Il 21 febbraio il movimento NO TAV è sceso di nuovo in piazza a Torino per rispondere alle pesanti condanne che il Tribunale di Torino ha comminato a 46 attivisti (150 anni di carcere e 150mila euro di rimborsi, questo è l’esito del primo grado del “maxiprocesso” al quale vanno aggiunte le condanne e le misure restrittive che piovono sul movimento a seguito di altri “processi minori”).
Non abbiamo gli elementi per confermare il giudizio estremamente positivo con cui gli organizzatori hanno salutato la partecipazione al corteo e neppure particolari elementi per confutare tale giudizio: il movimento costruito in più di 20 anni di mobilitazione e protagonismo popolare era e rimane una delle maggiori e principali espressioni della resistenza agli effetti della crisi e una grande fucina di proposte, idee, progetti per la costruzione dell’alternativa.
Sullo sfondo di tale manifestazione ci concentriamo su due aspetti, entrambi hanno a che vedere in qualche modo con la trasformazione storica a cui sono chiamati i movimenti, gli aggregati, gli organismi popolari in questa fase, la trasformazione in Nuove Autorità Pubbliche; il primo è un ragionamento sullo sviluppo della lotta contro la repressione; il secondo è un ragionamento sulla valorizzazione dei (numerosi) amministratori locali attivi nel movimento No TAV. Sono ragionamenti “generali”, nel senso che attengono all’orientamento generale e non vanno confusi con “indicazioni sul campo” né tanto meno “buoni consigli”, la loro utilità sta proprio in questo: a partire dall’esempio concreto possono essere declinati a ogni altra situazione, curandone l’attuazione nelle condizioni concrete.
Resistere sfianca, se non si passa all’attacco. Grande generosità, pagine di resistenza eroica, contrattacchi “tattici”, capacità organizzativa, apertura alla discussione, disponibilità a imparare, solidarietà senza se e senza ma, sono alcuni degli “ingredienti” del movimento di resistenza al TAV. Tante buone ragioni e molti argomenti per farle valere. Tutto questo non ha impedito (e non poteva impedire, siamo chiari) che la Valle venisse sventrata, che la farsa dei lavori (cantieri / non cantieri) iniziasse, che iniziassero le devastazioni. Che si portassero dietro la scia di repressione, militarizzazione, criminalizzazione. Senza il movimento NO TAV la valle sarebbe già oggi irriconoscibile e quella ferrovia, inutile, dannosa, sarebbe probabilmente già stata costruita (al netto delle solite e conosciute incapacità delle autorità della Repubblica Pontificia). La verità è che a chi la vuole a ogni costo, di quella ferrovia non interessa nulla. O interessa molto poco. Ciò che importa è il giro di soldi, appalti, penali, mazzette, camorra, mafia, ‘ndrangheta, speculazioni, cemento, appalti, controlli mancati e omissioni. Treno o non treno, i signori ci mangiano tutti. Se è vero dire che la popolazione ha dalla sua il tempo (il progetto non può durare all’infinito), gli speculatori hanno dalla loro l’obiettivo: nessun treno attraverserà il tunnel. In questa lotta di sfiancamento, i colpi bassi li danno con calma: persero Venaus nel 2005 e conquistano la Maddalena nel 2011. Si badi, non c’è alcun intento disfattista in questo ragionamento, è anzi ovvio che in una lotta di lunga durata ci siano avanzamenti e arretramenti, passi avanti e passi indietro. Allarghiamo invece il ragionamento: si può chiedere alle stesse autorità contro cui si combatte (responsabili del disastro ambientale, della speculazione, della repressione, delle botte, della militarizzazione) di usare meglio i soldi di cui dispongono, e che hanno coscientemente destinato alle tasche di amici degli amici, ad esempio a beneficio degli interessi collettivi? La logica della resistenza a oltranza porta a questo punto: ci siamo opposti, ci opponiamo, resistiamo, paghiamo a caro prezzo (botte, arresti, denunce, fogli di via, carcere, multe salatissime)… possiamo oggi limitarci a chiedere al governo di dirottare i soldi per il TAV alla manutenzione di scuole o alla sanità pubblica? Questo NO (al TAV), giusto, legittimo, ragionevole quasi; con quei SI impliciti ed espliciti che si porta appresso (solidarietà, lavoro utile, dignitoso e sostenibile, beni comuni, autodeterminazione) può ancora vivere nelle richieste al governo? Allarghiamolo ancora, questo discorso: con tutto ciò che il movimento NO TAV rappresenta, sintetizza, raccoglie ed evoca, ha davvero necessità di confinarsi in richieste (più o meno ragionevoli, più o meno radicali) al governo? Una lotta di lunga durata ha delle fasi. La fase della resistenza a oltranza ha sedimentato quanto serve per passare dalla difesa all’attacco. Non lo diciamo noi da una cattedra, lo dice il movimento pratico delle cose: a colpi di multe e reclusioni, le richieste legittime e ragionevoli decadono. Generosità, combattività, intelligenza, capacità organizzative e solidarietà chiedono oggi di essere investite in una battaglia di tipo superiore: basta chiedere, ma iniziare ad attuare. Non sono le masse popolari della Val Susa ad averne necessità, ma il paese intero, quella parte che in ogni momento, a ogni latitudine, risponde agli appelli della Valle e la “porta ovunque”, nelle metropoli e nelle province.
Sindaci in prima fila. “Sabato 21 febbraio, al termine dell’imponente manifestazione No Tav di Torino, 24 sindaci della Valle di Susa hanno approvato la delibera “Salviamo il Territorio”, un documento in cui si pone il tema politico sulle priorità del governo, al quale viene chiesto di investire i soldi TAV per scuola, assetto idrogeologico, treni per i pendolari, sanità, università e ricerca. Il documento è il punto di partenza di un’iniziativa che a brevissimo si diffonderà su tutto il territorio nazionale, per dimostrare che si può cambiare partendo dal basso… cioè dai comuni”.
Anche questi 24 sindaci partono da chiedere al governo qualcosa, la gestione di quei soldi destinati al TAV. E’ secondario, per il momento, che credano davvero che queste richieste vengano ascoltate ed esaudite o meno, la questione principale e positiva, sta nel fatto che si pongono di “uscire dalla Valle” e intervenire nel sommovimento (trasversale agli schieramenti politici) di cui sono protagonisti gli amministratori locali contro il governo centrale, chiamando ad aderire i sindaci di tutta Italia.
“La situazione economica e sociale nazionale è estremamente critica sotto molteplici aspetti e la crisi della Finanza Pubblica determina ripercussioni drammatiche per le Amministrazioni Comunali che si vedono costrette a tagliare sui servizi essenziali (i cui destinatari sono rappresentati per lo più dalle fasce deboli della popolazione) o, in alternativa, a inasprire la tassazione locale, trasformandosi in esattori per conto dello Stato.
Tale situazione porta all’impossibilità per gli Enti Locali di effettuare interventi a difesa del territorio, anche modesti e di natura manutentiva. Territorio sempre più fragile e sotto la costante minaccia di alluvioni, frane, incendi e terremoti. Le ristrettezze economiche e una legislazione penalizzante impediscono interventi tempestivi: i vincoli del Patto di Stabilità, l’impossibilità di sostituire il personale collocato a riposo, la complessità delle norme in materia di appalti.
Le Amministrazioni si trovano quindi nell’impossibilità di governare il proprio territorio e contemporaneamente di rispondere alle richieste di sicurezza e di tutela della pubblica incolumità che giungono da parte dei propri cittadini; cittadini che stanno sempre più perdendo la fiducia nelle istituzioni, a cominciare da quelle a loro più vicine rappresentate dagli Enti Locali, sfiducia evidenziata dai livelli di astensionismo.
(…) La politica dei grandi investimenti invece di attrarre investitori privati, molte volte attira gli appetiti delle organizzazioni criminali e favorisce il sorgere e il dilagare di fenomeni corruttivi.
Risulta quindi necessaria un’inversione di rotta che dia priorità e risorse alla corretta gestione del territorio, scoraggiandone e bloccandone il consumo insensato, riconoscendo i cittadini quali protagonisti principali e restituendo significato e dignità ai concetti di democrazia, partecipazione vera e confronto fra le Istituzioni dei vari livelli.
Tale azione deve necessariamente partire dal basso, dai Comuni, nuclei fondamentali del governo locale, che vivono direttamente il territorio e del quale conoscono la forza e la debolezza,
E’ quindi necessario porre un freno al consumo del territorio e alla politica delle grandi opere “a priori”, realizzate senza la condivisione dei Rappresentanti dei Cittadini, senza un adeguato calcolo dei costi e dei benefici, senza una complessiva valutazione dell’impatto ambientale, senza una visione strategica che risponda ai reali bisogni dei cittadini. Tutto ciò premesso:
Il Consiglio Comunale chiede al Governo di mettere in campo le risorse necessarie ad avviare l’unica grande opera di cui l’Italia ha una necessaria e improcrastinabile esigenza: la messa in sicurezza del suo fragile territorio. Opera che avrebbe ricadute occupazionali enormemente superiori a quelle prodotte dalle Grandi Opere, creando posti di lavoro diffusi e riducendo le spese di cui lo Stato e i cittadini si devono far carico dopo ogni disastro ambientale e in particolare di destinare:
i 2,9 miliardi previsti per il TAV Torino-Lione per la messa in sicurezza delle scuole,
20 miliardi per il dissesto idrogeologico in modo da evitare centinaia di milioni di euro di danni e, soprattutto, vittime tra la popolazione,
risorse per la sanità e per i servizi sociosanitari,
fondi per l’Università, per la ricerca e per la formazione,
uomini e mezzi per la lotta all’evasione fiscale, ammodernando le banche dati e gli incroci dei data base per individuare gli evasori.
risorse per la manutenzione e il potenziamento dei 5000 km di ferrovie per i pendolari (che rappresentano il 90% degli utilizzatori dei treni) mentre negli ultimi decenni alle linee tradizionali sono stati dedicati il 10% degli investimenti complessivi – dalla delibera Salviamo il territorio.