Il P.CARC aderisce, partecipa e chiama a partecipare alla manifestazione indetta dalla FIOM per il 28 marzo a Roma!

 

Costruire la “coalizione sociale” delle RSU, dei comitati operai, degli organismi e dei movimenti popolari che  prenda in mano la direzione del paese con un proprio governo d’emergenza deciso a farla finita con la crisi e che abbia la forza per farlo!

 

Incalza, Gozzi e Lupi sono i compari “sfigati” di Renzi, Marchionne, Mattarella, Bergoglio e del resto dei “poteri forti” che come una forza occupante depredano le masse popolari, devastano il nostro paese e moltiplicano le guerre in tutto il mondo!

L’Assemblea nazionale dei delegati e delle delegate FIOM tenutasi a Cervia il 26 e 27 febbraio ha indetto la manifestazione nazionale del 28 marzo a Roma come tappa per costruire una “coalizione sociale fatta di lavoratori, studenti, precari, disoccupati e migranti che abbia nella realizzazione dei principi fondamentali della Costituzione la propria base programmatica e di trasformazione della società”.
Con questa iniziativa la FIOM si pone di nuovo come centro di aggregazione delle organizzazioni operaie e popolari,delle reti, associazioni, del movimento di tutte le categorie e le classi delle masse popolari contro la crisi e le misure del governo Renzi-Berlusconi, cioè assume l’iniziativa in campo politico.


È la via che aveva imboccato apertamente nel 2010 (con la banda Berlusconi al governo) quando con la manifestazione del 16 ottobre aveva rilanciato la resistenza opposta dagli operai di Pomigliano al piano Marchionne e che poi aveva fatto di nuovo timidamente capolino nel 2013 (sotto il governo Letta-Napolitano) con la mobilitazione “Costituzione via maestra” e nel 2014 (dopo la costituzione del governo Renzi-Berlusconi) con l’annuncio della linea degli scioperi al contrario e della lotta contro Renzi.
Di fronte ai risultati ottenuti, in particolare con la mobilitazione del 16 ottobre, Landini e gli altri dirigenti della FIOM non hanno fatto il passo avanti che proprio quei risultati richiedevano e dimostravano che era possibile: da centro di aggregazione del movimento popolare contro la crisi a centro promotore della costituzione di un governo di emergenza popolare tramite il quale il movimento popolare contro la crisi può raggiungere il suo obiettivo. Non hanno osato fare questo passo e si sono tirati indietro: hanno spostato l’asse principale della lotta contro il piano Marchionne sul terreno giudiziario, rinunciando a far leva prima di tutto sulla mobilitazione degli operai; hanno ripiegato sui metalmeccanici e l’attività di categoria, rinunciando a sviluppare e rafforzare l’unità tra i metalmeccanici e i lavoratori delle altre categorie, i precari, i disoccupati, gli insegnanti, gli immigrati, gli studenti, i giovani, le associazioni, ecc. che pure avevano risposto all’appello della FIOM; si sono messi nelle mani della Camusso e del resto della destra che dirige la CGIL, rinunciando a mettersi alla testa delle altre categorie della CGIL e a sviluppare l’unità d’azione con i sindacati alternativi e di base. Ma è una posizione che i dirigenti della FIOM non hanno potuto tenere a lungo.

 

Da tutto ciò vengono due insegnamenti importanti.
Il fatto che la FIOM, gira e rigira, torni in continuazione sul terreno politico, sia continuamente “tentata” di diventare centro di aggregazione di un movimento politico, conferma che per far fronte allo smantellamento delle aziende capitaliste e pubbliche, alla disoccupazione e alla precarietà dilaganti, al peggioramento delle condizioni salariali e lavorative per chi un lavoro ancora ce l’ha, ecc., cioè anche solo per essere sindacalisti onestamente conflittuali e per ottenere qualche risultato dalle lotte rivendicative, occorre assumere l’iniziativa in campo politico: uscire dalla crisi non è una questione sindacale, è un problema politico, nel senso che richiede un governo che sia deciso a farla finire e che abbia la forza di farlo. Non sono solo la pressione degli esponenti più avanzati delle organizzazioni operaie e popolari e l’azione di noi comunisti che spingono Landini e gli altri dirigenti della sinistra sindacale a seguire la strada che noi indichiamo, ma sono gli stessi padroni e i loro governi che li costringono comunque a decidersi, li mettono di fronte all’alternativa di andare avanti o essere spazzati via.

Nello stesso tempo i tentennamenti e i ripetuti passi indietro dei vertici della FIOM dimostrano che non bisogna “aspettare e sperare” in Landini e negli altri dirigenti della sinistra sindacale (della CGIL e dei sindacati alternativi e di base), ma per indurli a mettersi alla testa del movimento per costituire un governo d’emergenza delle masse popolari organizzate è indispensabile l’azione dei comunisti e degli operai e degli altri lavoratori avanzati che sono il nocciolo duro delle mobilitazioni contro il Jobs Act e il piano Marchionne, contro la chiusura e la delocalizzazione delle aziende.

Con il lancio della “coalizione sociale”, la FIOM non riparte semplicemente da dove aveva lasciato dopo il 16 ottobre 2010, ma  “ricomincia da tre”. Dal 2010 a oggi la crisi ha proseguito il suo corso così come sono proseguite le misure antipopolari che tutti i governi, di centro-destra, centro-sinistra o tecnici, hanno attuato e che colpiscono direttamente gli operai: lo stillicidio di chiusure e delocalizzazioni di aziende, la situazione nelle fabbriche FCA (ex FIAT) e non solo con gli operai che o sono buttati per strada o, se conservano il posto di lavoro, sono spremuti come limoni, la riforma Fornero dell’art. 18 e delle pensioni, il Jobs Act, ecc.
In questi cinque anni la FIOM e con essa il grosso degli operai avanzati, delle RSU combattive e dei sindacalisti onesti che fanno riferimento alla FIOM (ma anche alle altre categorie della CGIL) hanno sperimentato direttamente e più a fondo

1. che alla crisi e ai suoi effetti non è possibile far fronte azienda per azienda: ogni fabbrica si salva se si salva l’intero paese. A resistere azienda per azienda, si va incontro alla morte lenta, ci si trova volenti o nolenti a subire il ricatto tra lavoro e salario, tra lavoro e diritti, tra lavoro e salute, tra lavoro e ambiente, si finisce per sottoscrivere quello che i padroni impongono. E’ la lezione di tutte le grandi e piccole vertenze che hanno attraversato il paese in questi cinque anni, dalla FIAT (ora FCA) all’Electrolux, dall’ILVA all’AST di Terni;

2. che restare sul terreno sindacale, per quanto combattivo, porta a perdere un pezzo dopo l’altro su ogni terreno, indebolisce gli operai e il resto dei lavoratori e alimenta l’arroganza del padronato e del governo. Landini e gli altri dirigenti della FIOM, in particolare, hanno toccato con mano che a restare su una linea di lotta solo o principalmente sindacale perdono terreno in termini di agibilità sindacale (rappresentanza nelle aziende, permessi, diritti di assemblee interne, raccolta delle quote sindacali tramite ritenuta in busta paga, ecc.);

3. che ad affidarsi al PD non si va da nessuna parte: gli accorati appelli rivolti dalla “via maestra” al PD e agli esponenti della “sinistra” PD (i vari Fassina, Civati, Cuperlo e Bersani) perché si opponessero alle misure e alle manovre di Monti, di Letta e di Renzi sono puntualmente caduti nel vuoto.   

Dal XVII Congresso della CGIL (in cui hanno partecipato solo un milione e mezzo dei sei milioni di iscritti), dall’azione di Marchionne in FCA (che fa da apripista per tutto il resto del padronato), dal vigore con cui Renzi sta dando dimostrazione al padronato e al resto dei vertici della Repubblica Pontificia di poter fare a meno dei sindacati e in particolare della CGIL, adesso Landini tira la conclusione che c’è bisogno di un rinnovamento del sindacato per evitarne la cancellazione”.

Finora Landini & C. avevano difeso la linea seguita dalla FIOM con il 16 ottobre (e poi con la “via maestra” e gli scioperi al contrario) presentandola come una linea sindacale, mentre in realtà aveva dato i suoi frutti perché coalizzava tutto il movimento popolare contro la crisi, quindi otteneva un risultato politico. Oggi l’iniziativa della FIOM è più saldamente piantata sul terreno politico (“la politica non è una proprietà privata”, “se il sindacato non è un soggetto politico diventa un sindacato aziendale e corporativo”), è più autonoma dal PD e chiaramente schierata contro il governo (“il governo Renzi non ha mai avuto un voto per cancellare lo statuto e i diritti, questo voto non glielo ha dato nessuno”, “unire ciò che il governo divide”), si rivolge apertamente a tutte le categorie e alle classi delle masse popolari (“il lavoro, non solo quello salariato, ma in tutte le forme”, “lavoratori, studenti, precari, disoccupati e migranti).
Tutte cose che sono fumo negli occhi per i vertici della Repubblica Pontificia e i suoi politicanti, sindacalisti e pennivendoli: da qui le accuse rabbiose contro Landini e i suoi che piovono dalla Camusso e gli altri nipotini di Craxi ed ex soci di Sacconi, dai sindacalisti complici (con in testa il segretario generale della UILM, Rocco Palombella, l’ex segretario della UIL, Luigi Angeletti e la neosegretaria della CISL, Annamaria Furlan), da Renzi e tutto il resto del PD (“sinistra” compresa), da Marchionne e dal resto del padronato.

La “coalizione sociale” lanciata dalla FIOM è funzionale alla creazione di una coalizione elettorale, a partire dalle prossime elezioni regionali e comunali, simile a Syriza e Podemos che fa brillare gli occhi a Vendola, Ferrero e ad altri ferrivecchi della sinistra borghese? Con ogni probabilità sì, ma non è questo l’aspetto principale. Non è principale quello che hanno nella testa Landini e gli altri promotori della “coalizione sociale”, ma  il ruolo che essa svolge nel contesto attuale e il ruolo che i comunisti e i lavoratori avanzati possono farle svolgere con la propria iniziativa.
Le iniziative di Landini & C. non sono importanti per i programmi e i progetti che avanzano. Da questo punto di vista, il programma della “coalizione sociale” di indire referendum abrogativi del Jobs Act, di raccogliere firme per leggi di iniziativa popolare, di cambiare la politica del governo, ecc. rientrano a pieno titolo tra le aspirazioni e i progetti inconcludenti degli esponenti della sinistra borghese: perché puntano su un Parlamento che è ridotto a camera di registrazione delle decisioni prese dal governo, perché non tirano nessuna lezione dalla violazione sistematica della Costituzione e dei referendum popolari (ultimo quello sull’acqua pubblica) né dal fatto che siamo a tre governi di seguito che non passano neanche dalle elezioni, ma soprattutto perché aspirano a farla finita con la crisi del capitalismo senza mettere fine al capitalismo instaurando il socialismo e quindi si riducono a chiedere o pretendere che il governo e i suo mandanti facciano quello che non vogliono né possono fare.
Le iniziative di Landini & C. sono importanti perché fanno “montare la maionese” della mobilitazione e dell’organizzazione popolare, perché di esse possono avvalersi gli operai e gli altri lavoratori avanzati che “occupano le aziende ed escono dalle aziende”.

La strada che farà la “coalizione sociale” lanciata dalla FIOM non dipende da Landini & C., ma dagli operai  e dagli altri lavoratori avanzati e dall’azione che noi comunisti svolgeremo tra di loro. La “coalizione sociale” lanciata dalla FIOM crea un terreno più favorevole all’azione dei nuclei di operai e di altri lavoratori avanzati che dal 2010 a oggi si sono formati, si sono rafforzati e hanno imboccato la strada di organizzarsi direttamente e indipendentemente dal sindacato (“occupare le aziende”), coordinarsi con altri operai, lavoratori di aziende pubbliche, organismi e movimenti popolari (“uscire dalle aziende”), facendo valere che per organizzarsi non bisogna aspettare la chiusura, che non è accettando peggioramenti delle condizioni di lavoro che si impedisce la chiusura delle aziende, che occorre contare sulle proprie forze e non aspettare da altri la difesa dei propri diritti.

Giustamente alcuni di essi guardano con diffidenza all’iniziativa lanciata dal Landini. Ne criticano il contenuto: “una legge di iniziativa popolare e referendum abrogativo sono strumenti assolutamente poco incisivi in generale e in particolare per le lotte del movimento operaio. Non si comprende quale Parlamento ad oggi dovrebbe ratificare una legge di iniziativa popolare che contraddice quanto appena approvato con il Jobs Act. Né si comprende perché il referendum – dove votano sia lavoratori dipendenti che altri settori della società – dovrebbe darci quella vittoria che non siamo riusciti ad ottenere nelle piazze e nelle aziende” (da www. sindacatounaltracosa.org, “Per una coalizione sociale che nasca dalle lotte”– documento conclusivo di minoranza presentato al direttivo FIOM di Firenze presentato al direttivo FIOM di Firenze da Miguel Bausi-Rsu Fiom CSO, Federico Giugliano- Rsa Fiom Facem Owi, Michele Di Paola e Matteo Moretti- Rsu Fiom GKN, Il sindacato è un’altra cosa – Firenze). E indicano che la coalizione sociale deve  nascere “dal vivo delle mobilitazioni in campo, a partire dal rilancio della lotta contro il Jobs Act, passando per la costruzione di solidarietà attorno alle aziende in crisi, dall’unità tra studenti e lavoratori, tra lotte per il lavoro e la casa.  E’ con questo spirito che va costruita la manifestazione del 28 marzo e soprattutto il suo seguito: con coordinamenti di zona tra le aziende, composti da delegati sindacali, iscritti e semplici lavoratori, aperti a studenti, precari, disoccupati”.
 

Compito di noi comunisti è portare gli operai e gli altri lavoratori avanzati a prendere nelle loro mani la costruzione della coalizione sociale, cioè ad approfittare dell’iniziativa lanciata da Landini per diffondere su scala più ampia le proprie parole d’ordine, per organizzarsi e coordinarsi con altri operai, lavoratori, precari, disoccupati, pensionati, studenti e immigrati, per coagulare intorno a posizioni avanzate altri operai, lavoratori e delegati combattivi, per sviluppare le alleanze intorno alle iniziative che hanno in corso e collegarsi a quelle promosse da altre categorie delle masse popolari. 

 

 

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