Negli scioperi e nelle manifestazioni dello scorso autunno contro il Jobs Act li abbiamo visti, ne abbiamo conosciuti tanti e abbiamo parlato con loro: in questo paese ci sono decine di migliaia di operai e lavoratori che lottano da una vita contro i padroni e i loro governi, contro le politiche di lacrime e sangue, i licenziamenti, le delocalizzazioni e le chiusure. Nelle manifestazioni antirazziste, antifasciste, per la difesa della scuola pubblica abbiamo visto decine di migliaia di giovani disposti a mobilitarsi per conquistarsi un presente e un futuro dignitoso, un posto nel mondo che non sia quello di esubero a vita, precario a vita, carne da macello dei padroni. Le popolazioni dei territori devastati da piogge, allagamenti, frane e terremoti le abbiamo viste ribellarsi e organizzarsi, hanno occupato il comune, come a Carrara: si sono coordinate e sono diventate movimento (come in Emilia Romagna e, prima, all’Aquila). Abbiamo visto le migliaia di persone che resistono agli sfratti e agli sgomberi, che costruiscono la rete attiva e solidale che spinge alla riappropriazione di case e spazi: hanno fatto barricate nelle strade, assedi dei palazzi del potere, liberato appartamenti spesso vuoti da anni.
Ognuno di quelli con cui abbiamo parlato e discusso, in forme diverse e in modi diversi, sa che le cose non possono più andare avanti come sono andate fino ad oggi e non è disposto a lasciarle andare così, vuole avere un ruolo nel cambiamento, vuole contribuire a costruire l’alternativa. Si chiede come fare.
Ognuno di loro si mobilita nonostante la poca fiducia nei leader che li chiamano in piazza, nonostante le delusioni, i “tradimenti”, la disgregazione dei partiti a cui faceva riferimento: combatte per “vendere cara la pelle” al governo Renzi, alle banche, agli speculatori, ai palazzinari e agli sciacalli.
Da queste decine di migliaia di persone dipende il corso delle cose nel prossimo futuro, dipende se le lotte di cui sono promotori e protagonisti saranno incisive e avanzeranno. Fra di loro, in particolare, ci rivolgiamo a quanti hanno anche la volontà e la lucidità di comprendere che niente succede spontaneamente o casualmente (succederà quelle che le masse popolari organizzate faranno succedere). Le cose prenderanno la direzione giusta se le masse popolari organizzate assumono una linea unitaria di condotta per combattere, su tanti fronti, la stessa lotta, che comprende ed eleva le singole battaglie: è la lotta per costruire la nuova governabilità del paese, per costruire il Governo di Blocco Popolare.
La combattività delle masse oppresse e sfruttate non è un dato fisso, qualcosa che o c’è o non c’è. Non dipende neanche da quanto è duro il sistema di oppressione: nella storia e nel presente abbiamo l’esempio di masse oppresse all’inverosimile che non si ribellano.
La combattività delle masse oppresse e sfruttate cresce principalmente se si forma tra di esse un centro dirigente autorevole capace di condurre molte parti delle masse popolari (che in una società divisa in classi non costituiscono mai un insieme coeso, un esercito unico: la classe dominante fa leva sulle contraddizioni in seno al popolo per contrapporre le varie parti delle masse tra loro e ostacolare la coesione) ad approfittare delle circostanze, degli appigli, delle occasioni che il corso delle cose offre, per far fronte alle avversità e strappare vittorie. Formare un tale centro è compito di noi comunisti e degli elementi avanzati delle masse popolari.
Il governo Renzi opera come il governo di una forza occupante. L’unico vero impegno che cerca di mantenere è nei confronti di chi lo ha installato: saccheggiare il più possibile, nel minor tempo possibile e a ogni costo; spremere le masse popolari e versare i proventi nel buco oscuro dei circoli della finanza internazionale; spolpare il paese fino all’osso, smantellare strutture e istituti della coesione sociale e i servizi (sono spese superflue), smantellare le tutele sul lavoro e quelle che regolano la vita civile (le conquiste di civiltà e benessere: sono impedimenti allo sviluppo)
e favorire la dismissione e lo smantellamento dell’apparato produttivo (nessuna politica industriale per invertire la tendenza alla chiusura di aziende; al contrario incentivi alla loro svendita, in ultimo la Pirelli e poco prima la Ansaldo – Breda, come si trattasse di questioni economiche personali fra questo e quel capitalista).
Nessuno che abbia a cuore le sorti del paese può riporre alcuna fiducia in questo governo. E’ servito a poco protestare, chiedere, appellarsi al buon senso e al “bene comune”: come ogni governo espressione dei vertici della Repubblica Pontificia, non ha possibilità, oltre che volontà, di servire gli interessi delle masse popolari. Da un governo all’altro, cambia un po’ l’orchestra, ma la musica è sempre quella, valorizzare il capitale. Non può e non vuole fare diversamente perché è immerso, sommerso, sottomesso alle leggi, ai vincoli, alle relazioni correnti imposte dai circoli della speculazione e della finanza internazionale, di cui la Repubblica Pontificia è parte integrante.
E’ possibile rompere le catene che sottomettono la Repubblica Pontificia ai circoli della finanza e della speculazione internazionale? Dipende. La situazione nazionale e internazionale impone di farlo. Per uscire dalla crisi ci sono solo due vie: quella reazionaria, se la classe dominante riesce a mantenere la direzione della società, o quella rivoluzionaria, se le masse popolari avanzano nella lotta per affermare il naturale corso dello sviluppo dell’umanità verso il superamento del capitalismo e la costruzione del comunismo, se avanza la rinascita del movimento comunista e la costruzione della rivoluzione socialista.
O le masse popolari avanzano in questa direzione o le “soluzioni alla crisi” rimarranno nelle mani della classe dominante che, cosciente o no, userà la loro mobilitazione per i suoi interessi, per fomentare la guerra per bande fra gruppi capitalisti e fra popoli, camuffandola sotto le vesti di “interessi nazionali” (vedi Resistenza n. 3/2015 – I focolai di guerra che circondano l’Europa, cosa li alimenta?).
Non è possibile tornare ai tempi in cui l’economia reale funzionava (i tempi del capitalismo dal volto umano). “La crisi attuale è nata nella struttura del capitalismo, è nata nella economia reale capitalista. Dalla crisi dell’economia reale capitalista, come rimedio, si è formata l’enorme massa di capitale finanziario la cui valorizzazione ora è il fattore economico determinante delle manovre dei gruppi imperialisti per sopravvivere, del corso delle cose. La fine dell’austerità, e ancora di più la fine della crisi, non è qualcosa che la borghesia imperialista può fare, quali che siano le pressioni a cui è sottoposta: quindi non è oggetto di lotte rivendicative né di lotte riformiste. La fine della crisi è un problema politico, nel senso che richiede un governo che voglia farle finire e che abbia forza di farlo. La costituzione del GBP, il governo delle masse popolari organizzate, sarà l’inizio della fine della crisi del capitalismo” da Avviso ai naviganti n. 50 del (n)PCI.
Il capitalismo dal volto umano è stato possibile perché c’era un movimento comunista forte: è questo che ha costretto i capitalisti e le loro autorità a dare un corso alle cose (le conquiste e i diritti) che per loro era “contro natura”, era contrario alle leggi di sviluppo del loro sistema. Il ritorno al capitalismo dal volto umano è una chimera senza un movimento comunista forte. Ma movimento comunista forte vuol dire anzitutto movimento comunista proteso a conquistare il potere, a instaurare il socialismo, eliminare il capitalismo e marciare verso il comunismo.
Rompere le catene che sottomettono la Repubblica Pontificia ai circoli della finanza e della speculazione internazionale dipende da quanto le organizzazioni operaie e popolari approfittano degli sconvolgimenti provocati dalla crisi per affermare la via della rivoluzione socialista, che significa concretamente avanzare in quella direzione imponendo ai vertici della Repubblica Pontificia il Governo di Blocco Popolare. Spontaneamente (cioè senza movimento comunista cosciente e organizzato) le masse popolari non hanno strumenti, esperienza, scienza e piano d’azione per volgere in positivo la situazione. Se sapessero farlo spontaneamente non ci sarebbe bisogno né del partito comunista né dei comunisti e nemmeno della rivoluzione socialista. L’attuale debolezza del movimento comunista è il principale punto di forza della classe dominante.
Il movimento comunista non rinasce mettendo insieme i comunisti (vedi l’articolo Unità della sinistra e unità dei comunisti su Resistenza n. 2/2014 e anche Lettera a un operaio di sinistra a pag. 6) e nemmeno genericamente “nel fuoco delle lotte”; ma sulla base di due movimenti che si combinano:
– la lotta fra le idee (che non è lotta di opinioni!). Tra idee giuste, cioè adeguate a essere guida per l’azione, che derivano dall’assimilazione del patrimonio del movimento comunista, dal bilancio dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale e dei primi paesi socialisti, e idee sbagliate (cioè che non servono o rallentano l’azione delle masse popolari e inquinano la loro comprensione del mondo);
– la lotta per fare qui e ora i passi che le condizioni oggettive rendono già possibili, approfittare di ogni occasione, appiglio e spiraglio per promuovere su ampia scala la scuola di comunismo per le masse popolari. Si impara a fare facendo, si impara a combattere combattendo, si impara a costruire la rivoluzione costruendola, non aspettandola.
Oggi la debolezza del movimento comunista è ancora tale che fra le masse popolari vanno per la maggiore idee e pratiche proprie della classe dominante (nella sua versione di opposizione e di sinistra, la sinistra borghese, o nella sua versione reazionaria: è colpa degli immigrati, ecc.) che riflettono le sue concezioni, i suoi principi e i suoi metodi. Facciamo alcuni esempi.
“Per cambiare le cose in Italia è necessario cambiare le cose in Europa”. A chi giova questa convinzione? A chi ha interesse ad alimentare il senso di impotenza e frustrazione (se non si riesce a tenere botta a un governo nazionale, come si può pensare di cambiare le cose in Europa?). Ed è palesemente una falsità. E’ vero l’esatto contrario: l’Italia ha un ruolo importante nel sistema finanziario e speculativo internazionale, dati i vincoli, le relazioni, l’esposizione finanziaria, la compenetrazione di interessi che legano il paese agli imperialisti USA e quelli franco-tedeschi. Cambiare le cose in Italia è il primo e unico passo concreto e realistico per cambiare le cose in Europa. Più precisamente: le masse popolari che per prime spezzano le catene che sottomettono il loro paese ai circoli della finanza e della speculazione internazionale apriranno la strada alle masse popolari degli altri paesi. Questa è la linea da promuovere nella parte attiva, generosa e combattiva delle masse popolari per fare pulizia di quella concezione decadente e contemplativa propria della borghesia.
“Qualunque governo sarà sottomesso alle catene dei circoli della speculazione e della finanza internazionale”. Falso. Qualunque governo che sia espressione dei vertici della Repubblica Pontificia lo sarà perché per sua natura vorrà e dovrà rispettare vincoli, patti, onorare i debiti nei confronti di questo o quel caporione della speculazione internazionale. Ma le masse popolari e i lavoratori non hanno alcun interesse a rispettare patti e vincoli e a pagare debiti che non sono loro, il cui pagamento li mette in ginocchio e si stringe come un cappio intorno alla loro gola. La storia dell’indebitamento del paese che costringe il governo a rispettare i diktat della Troika serve solo ad alimentare confusione su quali sono le cause della crisi e quali sono le strade per risolverla. Che sia una falsità lo capisce chiunque sia, nella vita reale di tutti i giorni, debitore o creditore nei confronti di qualcun altro. Gli stessi vincoli, i patti e le relazioni, che oggi pesano come un macigno sulle masse popolari, possono diventare uno strumento di lotta nelle mani di un governo deciso a farsi valere, deciso a ribaltare i rapporti di forza con i circoli della finanza e deciso ad affermare gli interessi collettivi. Quanto più è grande il debito verso gli istituti finanziari e speculativi, tanto più quel debito lo possiamo usare come strumento di ricatto. La minaccia di non onorare un debito enorme (come quello italiano) è efficace per iniziare a imporre condizioni, tempi, modi del rimborso, è la leva per disobbedire agli altri mille vincoli che in nome di quel debito i vertici della Repubblica Pontificia assumono, riconoscono e impongono alle masse popolari e che invece un governo con abbastanza coraggio e volontà politica e sostenuto dalle organizzazioni operaie e popolari può mandare all’aria in (relativa) tranquillità. Anche una comune banca “di risparmio” prima di passare al pignoramento per un mutuo non pagato è “disposta” a ristrutturare il debito a una famiglia di lavoratori. Mano a mano che la crisi avanza e la gente perde il lavoro (cioè aumenta il rischio che decine di migliaia di mutui non siano estinti) anche i pignoramenti sono sempre meno convenienti per le banche. A livello internazionale, benché non sia la stessa cosa, il meccanismo è similare. E l’Italia non ha il debito dell’Islanda, della Grecia, della Spagna o del Portogallo! Lo Stato e l’enorme maggioranza di Enti Locali, istituti pubblici e privati sono indebitati per svariate migliaia di miliardi di euro con banche e agenzie speculative internazionali. Quelle i cui interessi sono garantiti dal FMI. Ecco, se volessero avere una qualche possibilità di riprendere quei soldi (non importa nemmeno dargli la certezza, ma solo la speranza), un governo deciso a rompere quelle catene avrebbe di che farsi valere.
“Ma la Grecia dimostra che non è possibile, che nemmeno vincendo le elezioni si può costruire un governo così”. Falso, pure questo. L’esempio della Grecia ci dimostra che quel governo non ha abbastanza coraggio e volontà politica, non si è dato e non si dà i mezzi per rompere. Più precisamente: quel governo riconosce autorità agli aguzzini delle masse popolari, non valorizza e non promuove la mobilitazione e il protagonismo popolare. “Cosa avrebbero fatto le autorità europee se il governo Tsipras invece che chiedere a loro di continuare a versare “aiuti”, avesse incominciato lui col prendere in mano le banche greche, avesse ordinato alle banche greche di sospendere ogni pagamento e trasferimento di danaro all’estero, avesse fatto appello ai funzionari e agli impiegati delle banche greche perché controllassero l’esecuzione dei suoi ordini e decreti, impedissero violazioni e le segnalassero, avesse stabilito regole per i prelievi dai conti correnti e dai depositi nelle banche greche, avesse emanato direttive per il commercio interno e sottoposto a controllo governativo il commercio estero, avesse subito avviato le riforme che aveva promesso in campagna elettorale, avesse chiamato le masse popolari a organizzarsi per incominciare i lavori necessari e avesse preso altre misure del genere?
Sarebbe toccato alle autorità europee e in particolare agli amministratori e fiduciari dei gruppi imperialisti franco-tedeschi chiedere alle autorità greche che per favore fossero realiste, che ritornassero sui loro passi. Perché il sistema finanziario dell’euro e dell’UE (BCE, ecc.) profitta principalmente ai gruppi imperialisti franco-tedeschi (…), è uno strumento delle loro egemonia mondiale: la Grecia per loro è importante perché è un tassello del sistema finanziario che hanno creato per imporsi a livello mondiale. Perché l’esempio del governo Tsipras avrebbe fatto scuola negli altri paesi europei: avrebbe accresciuto la mobilitazione delle masse popolari contro le autorità, dato forza ai governi, di sinistra e di destra, di altri paesi che mal sopportano le imposizioni della Troika e li avrebbe costretti ad agire, avrebbe messo in difficoltà i governi, come quello spagnolo e portoghese, che collaborano attivamente con la Troika contro le masse popolari del loro paese” (dall’Avviso ai Naviganti n. 50 del (n)PCI).
“Qualunque governo dovrà farci i conti: i soldi non ci sono”. È una balla sia dal punto di vista oggettivo che da quello ideologico. Dal punto di vista oggettivo, non ci sono mai stati tanti soldi in circolazione come in questa fase storica; solo che l’enorme massa di denaro (vero, fittizio, elettronico) è canalizzata nei circuiti della speculazione finanziaria (il principale ambito di valorizzazione del capitale) e l’economia reale ne è invece privata (le banche che chiudono i rubinetti alle imprese, quante volte l’abbiamo sentito dire?), ai servizi pubblici sono sottratti (tagli, tagli e ancora tagli: istruzione, sanità, trasporti, assistenza, cultura, sport, Enti Locali…). Dal punto di vista ideologico, la destinazione della enorme massa di denaro esistente è decisa dalle istituzioni (a tutti i livelli: dalla UE ai governi centrali, arrivando ai Comuni e passando dalle Regioni); la questione quindi è quanto e come le istituzioni sono asservite al sistema speculativo internazionale o quanto e come rompono con esso e usano autorità e risorse per mobilitare e organizzare le masse popolari. Ci sono migliaia di esempi concreti, ne prendiamo uno: l’amministrazione di un grande Comune come quello di Milano o Roma può decidere se continuare a dissanguare le masse popolari per tenere fede ai debiti con le banche internazionali e i fondi di investimento, per versare tasse e tributi al governo centrale o rompere, in autonomia, e usare quei soldi per finanziare le misure necessarie a fare fronte agli effetti della crisi. Di fronte a una possibilità tanto chiara, i lamenti di questo o quel sindaco sul fatto che è “costretto a tagliare” i servizi perché lo impongono il governo e l’Europa, sono solo scuse.
I soldi ci sono, sono quelli che ogni anno vengono usati per appianare di debiti delle banche (pratica reiterata dall’inizio della fase acuta e terminale della crisi, nel 2008), sono quelli che lo stato regala ogni anno al Vaticano, sono quelli che si intascano gli amici e i parenti di Lupi (per dirne uno), sono quelli che i ricchi hanno sui loro conti a non si sa quanti zeri, mentre economisti e ragionieri parlano di “prelievo forzoso” sui conti correnti dei lavoratori dipendenti….
La Repubblica Pontificia è ingovernabile? Man mano che la crisi generale alimenta lo scontro fra bande e gruppi di capitalisti, ogni partito borghese, sottoposto all’andamento generale della società in cui è inserito e di cui è espressione, si disgrega e si divide; è caratterizzato dalla decadenza dalla classe di cui è espressione. Ogni partito borghese, disgregandosi, contribuisce alla disgregazione (alla decadenza materiale e morale) del sistema politico in cui è inserito. Anche le future e prossime coalizioni e alleanze di matrice borghese sono destinate a fare la stessa fine, a volte addirittura prima ancora che siano composte. Ma soprattutto le istituzioni stesse si sgretolano nel generale contesto di scontri per bande. “Sulla base della Costituzione si è formata nei vertici della Repubblica Pontificia una pluralità di centri di potere, di organismi e di istituzioni che operano in relativa autonomia: organi giudiziari, magistrati, camere del parlamento, governo, presidenza della repubblica, amministrazioni locali, servizi segreti, singoli apparati della burocrazia, carabinieri, ecc. Man mano che la crisi politica della Repubblica Pontificia si è aggravata, questi centri di potere sono diventati strumenti della guerra per bande che imperversa nei suoi vertici. È un aspetto della “ingovernabilità dall’alto” della Repubblica Pontificia” (dal comunicato n. 31 – luglio 2013 del (n)PCI.
Al contrario della classe dominante e in modo per il momento ancora principalmente spontaneo, le organizzazioni operaie e popolari vanno verso il coordinamento e l’unità d’azione. In tutto il paese questa tendenza esiste in forme, gradi e sfumature diverse: dai coordinamenti operai alle reti di solidarietà, dai movimenti per il diritto alla casa a quelli contro la devastazione ambientale. Quanto più cresce il coordinamento, tanto più avanza la costruzione della rete della nuova governabilità. Che non dipende dalle elezioni (anche se la campagna elettorale è un campo di battaglia che possiamo usare e useremo), non dipende da questo o quell’esponente della sinistra borghese, della società civile o della sinistra sindacale (anche se la loro mobilitazione, la loro assunzione di responsabilità, il loro contributo è positivo e favorisce il processo); dipende da quanto le organizzazioni operaie e popolari iniziano a operare da Nuove Autorità Pubbliche, iniziando proprio da quegli ambiti che la classe dominante non cura più, demolisce, abbandona al degrado, trasforma in campi di saccheggio e sciacallaggio da parte degli speculatori e facendosi forte del fatto che i gruppi imperialisti e le loro autorità hanno bisogno che le aziende (che loro non hanno ancora chiuso) funzionino.
Cosa sono Le Nuove Autorità Pubbliche? Nell’articolo sul 70° Anniversario della vittoria della Resistenza a pagina 1 trattiamo dell’esperienza unica della costruzione e dell’azione del CLN che prese il controllo del paese per organizzare la Resistenza e far funzionare la società nella fase di disgregazione del regime fascista. Non ripetiamo qui quello che diciamo in quell’articolo. Ci preme però approfondire quale sia il ruolo dei comunisti nel processo di costruzione di Nuove Autorità Pubbliche, il fulcro della costituzione del Governo di Blocco Popolare.
Le organizzazioni operaie (nelle aziende capitaliste) e le organizzazioni popolari (delle aziende pubbliche), assumono un ruolo nei confronti delle masse popolari se iniziano a uscire dalla propria azienda e costruiscono collegamenti con organismi operai e popolari di altre aziende, mobilitano e organizzano le masse popolari, i disoccupati e i precari della zona a svolgere i compiti che le istituzioni lasciano cadere (creare lavoro e in generale risolvere i problemi della vita delle masse popolari), a gestire direttamente parti crescenti della vita sociale, a distribuire nella maniera più organizzata di cui sono capaci i beni e i servizi di cui la crisi priva la parte più oppressa della popolazione, a non accettare le imposizioni dei decreti governativi e a violare le regole e le direttive delle autorità della Repubblica Pontificia.
Agire da Nuove Autorità Pubbliche significa passare dallo sdegno, dalla denuncia, dalla rivendicazione e dalla protesta a concepirsi come artefici e costruttori di una nuova governabilità che poggia sul protagonismo e sull’azione delle masse popolari organizzate; non affidare la soluzione dei problemi a partiti e istituzioni esistenti, ma iniziare a occuparsi direttamente del futuro delle aziende e della società, a sperimentare l’emanazione e l’attuazione delle misure d’emergenza in concorrenza e in rottura con quelle delle autorità della Repubblica Pontificia, a condurre una serie di iniziative e lotte concatenate e coordinate nel modo più vasto possibile.
Su questo processo rinasce il legame fra le masse popolari e il movimento comunista, un legame che man mano si sviluppa si rinsalda e trasforma il movimento popolare da “movimento che chiede” ai padroni in movimento che inizia a dirigere la società. E questo dipende principalmente da noi comunisti e da ogni lavoratore avanzato!