L’attacco alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi (bilancio di 12 morti), l’irruzione in un negozio Kosher, sempre a Parigi il giorno seguente (bilancio 5 morti, compreso l’autore), i giorni in cui la concitata caccia all’uomo per tutta la Francia è andata in onda in tutto il mondo (bilancio 2 morti, gli autori dell’attacco alla redazione del giornale satirico francese): che si tratti di manovre che rientrano nella strategia della tensione alimentata dalle agenzie segrete della Comunità Internazionale o che si tratti di autentiche forme di risposta alla devastazione di cui le masse popolari arabe e musulmane sono vittime per mano degli imperialisti, sono una manifestazione della tendenza alla guerra verso cui le classi dominanti spingono la società. Questo è il dato principale: le manifestazioni di cordoglio, a difesa dei “valori della democrazia”, di cui sciacalli, iene e avvoltoi della risma di Netanyahu, Hollande, la Merkel, Cameron, Renzi si sono resi protagonisti sono propaganda di guerra e intossicazione.
Non trattiamo qui quanto e come gli attacchi di Parigi possano essere e saranno usati dalla classe dominante per alimentare la guerra fra poveri (lo scontro di civiltà) e neppure su quanto e come possano giovare (se giovano) alla causa dei popoli oppressi. Per quanto brutale possa sembrare (anche se non c’è proprio niente di cui scandalizzarsi) è in un certo senso normale che chi conduce nei paesi oppressi la resistenza contro le aggressioni dei gruppi imperialisti, punti a portare in casa dei gruppi imperialisti la guerra. Non sarebbe né il primo né sarà l’ultimo caso che fazioni e gruppi della resistenza islamica promuovono incursioni nelle capitali “dell’occidente”. Ci soffermiamo su un punto che supera lo smarrimento, la paura, lo sgomento per le “azioni terroristiche” di cui ciclicamente sono teatro le metropoli dei paesi imperialisti e ricaccia indietro le spinte allo scontro di civiltà: sempre più i popoli aggrediti porteranno la guerra nella metropoli degli aggressori, quanto meno accesa sarà qui la lotta delle classi sfruttate.
Vasta e dispiegata è la mobilitazione delle masse popolari dei paesi oppressi: le condizioni materiali, le aggressioni decennali, i ricatti, lo stato di guerra permanente, i saccheggi e le rapine spingono milioni di persone a rispondere alla guerra, a resistere e a combattere. Data la debolezza del movimento comunista questa mobilitazione è generalmente guidata dalle formazioni clericali. Tale direzione imbriglia queste lotte nella contraddizione: sono giuste, ma sono limitate dal fatto che il modello di società che chi le organizza e le promuove punta a costruire è superato dalla storia dell’umanità, ha un retaggio medievale che le rende sorpassate. Chi le dirige e le organizza, inoltre, è stato allevato proprio da quegli imperialisti che oggi combatte, ai tempi della lotta contro l’avanzata del comunismo in cui il movimento comunista effettivamente orientava e influenzava i movimenti di liberazione nazionale di tutti i popoli oppressi del pianeta.
La mobilitazione delle masse popolari dei paesi imperialisti è invece dispiegata solo fino a un certo livello. Di questo la responsabilità non è delle masse popolari, ma del movimento comunista che non è ancora all’altezza del suo compito: oltre che organizzativamente, ciò è evidente in termini ideologici, di influenza e di “egemonia” nel campo delle masse popolari.
Chi organizza e promuove la mobilitazione delle masse popolari nei paesi imperialisti deve assumersene la responsabilità e il compito fino in fondo. Ciò comporta assumere come conseguente ragionamento che il miglior modo di essere solidali con i popoli oppressi dall’imperialismo è spezzare il vincolo che lega il proprio paese alla Comunità Internazionale degli imperialisti, è costruire la rivoluzione nel proprio paese.
E’ l’obiettivo del movimento comunista che rinasce con il preciso compito storico di costruire il socialismo nei paesi imperialisti.