La Grecia insegna a chi vuole imparare: Syriza, la Troika, il KKE

 

Le evoluzioni della situazione in Grecia sono fonte di insegnamento per tutti coloro che sono decisi a farla finita con il corso disastroso delle cose. Perché le masse popolari che per prime si liberano dalle catene dei circoli della finanza internazionale apriranno la strada anche a quelle degli altri paesi: in Grecia più che in altri paesi la mobilitazione popolare spinge in quella direzione. Inoltre la Grecia appartiene, benché in posizione di debolezza e di subalternità, allo stesso contesto di vincoli e relazioni a cui appartiene il nostro paese, la UE.

A circa tre mesi dalla formazione del governo sono evidenti tre cose.

La prima è che la fiducia di Tsipras e dei suoi ministri di convincere con gli appelli alla ragionevolezza e con le buone ragioni la Troika (nessuno ha abboccato all’esca del cambio di nome in Gruppo di Bruxelles… di quello si tratta) è servita di lezione non solo a loro, ma a tutti quelli che erano convinti di poter trattare. Non esiste possibilità di contrattare con nessuno se ci si presenta “con il cappello in mano”: alle richieste di rivedere i contenuti e le forme dei memorandum e dei diktat la risposta è stata ovvia, no.

La seconda è che non basta “essere intenzionati (in linea generale)” a liberarsi dall’oppressione dei circoli della finanza per essere capaci di farlo. Farlo dipende dalla combinazione di altri fattori: il coraggio di farlo (cioè essere decisi, non solo intenzionati) e la volontà di farlo, implica aver creato o saper creare una rete di organismi operai e popolari capaci di prendere in mano capillarmente l’economia del paese e far fronte al boicottaggio, al sabotaggio e alle sanzioni e aggressioni della comunità internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti. In Grecia, come in ogni altro paese del mondo e a maggior ragione nei paesi imperialisti, la volontà di rompere con i circoli della finanza internazionale passa dalla mobilitazione delle masse popolari organizzate. Senza la promozione della mobilitazione, del protagonismo e della creatività delle masse popolari, un governo non ha alcuna possibilità di raggiungere l’obiettivo, anche se animato da grande volontà e di spirito combattivo.

La terza, legata alla seconda, è che per essere conseguenti con la volontà di “rompere” occorre sfruttare le contraddizioni nel campo nemico. Ma per usare le contraddizioni nel campo nemico bisogna aver creato le condizioni per stare comunque in piedi con le proprie forze. Quanto a sfruttare le contraddizioni in campo nemico, tuttavia, il governo Tsipras sembra più deciso e spregiudicato: gioca su più tavoli con la Russia e la Turchia (accordi di collaborazione nel campo energetico), con la Cina (aperto un canale di contrattazione per favorire l’acquisto di pezzi importanti del patrimonio pubblico), con gli USA (disponibilità a una maggiore collaborazione con USA e Israele) e gioca pure sul fronte interno (facendo schierare la chiesa ortodossa a suo sostegno, dichiaratasi disponibile ad avviare una collaborazione per impiegare anche il patrimonio del clero per fare fronte ai debiti). Tutto ciò per fare pressione sulle autorità della UE e per affrancarsi dalla dipendenza da esse. Tuttavia è evidente che nel marasma generale, nessuno fa niente per niente. Per quanto il governo Tsipras possa trovare disponibilità nelle relazioni e negli affari con le fazioni concorrenti degli imperialisti UE, non è che questi siano al suo servizio: se faranno prestiti vorranno essere rimborsati pure loro, se avviano cooperazioni saranno a loro volta oggetto di probabili “ritorsioni” da parte degli imperialisti UE (in una situazione già di per sé complicata: vedasi sanzioni commerciali contro la Russia). Più che una soluzione, dunque, sembra una scorciatoia che rischia di essere un vicolo cieco se la spregiudicatezza del governo Tsipras non si alimenta della mobilitazione e del protagonismo delle masse popolari.

A tre mesi circa dalla formazione del governo sono meno evidenti, ma decisive, altre tre questioni.

La prima è che una parte crescente di lavoratori e masse popolari è passata da un atteggiamento disilluso verso il governo a un atteggiamento di rivendicazione. Nessuna riforma favorevole alle masse popolari è stata approvata dal governo, ostaggio della Troika e con le casse vuote: si moltiplicano manifestazioni di ogni tipo, dai pensionati agli operai, dai dipendenti pubblici agli agricoltori. Queste mobilitazioni sono oggi principalmente espressione del malcontento “a sinistra” del governo, sono promosse o comunque sostenute dal KKE e sono una dimostrazione che se la parte più attiva e combattiva delle masse popolari non viene valorizzata nella costruzione dell’alternativa (non diventa il pilastro della volontà politica di rompere con la Troika) la loro mobilitazione non si può placare con le promesse e i “vorrei ma non posso”.

La seconda, legata alla prima, è che il ruolo del partito comunista, del KKE, è decisivo per le sorti del paese. La situazione di stallo in cui il governo Tripras da una parte si lascia portare al guinzaglio dalla Troika e dall’altra cerca di placare la mobilitazione popolare non può durare in eterno e anzi il corso delle cose impone cambiamenti repentini. In questo senso solo la costruzione della rivoluzione socialista può impedire che le masse popolari greche siano usate come carne da macello o da cannone. La sinistra borghese non ha ideologicamente e politicamente gli strumenti per fare fronte alla situazione, i suoi fallimenti e i suoi limiti sono un potenziale per la rinascita del movimento comunista. A patto che il movimento comunista, e nello specifico quello greco, sappia trarre lezione dal bilancio storico e superare le tare che hanno impedito la costruzione del socialismo nei paesi imperialisti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale: il riformismo (elettoralismo) e l’economicismo (limitarsi alle lotte rivendicative per migliorare le condizioni di vita delle masse popolari).

La terza questione è più generale. La vittoria di Syriza e l’opera del governo Tsipras dimostrano che essere al governo di un paese e avere il potere di governare la società sono due cose distinte. Il governo (inteso come istituzione) nella democrazia borghese è sempre più organo di ratifica di decisioni prese in altre istanze e della loro applicazione (esattore di tasse, repressore delle masse popolari, comitato d’affari al servizio di questo o quel gruppo imperialista). Il potere, nella democrazia borghese, lo detengono i circoli della finanza internazionale (fra una multinazionale che decide di chiudere e smantellare la produzione e un governo borghese di qualunque colore che vi si oppone – e già sarebbe tanto che si opponesse – chi credete che la spunterà?).

Al punto raggiunto dalla crisi (finanziaria, economica, politica) l’unico potere alternativo possibile è quello delle masse popolari organizzate attorno al partito comunista, il nuovo potere. Questo vale per la Grecia e questo vale anche per l’Italia. Il Governo di Blocco Popolare è lo strumento per costruire in Italia il nuovo potere. Si tratta, anche, del maggior contributo che possiamo dare noi, dal nostro paese, alle masse popolari e ai lavoratori della Grecia.

 

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