Caro compagno,
ti scrivo per iniziare a discutere di una questione decisiva per l’attività che stai conducendo in fabbrica e che ti rende un punto di riferimento per gli altri lavoratori.
Da anni organizzi e mobiliti i suo compagni di lavoro contro i soprusi del padrone e negli ultimi mesi, in particolare, contro il Jobs Act. Sono lotte per resistere all’eliminazione delle conquiste che le masse popolari hanno strappato quando c’erano l’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti e il movimento comunista faceva paura ai padroni, quelle conquiste che hanno dato al capitalismo “un volto umano”. A causa dell’indebolimento del movimento comunista, la borghesia imperialista ha ripreso in mano la direzione del mondo: il vortice di crisi, miseria, devastazione ambientale e guerra in cui siamo immersi ne è il risultato. Oggi il capitalismo dal volto umano non c’è più e la borghesia è all’attacco su tutti i fronti. In questa lettera però non voglio concentrarmi sulla denuncia del cattivo presente, ma sul che fare per uscire dal marasma della crisi del capitalismo. Il più grosso ostacolo all’instaurazione del socialismo nel nostro paese sta nell’inadeguatezza di noi comunisti, nei nostri limiti intellettuali e morali, nella nostra scarsa comprensione delle forme in cui si sviluppa la lotta di classe. Parliamo dei limiti non per piangerci addosso, ma per superarli e renderci adeguati ai compiti che la lotta di classe impone a chi, come noi, non solo rifiuta lo stato delle cose presenti, ma vuole cambiarlo.
Il comunicato del (n)PCI del 1° luglio 2008, Lotta per instaurare il socialismo e lotte rivendicative, tratta di uno dei grossi limiti che ha caratterizzato il movimento comunista nel nostro paese e che ancora oggi ha un grosso peso: sto parlando dell’economicismo. Te lo mando: un’operaia, che come te ha la falce e martello nel cuore, lo ha letto mentre era in candidatura per entrare nel Partito dei CARC e il suo commento è stato che “sono sempre stata economicista anche se non lo sapevo”. L’economicismo è la concezione spontanea del proletariato che non si rassegna allo sfruttamento a cui è sottoposto, che lotta per migliorare la propria condizione e che, in una certa misura, mette in discussione l’ordinamento vigente e combatte per cambiare (migliorare) la sua condizione di vita e di lavoro all’interno della società borghese. E’ la concezione che lo spinge a chiedere e pretendere dai padroni e dalle istituzioni in una posizione che comunque rimane succube, ideologicamente, alla classe dominante. La classe operaia e le masse popolari chiedono e pretendono da chi comanda, ma non conducono coscientemente una lotta per il superamento della società borghese, per prendere il potere.
Contemporaneamente l’economicismo è la politica promossa dalla borghesia per la classe operaia ed è l’ambito intellettuale e morale in cui cerca di confinare la mobilitazione delle masse popolari. In Italia è stata la filosofia su cui sono nate e vissute la CISL, la UIL, le ACLI e i sindacati “gialli” e corporativi: “l’operaio ha diritto a stare meglio e finché si limita a questo la sua lotta è legittima”.
L’avvento dei revisionisti moderni alla direzione del movimento comunista ha significato e la conseguente rinuncia da parte del vecchio PCI a fare la rivoluzione socialista nel nostro paese hanno sedimentato nella mente e nei sentimenti di molti lavoratori con la falce e martello nel cuore la concezione secondo cui al socialismo si arriva conducendo lotte rivendicative sempre più vaste, decise, unite tra loro. Secondo gli economicisti il compito principale dei comunisti sarebbe quello di “politicizzare le lotte rivendicative”, solo in questo modo i lavoratori acquisiscono coscienza e li seguiranno anche nella lotta politica. Coerentemente con questa impostazione, gli economicisti parlano ai lavoratori solo di lotte rivendicative, mischiano lotte rivendicative e lotta politica, confondono sindacato e partito, propongono programmi generali fatti solo di rivendicazioni economiche e riforme politiche.
L’economicismo è una forma infantile della lotta di classe, corrispondente a una specifica fase dello sviluppo delle relazioni tra borghesia e proletariato nella società capitalista. Inizialmente, man mano che si sviluppava il capitalismo, la lotta dei proletari ha assunto la forma di lotta economica rivendicativa: gli operai si organizzavano e scendevano in lotta contro un capitalista per alleviare le proprie condizioni di sfruttamento e per avere maggiori salari, ma senza mettere in discussione il sistema di relazioni che era all’origine dello sfruttamento.
Con il contributo di Marx ed Engels, che elaborarono l’esperienza delle grandi lotte rivendicative del periodo, la classe operaia ebbe a sua disposizione la concezione del mondo necessaria a trasformare la lotta economica in lotta per il potere.
Non vuol dire che è bisogna disinteressarsi delle lotte rivendicative. Le lotte rivendicative sono importanti perché educano le masse proletarie a organizzarsi, ribellarsi, mobilitarsi, associarsi in strutture adeguate agli obiettivi di della lotta. Ma questo non basta, per quante siano sviluppate ed estese le lotte rivendicative, a farne lotta per il potere, lotta politica rivoluzionaria. Anzi, senza uno sbocco rivoluzionario le lotte rivendicative possono persino assumere un senso negativo, retrivo, reazionario, possono cioè alimentare la contrapposizione fra settori delle masse popolari e anche fra gli operai stessi.
Oggi la società è talmente socializzata e la struttura economica è già talmente collettiva, che la singola lotta per conquistare qualcosa da una parte la borghesia cerca di usarla per cancellare diritti e tutele dell’altra. La lotta per tenere aperta la fabbrica X può ledere gli interessi degli operai della fabbrica Y che, se rimangono sul terreno strettamente rivendicativo, vedono gli operai della fabbrica X come i responsabili della loro disgrazie. E’ un discorso concreto: prendiamo la OM Carrelli di Bari e la FIAT di Termini Imerese. Dopo un’iniziale trattativa per l’acquisto della OM Carrelli, anche con l’intervento del governo, la Metec ha invece deciso di rilevare lo stabilimento di Termini Imerese. Questo succede decine e centinaia di volte e questo, se ci si limita alla concezione “sindacale” e rivendicativa delle lotte, per forza di cose, alla lunga, alimenta la divisione e contrapposizione di settori e parti della classe operaia, la guerra fra poveri.
La crisi non lascia margini di “contrattazione”, e il fatto che il movimento comunista sia debole fa sì che i capitalisti non abbiano molte remore a ricorrere a ogni mezzo per valorizzare i loro capitali.
La verità è che per quanto siano avanzate le rivendicazioni ai padroni e ai loro governi, queste restano una cosa qualitativamente diversa dalla lotta per impadronirsi del potere, eliminare i padroni come classe dominante e instaurare il socialismo.
Detto questo, aggiungo per chiarezza che il “problema” non è degli operai che partecipano alle lotte rivendicative, lo ribadisco: l’economicismo è la concezione spontanea a cui arriva la classe operaia educata dalla società borghese e con la mentalità che da questa assorbe. La questione riguarda i comunisti: l’economicismo è una deviazione del movimento comunista che produce idee distorte sia su come si costruisce la rivoluzione (gli economicisti dicono che scoppia da sola, basta preparare il terreno con tante e vaste lotte rivendicative) sia su che ruolo, funzione e compito abbia il partito comunista (organizzare e promuovere lotte rivendicative anziché stato maggiore della classe operaia che elabora l’esperienza della lotta di classe, forma gli uomini e le donne alla concezione comunista del mondo e li organizza per condurla con la scienza e la determinazione necessari per vincere).
L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ci mostra che le lotte accanite degli operai non li hanno di per sé portati ad acquisire né la coscienza né l’organizzazione necessari a instaurare il socialismo. Sono i comunisti che devono imparare a valorizzare le lotte rivendicative ai fini della lotta politica rivoluzionaria.
Superare la tara dell’economicismo è fondamentale. In questa lettera ho tagliato giù con l’accetta e ho sintetizzato solo alcuni aspetti trattati nel comunicato del (n)PCI, per questo ti invito a leggerlo. Quando ci vediamo possiamo riprendere il discorso partendo dalle diverse prospettive che hanno di fronte un “capo di lotte accanite e radicali” e un “operaio comunista che organizza altri operai a comprendere le leggi proprie della trasformazione del mondo e ad applicarle”. Se l’economicismo è la forma spontanea della lotta di classe e la concezione comunista del mondo è un’evoluzione superiore, perché oggi dovremmo ragionare al ribasso e assumere la linea delle lotte rivendicative per far scoppiare la rivoluzione? A pugno chiuso!
Una compagna della Federazione Toscana
E’ uscita La Voce del (nuovo)PCI n.49, puoi richiederla a carc@riseup.net