Abbiamo trattato su Resistenza n. 1 e n. 2 del 2015 della lotta alla Fiber di Arcene (BG), un’azienda piccola (circa 80 dipendenti) in cui gli operai e le operaie sono stati protagonisti di un’importante esperienza. Li avevamo lasciati con un presidio di fronte ai cancelli perché, insistevano, l’azienda non era in crisi, i problemi derivavano dalla mala gestione da parte della proprietà che accumulava debiti e parlava di ridimensionamenti. Nel giro di un mese il padrone ha scoperto le carte: l’azienda era da chiudere. Il presidio, già allestito, si è trasformato in permanente; la parte più cosciente dei lavoratori ha bloccato la fabbrica scioperando e ha messo la testa fuori dal presidio, con blocchi stradali e cortei. In poco tempo, come repentinamente era arrivata la notizia della volontà di chiusura, è arrivato anche il risultato che il padrone è tornato, momentaneamente, sui suoi passi: i lavoratori lo hanno costretto a ricorrere fino in fondo alla cassa integrazione straordinaria che aveva invece deciso di lasciar decadere.
Pochi giorni dopo l’annuncio della vittoria abbiamo incontrato alcuni lavoratori e lavoratrici del presidio con cui abbiamo commentato i risultati ottenuti e le prospettive.
Una vittoria temporanea. “Sapevamo che gli operai e le operaie avevano chiaro che si tratta di una vittoria temporanea e parziale, ma questo ce lo hanno ribadito e hanno insistito appena siamo arrivati al presidio: l’esito finale dipenderà da noi, dicono. La cosa mi ha un po’ colpito perché parlando con alcuni di loro nelle settimane precedenti, mi era parso che in ogni modo dessero particolare importanza a ciò che avrebbe deciso la proprietà, come se riconoscessero che il padrone è il padrone e decide lui cosa fare. Evidentemente queste settimane di mobilitazione e la “doccia fredda” della notizia della chiusura li hanno spinti a comprendere meglio il loro ruolo. Del resto, dicono, la cassa integrazione straordinaria era una strada già possibile da percorrere, a fronte del fatto che la proprietà aveva già ampiamente dimostrato di non essere all’altezza di dirigere, di gestire la produzione e organizzare il lavoro… siamo sempre stati noi a mandare avanti la fabbrica e a dover sottostare, a volte, a decisioni senza senso e palesemente disastrose per la produzione… Adesso la proprietà l’abbiamo costretta a fare un passo indietro, ma siamo sempre noi a dover farci carico della prospettiva perché questi qua – la proprietà – non si capisce bene cosa vogliono fare, cioè si capisce che non hanno interesse a far andare le cose.
Il ruolo delle donne. Avevamo interesse a conoscere nello specifico l’esperienza delle operaie, dato che in questa azienda sono tante e sono per la maggioranza impiegate nei reparti produttivi. Dobbiamo approfondire la questione, ma da quanto ci siamo detti con le compagne presenti questa cosa emerge bene: la Fiber è storicamente un’azienda con un’alta presenza di donne, le donne sono state un pilastro della mobilitazione e hanno partecipato trovando soluzioni anche alle condizioni problematiche che si sono presentate: la zona è appartata e poco frequentata e per questo sono stati fatti dapprima turni per cui le donne non facessero la notte al presidio, poi turni in cui la notte la facessero anche alcuni mariti delle operaie e infine anche turni di più donne di notte. Abbiamo chiesto anche se la mobilitazione al presidio avesse influito sulle relazioni famigliari e, oltre a ribadire che in certi casi i mariti sono stati coinvolti, una di loro ci ha risposto che il solo e unico problema sarebbe stato la perdita del posti di lavoro, quindi per scongiurare il licenziamento si è organizzata di conseguenza… Ci sono anche esempi di operai che hanno portato al presidio la madre anziana per mostrarle cosa stava facendo il figlio, per farle respirare il clima di solidarietà e combattività del presidio….
La solidarietà. Abbiamo chiesto se avessero ricevuto solidarietà da altri operai o settori della popolazione, ma a quanto risulta si tratta soprattutto di quella solidarietà contingente (camionisti che salutano i blocchi stradali, automobilisti che si mostrano vicini alla lotta), fatta anche, però, di cittadini e negozianti che hanno sostenuto il presidio portando cibo e bevande… Allora la domanda mi è venuta spontanea: ma la solidarietà l’avete richiesta pubblicamente? E la risposta è stata no. In effetti questa lotta è nata e si è sviluppata senza che venisse a conoscenza delle masse popolari… abbiamo quindi ragionato con gli operai e le operaie di quanto invece fosse importante farla conoscere: sia per l’esito sia per quella ricca esperienza di autogestione che hanno fatto in passato (8 mesi di autogestione di ogni aspetto della produzione). La classe operaia ha da contare sulle proprie forze, sulle proprie esperienze e sulla solidarietà di classe, queste sono armi che nell’esito di una battaglia fanno la differenza e pure la fanno in prospettiva: è da questi fattori che imparano a combattere combattendo.
Cosa ha sedimentato questa esperienza. Dobbiamo tornare al presidio e ci siamo assunti l’impegno di farlo. Non solo come forma di sostegno alla loro lotta per difendere i posti di lavoro e salvare l’azienda dalla chiusura, ma anche perché sono per noi un esempio importante di quello che possono fare gli operai organizzati dentro un’azienda. Loro hanno già dimostrato di essere in grado di gestire la produzione, sono cioè nella condizione, salvando la loro azienda dalla chiusura, di mantenere attiva la produzione e mobilitare anche altri operai a fare altrettanto (pensiamo a quelli dell’indotto o a quelli delle aziende per cui producono beni). Ciò che possiamo imparare da questa esperienza è di grande importanza per entrare nel concreto di ciò che diciamo nella nostra linea “operai organizzati capaci di prendere in mano l’azienda e farla funzionare”. Ciò che possiamo portare noi, come contributo, è l’impegno a farli “uscire dall’azienda” e metterli in relazione e in contatto con altri operai. Non solo e non tanto dal punto di vista del coordinamento delle lotte (cioè dal punto di vista sindacale, anche se è importante: qua è presente il sindacato e da questo punto di vista le RSU svolgono già un ruolo positivo e di avanguardia, si tratta dell’area sinistra della FIOM conosciuta in provincia e non solo per la combattività), quanto dal punto di vista politico. Perché la questione è questa: chi è in grado di dirigere un’azienda e ha un’esperienza da insegnare e far valere, può imparare anche a dirigere la società (per essere schematici si tratta di garantire la produzione di beni e servizi necessaria a soddisfare i bisogni correnti e fare delle aziende un punto di organizzazione e mobilitazione dei settori più avanzati delle masse popolari affinché si assumano la responsabilità di dire cosa va fatto per fare fronte agli effetti della crisi e organizzarsi per farlo).
Dal rapporto della Sezione di Bergamo