Tra quanti si pongono il problema di costruire l’alternativa all’attuale disastroso corso delle cose imposto dal capitalismo sono ancora molti quelli che non si danno cura di basare la propria azione su una salda teoria rivoluzionaria, o la ritengono inutile, o mettono invece a fondamento della loro pratica teorie che si presentano come innovatrici, ma che nulla hanno di scientifico.
Molti sono quelli che corrono, pure generosamente, da una mobilitazione all’altra, seguendo quella del momento, senza una logica né un piano d’azione e che si comportano come se la rivoluzione dovesse scoppiare spontaneamente, per il naturale moltiplicarsi delle lotte.
Sono ancora molti quelli che vedono il Partito come una costrizione, un “ordine di ortodossi che perseguitano gli eretici”e guardano all’unità ideologica al suo interno come a una mancanza di democrazia (di libertà individuale di pensiero) e a un folle dogmatismo.
Proprio a questi dà risposta Lenin nell’articolo “Il nostro programma” pubblicato per la prima volta nel 1925, mettendo in evidenza il fondamentale contributo che l’elaborazione della teoria rivoluzionaria da parte di Marx ed Engels ha dato alla causa del proletariato: acquisirla è il erequisito indispensabile per essere ideologicamente indipendenti dalla borghesia e dal senso comune su cui altrimenti spontaneamente ci si basa. Tale teoria è l’ossigeno che alimenta la fiamma della rivoluzione negli operai, nei lavoratori combattivi, tra le donne, i giovani e gli elementi avanzati delle masse popolari.
Unica avvertenza ai lettori: Lenin indica nel testo, come all’ordine del giorno nella Russia zarista, una rivoluzione democratica alla cui testa si ponga la classe operaia e che estenda al grosso della popolazione le libertà borghesi negate da un regime ancora feudale: questa era in effetti l’applicazione di quel programma generale alla situazione concreta della Russia di allora.
L’ Italia di oggi non è un paese semifeudale (pur con tutti i compromessi tra borghesia nazionale, corte pontificia e residue forze feudali, i quali ancora ne influenzano la vita), ma un paese a imperialista e inserito a pieno titolo nei circoli mondiali della speculazione. Da condizioni oggettive differenti derivano differenti compiti specifici che devono porsi i comunisti, la cui definizione è il tema del IV Congresso e il tema principale di questo numero di Resistenza.
IL NOSTRO PROGRAMMA
Articoli per la Rabociaia Gazieta – Pubblicati per la prima volta nel 1925 in Leninski Sbornik
La socialdemocrazia internazionale sta ora attraversando una fase di tentennamenti ideologici. Fino ad ora le dottrine di Marx e di Engels erano considerate come la solida base della teoria rivoluzionaria; ora si sente dire da tutte le parti che queste dottrine sono inadeguate ed invecchiate. Chi si dichiara socialdemocratico ed intende pubblicare un organo di stampa socialdemocratico deve determinare esattamente il proprio atteggiamento verso questa questione, che è ben lungi dal preoccupare i soli socialdemocratici tedeschi.
Noi ci troviamo in tutto e per tutto sul terreno della teoria di Marx: è stata essa la prima a trasformare il socialismo da utopia in scienza, a dare delle solide fondamenta a questa scienza ed a tracciare il cammino da seguire, sviluppando ulteriormente questa scienza ed elaborandola in tutti i suoi particolari. Essa ha rivelato la natura dell’economia capitalistica moderna, spiegando in che modo l’assunzione dell’operaio, l’acquisto della forza-lavoro, nasconda l’asservimento di milioni di nullatenenti da parte di un pugno di capitalisti, di proprietari di terre, di. fabbriche, miniere, ecc. Essa ha mostrato come tutto Io sviluppo del capitalismo odierno tenda a soppiantare la piccola produzione con la grande e crei le condizioni che rendono possibile e necessaria l’organizzazione socialista della società. Essa ha insegnato a vedere sotto il manto di usanze radicate, intrighi politici, leggi astruse, dottrine sofistiche, la lotta di classe, la lotta di tutte le classi abbienti contro la massa dei nullatenenti, contro il proletariato, che è alla testa di tutti i nullatenenti. Essa ha chiarito il vero compito di un partito socialista rivoluzionario: non elaborazione di piani per riorganizzare la società, non prediche ai capitalisti ed ai loro reggicoda sul modo di migliorare la situazione degli operai, non organizzazione di congiure,ma organizzazione della lotta di classe del proletariato e direzione di questa lotta, il cui scopo finale è la conquista del potere politico da parte del proletariato e l’organizzazione della società socialista.
Ed ora noi chiediamo: che cosa hanno introdotto di nuovo in questa teoria i chiassosi “innovatori” che hanno al presente sollevato tanto rumore, raggruppandosi attorno al socialista tedesco Bernstein? Assolutamente nulla: non hanno fatto fare un solo passo avanti alla scienza che Marx ed Engels ci hanno raccomandate, di sviluppare; non hanno insegnato al proletariato nessun nuovo metodo di lotta; non hanno fatto che ritirarsi, prendendo a prestito frammenti di teorie arretrate e predicando al proletariato non la teoria della lotta, ma la teoria dell’arrendevolezza: dell’arrendevolezza nei confronti dei peggiori nemici del proletariato, dei governi e dei partiti borghesi, che non si stancano di escogitare nuovi mezzi per dare addosso ai socialisti. Uno del fondatori e capi della socialdemocrazia russa, Plekhanov, aveva completamente ragione quando sottoponeva ad una critica implacabile la più recente e critica di Bernstein, le cui vedute sono ora state ripudiate anche dai rappresentanti degli operai tedeschi (al Congresso, di Hannover).
Noi sappiamo che queste parole ci tireranno addosso una tempesta di accuse: si griderà che vogliamo trasformare il partito socialista in un ordine di “ortodossi” che perseguitano gli “eretici” per aver deviato dal “dogma”, per aver espresso dei pareri indipendenti, e cosi via. Le conosciamo tutte queste pungenti frasi alla moda. Ma esse non contengono neanche un briciolo di verità, neanche un briciolo di buon senso. Non si può avere un forte partito socialista se manca una teoria rivoluzionaria che unisca tutti i socialisti, dalla quale questi attingano tutte le loro convinzioni le che essi applichino ai loro metodi di lotta e di azione; difendere una teoria che, per propria intima convinzione, si ritiene giusta dagli attacchi infondati e dai tentativi di peggiorarla non significa ancora in nessun modo essere nemici di ogni critica. Noi non consideriamo affatto la teoria di Marx come qualcosa di definitivo e di intangibile; siamo convinti, al contrario) che essa ha posto soltanto le pietre angolari della scienza che i socialistidevonofar progredire in tutte le direzioni, se non vogliono lasciarsi distanziare dalla vita. Noi pensiamo che per i socialisti russi sia particolarmente necessaria un’elaborazione indipendente della teoria di Marx, poiché questa teoria ci dà soltanto i principi direttivi generali, che si applicano in particolare all’Inghilterra in modo diverso che alla Francia, alla Francia in modo diverso che alla Germania, alla Germania in modo diverso che alla Russia. Perciò riserveremo volentieri un posto nel nostro giornale agli articoli di carattere teorico, ed invitiamo tutti i compagni a discutere apertamente i punti controversi.
Quali sono dunque le questioni principali che sorgono nell’applicare alla Russia il programma comune a tutti i socialdemocratici? Abbiamo già detto che l’essenza di questo programma consiste nell’organizzazione della lotta di classe del proletariato e nella direzione di questa lotta, il cui scopo finale è la conquista del potere politico da parte del proletariato e l’organizzazione della società socialista. La lotta di classe del proletariato si divide in lotta economica (lotta contro singoli capitalisti e contro singoli gruppi di capitalisti per migliorare la situazione degli operai) e lotta politica (lotta contro il governo per l’estensione dei diritti del popolo, cioè per la democrazia, e per l’estensione del potere politico del proletariato). Alcuni socialdemocratici russi (ai quali, a quanto pare, appartengono i dirigenti del giornale Rabociaia ritengono che la lotta economica sia incomparabilmente più importante, mentre rinviano apertamente quella politica a tempi più o meno lontani. Questa opinione è assolutamente erronea. Tutti i socialdemocratici sono d’accordo nel ritenere che è necessario organizzare la lotta economica della classe operaia, che è necessario fare dell’agitazione fra gli operai su questo terreno, cioè aiutare gli operai nella loro lotta quotidiana contro i padroni, attirare la loro attenzione su ogni forma e ogni caso di vessazione e spiegar loro in tal modo la necessità di unirsi. Ma dimenticare la lotta politica per la lotta economica significherebbe allontanarsi dal principio fondamentale della socialdemocrazia mondiale, significherebbe dimenticare quanto ci insegna tutta la storia del movimento operaio.