UNIONS, unire quello che il governo divide. Il sindacato che fa politica

 

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Con il lancio della Coalizione sociale, la FIOM si assume il compito di “unire quello che il governo divide”, cioè si pone di nuovo come centro di aggregazione delle organizzazioni operaie e popolari, delle reti, associazioni, del movimento di tutte le categorie e le classi delle masse popolari contro la crisi e le misure del governo Renzi-Berlusconi. E’ la via che aveva imboccato apertamente il 16 ottobre 2010 quando aveva rilanciato su scala nazionale la resistenza degli operai della FIAT di Pomigliano al piano Marchionne (ma che aveva fatto timidamente capolino anche nel 2013 con la mobilitazione “Costituzione via maestra” e nel 2014 con l’annuncio della linea dell’occupazione delle fabbriche e degli scioperi al contrario).

Già in passato Landini & C. hanno toccato con mano i risultati che la FIOM otteneva per questa via e proprio quei risultati li mettevano di fronte alla necessità di fare un passo avanti: passare da centro di aggregazione del movimento popolare a centro promotore della costituzione di un governo di emergenza popolare tramite il quale il movimento popolare può raggiungere i suoi obiettivi. Non hanno osato fare questo passo, si sono tirati indietro e hanno tentato di svicolare. Nella lotta contro il piano Marchionne hanno spostato l’asse principale sul terreno giudiziario, rinunciando a far leva prima di tutto sulla mobilitazione degli operai.

Anziché sviluppare l’unità tra i metalmeccanici e i lavoratori delle altre categorie, i precari, i disoccupati, gli insegnanti, gli immigrati, gli studenti, i giovani, le associazioni, ecc. che pure avevano risposto all’appello della FIOM, hanno ripiegato sull’attività di categoria.

Si sono messi nelle mani della Camusso e del resto della destra che dirige la CGIL anziché mettersi alla testa delle altre categorie della CGIL e sviluppare l’unità d’azione con i sindacati alternativi e di base. Ma è una posizione che i dirigenti della FIOM non hanno potuto tenere a lungo. In questi cinque anni, infatti, la FIOM e con essa il grosso degli operai avanzati, delle RSU combattive e dei sindacalisti onesti che vi fanno riferimento (ma anche alle altre categorie della CGIL) hanno sperimentato direttamente e più a fondo

– che alla crisi e ai suoi effetti non è possibile far fronte azienda per azienda: ogni fabbrica si salva se si salva l’intero paese. A resistere azienda per azienda, si va incontro alla morte lenta, ci si trova volenti e nolenti a subire il ricatto tra lavoro e salario, tra lavoro e diritti, tra lavoro e salute, tra lavoro e ambiente, si finisce per sottoscrivere quello che i padroni impongono. E’ la lezione di tutte le grandi e piccole vertenze che hanno attraversato il paese in questi cinque anni, dalla FIAT (ora FCA) all’Electrolux, dall’ILVA all’AST di Terni;

– che restare sul terreno sindacale porta a perdere un pezzo dopo l’altro su ogni terreno, indebolisce gli operai e il resto dei lavoratori e alimenta l’arroganza del padronato e del governo. Landini e gli altri dirigenti della FIOM, in particolare, hanno toccato con mano che a restare su una linea di lotta solo o principalmente sindacale perdono terreno in termini di agibilità sindacale (rappresentanza nelle aziende, permessi, diritti di assemblee interne, raccolta delle quote sindacali tramite ritenuta in busta paga, ecc.);

– che ad affidarsi al PD non si va da nessuna parte: gli accorati appelli rivolti dalla “via maestra” al PD e agli esponenti della “sinistra” (i vari Fassina, Civati, Cuperlo e Bersani) perché si opponessero alle misure e alle manovre di Monti, di Letta e di Renzi sono puntualmente caduti nel vuoto.  

Dal XVII Congresso della CGIL (in cui hanno partecipato solo un milione e mezzo dei sei milioni di iscritti), dall’azione di Marchionne in FCA (che fa da apripista per tutto il resto del padronato), dal vigore con cui Renzi sta dando dimostrazione al padronato e al resto dei vertici della Repubblica Pontificia di poter fare a meno dei sindacati e in particolare della CGIL, Landini & C. tirano adesso la conclusione che “c’è bisogno di un rinnovamento del sindacato per evitarne la cancellazione” e prendono atto che “se il sindacato non è un soggetto politico diventa un sindacato aziendale e corporativo”.

Il fatto che la FIOM, gira e rigira, torni in continuazione sul terreno politico, sia continuamente “tentata” di diventare centro di aggregazione di un movimento politico, conferma che per far fronte allo smantellamento delle aziende capitaliste e pubbliche, alla disoccupazione e alla precarietà dilaganti, al peggioramento delle condizioni salariali e lavorative per chi un lavoro ancora ce l’ha, ecc., cioè anche solo per essere sindacalisti onestamente conflittuali e per ottenere qualche risultato dalle lotte rivendicative, occorre assumere l’iniziativa in campo politico: uscire dalla crisi non è una questione sindacale, è un problema politico, nel senso che richiede un governo che sia deciso a farla finire e che abbia la forza di farlo. Non sono solo la pressione degli esponenti più avanzati delle organizzazioni operaie e popolari e l’azione di noi comunisti che spingono Landini e gli altri dirigenti della sinistra sindacale a seguire la strada che noi indichiamo, ma sono gli stessi padroni e i loro governi che li costringono comunque a decidersi, li mettono di fronte all’alternativa di andare avanti o essere spazzati via.

Nello stesso tempo i tentennamenti e i ripetuti passi indietro dei vertici della FIOM dimostrano che non bisogna “aspettare e sperare” in Landini e negli altri dirigenti della sinistra sindacale (della CGIL e dei sindacati alternativi e di base), ma che per indurli a mettersi alla testa del movimento per costituire un governo d’emergenza delle masse popolari organizzate è indispensabile l’azione dei comunisti e degli operai e degli altri lavoratori avanzati che sono il nocciolo duro delle mobilitazioni contro il Jobs Act e il piano Marchionne, contro la chiusura e la delocalizzazione delle aziende. La strada che farà la Coalizione sociale lanciata dalla FIOM non dipende da Landini & C., ma dagli operai, dagli altri lavoratori avanzati e dall’azione che noi comunisti svolgeremo tra di loro.

L’iniziativa di Landini & C. non è importante per i programmi e i progetti che avanza: indire referendum abrogativi del Jobs Act, di raccogliere firme per leggi di iniziativa popolare, di cambiare la politica del governo, ecc. Da questo punto di vista, il programma della Coalizione sociale rientra a pieno titolo tra le aspirazioni e i progetti inconcludenti degli esponenti della sinistra borghese. Inconcludenti perché puntano su un Parlamento che è ridotto a camera di registrazione delle decisioni prese dal governo, perché non tirano nessuna lezione dalla violazione sistematica della Costituzione e dei referendum popolari (ultimo quello sull’acqua pubblica) né dal fatto che siamo a tre governi di seguito che non passano neanche dalle elezioni, ma soprattutto perché aspirano a farla finita con la crisi del capitalismo senza mettere fine al capitalismo.

L’iniziativa di Landini & C. è importante perché crea un terreno favorevole all’azione dei nuclei di operai e di altri lavoratori avanzati che dal 2010 a oggi si sono formati, si sono rafforzati e hanno imboccato la strada di organizzarsi direttamente e indipendentemente dal sindacato. Compito di noi comunisti è portare gli operai e gli altri lavoratori avanzati a prendere nelle loro mani la costruzione della Coalizione sociale, cioè ad approfittare dell’iniziativa lanciata dai dirigenti della FIOM per diffondere su scala più ampia le proprie parole d’ordine, per organizzarsi e coordinarsi con altri operai, lavoratori, precari, disoccupati, pensionati, studenti e immigrati, per coagulare intorno a posizioni avanzate altri operai, lavoratori e delegati combattivi, per sviluppare le alleanze intorno alle iniziative che hanno in corso e collegarsi a quelle promosse da altre categorie delle masse popolari.

 

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