppure Renzi faccia di tutto per scongiurare l’ipotesi che i risultati elettorali siano una specie di referendum pro o contro il governo, i vertici della Repubblica Pontificia, divisi su tutto e in concorrenza fra loro, sono concordi che occorra fare di tutto per evitare un’altra sorpresa similare a quella delle politiche del 2013 (esplosione del M5S). Per perseguire l’obiettivo non esitano a usare ogni mezzo e mezzuccio: denigrazione del M5S (il caso Grilloleaks che ha portato alla ribalta conversazioni “private” fra Grillo e altri eletti del M5S da cui escono tutti male), la frantumazione “teleguidata” di Forza Italia (alla diaspora dei mesi scorsi si è aggiunto “lo strappo” di Fitto) e la gonfiatura di Salvini (che non ha alcuna possibilità, per il momento, di essere l’antiRenzi, tanto che ripete di esserlo ogni 4 minuti) per incanalare nella Lega i voti degli scontenti che non si astengono. Questa è una seconda questione e attiene al fatto che i grandi elettori non abbiano una soluzione alternativa a Renzi a cui affidare il governo del paese.
Una terza questione riguarda la campagna elettorale e la sua combinazione con il lavorio dietro le quinte per preparare liste e listini “a prova di astensione”. La relazione fra le due cose è questa: mai campagna elettorale è stata così segnata dall’assenza di comizi, manifestazioni di piazza, “happening” elettorali: il clima che si respira nel paese ha consigliato ai leader dei partiti borghesi di stare lontani dalle piazze e dalle strade per evitare contestazioni, uova e sputi… l’unico “temerario” è stato Salvini, che infatti ha raccolto contestazioni, uova e sputi. Del resto la campagna elettorale non si è giocata su promesse e “soluzioni”: per fare fronte all’astensionismo (e per ricambiare qualche favore) le liste per le regionali (in particolare) sono piene zeppe di parenti, amici, prestanome di malavitosi e capiclan, quando non sono presenti direttamente malavitosi e capiclan. Cioè: le liste sono state costruite sulla base di quanti pacchetti di voti ogni candidato poteva assicurare contando su mezzi propri.
Le liste della sinistra borghese. E’ altamente probabile che le liste “di sinistra” facciano un altro tonfo. Non c’è alcun segnale che possa far pensare diversamente. Non solo chi le promuove si ostina cocciutamente a non fare un bilancio della parabola discendente (a picco) degli ultimi 10 anni di liste, cartelli, coalizioni dalla Sinistra Arcobaleno alla Lista Tsipras, passando per Rivoluzione Civile. E’ una deviazione, si chiama elettoralismo, da cui i volenterosi costruttori di liste si ritengono guariti ogni volta che in qualche parte d’Europa una lista di sinistra radicale supera il 5% (euforia per la Linke in Germania, estasi per Syriza in Grecia, che le elezioni le ha vinte, ubriacatura per Podemos), per ritrovarsi becchi e bastonati a ogni tornata elettorale. Questi non solo non imparano dalle sconfitte proprie, ma nemmeno ragionano sui successi degli altri…
La questione principale per i promotori di queste liste, tuttavia, è che si sono limitati a usare la campagna elettorale per fare promesse da mantenere una volta eletti, non hanno fatto nulla per iniziare a fare da subito quello che promettevano; in altri termini non hanno portato alcun contributo significativo per fare della campagna elettorale un ambito di mobilitazione, organizzazione e protagonismo delle masse popolari.
Enti locali. Qualunque siano i numeri delle elezioni del 31 maggio, in definitiva, si tratta di un ulteriore passaggio che aumenta l’ingovernabilità del paese e per i comunisti ha un particolare valore, in questo contesto, la contraddizione fra governo centrale ed Enti Locali: apre spazi di manovra e di intervento (vedi intervista Sblocca italia) per la costruzione di Amministrazioni Locali di Emergenza. Le amministrazioni che usciranno fuori dal voto del 31 maggio avranno di fronte la medesima contraddizione di tutte le altre: a fronte della mobilitazione popolare dovranno decidere se rimanere burattini in mano al governo centrale o disobbedirgli. Di qualunque colore siano, di qualunque statura morale e politica non potranno scegliere che la seconda soluzione, se non vogliono essere spazzati via.