Lo scorso 6 dicembre ci siamo riuniti a Roma per la II Assemblea Nazionale, una discussione ricca, alimentata dagli interventi di tante compagne e tanti compagni che hanno contribuito alla discussione elaborando la loro esperienza concreta sui due argomenti principali: la Riforma Morale e Intellettuale (RMI) necessaria per diventare capaci di trasformare la realtà e la trasformazione del P.CARC in partito del Governo di Blocco Popolare (vedi l’articolo Un regime che scricchiola).
Tanti interventi: sul funzionamento delle istanze e degli organismi del Partito (lavoro interno), sulle attività in corso (il lavoro esterno), gli avanzamenti, le contraddizioni e le difficoltà che incontriamo nel lavoro organizzativo, nel lavoro operaio, nello sviluppo del Settore Donne e nella costruzione del Settore Giovani, nella costruzione di amministrazioni comunali d’emergenza, nella formazione di organizzazioni operaie e popolari e negli altri campi in cui si articola l’azione per creare le condizioni della costituzione di un governo di emergenza popolare.
Non avrebbe alcun senso riassumere in poche pagine la profondità e la vastità della discussione, il Centro Nazionale del Partito sta preparando gli atti dell’Assemblea che saranno pubblicati su www.carc.it.
Ci “accontentiamo” qui di pubblicare gli stralci di due soli interventi: non sono i più rappresentativi, non sono più significativi di tanti altri, sono quelli che meglio si adattano all’esigenza di chiarezza, brevità, profondità per trattare due aspetti della discussione sulla RMI: la nuova morale che i comunisti devono adottare per trasformarsi e la necessità dello studio come arma della lotta di classe.
Il dibattito franco e aperto, le questioni familiari, le questioni economiche
Riforma morale e intellettuale è unità di due cose:
– la riforma intellettuale parte dalla comprensione che la concezione comunista del mondo è una scienza, uno strumento per trasformare la realtà. Significa assimilazione della concezione comunista del mondo. La borghesia scoprì la scienza come strumento per trasformare la natura, la classe operaia scopre la scienza come strumento per trasformare la società, integralmente, nei collettivi e negli individui che la compongono. Così, anche in questa Assemblea, noi parliamo non per fare sfoggio di qualcosa, ma per trasformarci e per trasformare chi ascolta.
La concezione comunista del mondo non è quindi esclusivamente né principalmente spiegazione della realtà.
Marx dice che “i filosofi finora hanno interpretato il mondo, ora è il momento di trasformarlo”. Ogni membro del partito è “filosofo” e studia la realtà per trasformarla, non per descriverla come fosse un dato fisso, e noi la variabile. Il partito, con noi che ne siamo membri, è il punto fermo, è la realtà a cambiare per l’azione del partito. I comunisti uniti nel partito sono quei nuovi filosofi di cui parla Marx, che si occupano dell’attività umana, della società come costruzione umana e del suo divenire, del suo farsi; (…)
– la riforma morale è prima di tutto scoperta del principio secondo cui il collettivo è principale e il personale è secondario, cioè che il personale si realizza integralmente nel collettivo e la trasformazione che segue a questa scoperta. Si diventa comunisti in quanto ci si trasforma, in quanto la rivoluzione in primo luogo investe la nostra vita, in quanto siamo oggetto della rivoluzione. Questo è il primo passo dell’applicazione della concezione comunista del mondo.
(…) Il principio per cui il collettivo è principale significa che il partito decide cosa è giusto e cosa è sbagliato. Per il cristiano decide la divinità, per il borghese decide lui stesso, per il comunista decide il partito. (…) Per ogni individuo, compagno o compagna, il collettivo viene prima: ciascuno è prima partito che singolo. È così perché sceglie di “mettere prima il collettivo” quindi sacrificandosi, subordinandosi? No. È così perché scopre che il collettivo viene prima, nel senso che oggettivamente è prioritario, per una legge socialmente oggettiva. Infatti è nel collettivo e solo nel collettivo che l’individuo, cioè il proletario, si realizza e il collettivo comprende cosa il proletario vuole e come vuole ottenerlo meglio di lui stesso. Sacrificarsi, subordinarsi significa tornare indietro alla concezione feudale, dove l’individuo si annulla di fronte al signore così come il cattolico, ad esempio, si annulla di fronte al Papa, si fa pecora. (…) Un membro del partito non è uno che si sacrifica. È uno che vuole con tutte le sue forze che il partito vinca e che in ciò si realizza. Un dirigente del P.CARC vuole con tutte le sue forze che il partito realizzi il proprio obiettivo, cioè il Governo di Blocco Popolare, e in ciò lui stesso si realizza.
La riforma morale e intellettuale dei comunisti e quella della masse sono cose differenti, nel senso che la prima precede la seconda. Sono i comunisti a doversi trasformare per primi: “La rivoluzione socialista non si fa principalmente perché le persone interessate a farla hanno altro da fare. I comunisti hanno una comprensione più avanzata delle condizioni e delle forme della rivoluzione socialista. Si liberano da ciò che li intralcia e si impadroniscono senza remore e riserve di ciò di cui hanno bisogno per avanzare, insegnano agli altri come liberarsi e lanciarsi a fare la rivoluzione” (Perché avanziamo lentamente, Resistenza n.7/8-2014). I comunisti nei loro partiti mettono al primo posto l’interesse generale e cessano quindi di interessarsi prima di tutto dei loro affari, ognuno per sé. Questa è la base per la costruzione della rivoluzione, la fase precedente la rivoluzione (…).
Il motivo per cui nei paesi imperialisti non si è ancora fatta la rivoluzione sta nel fatto che sono mancati dirigenti che si sono dedicati senza riserve a elaborare la via che i comunisti, la classe operaia, le masse popolari dovevano percorrere per instaurare il socialismo, cioè al fatto che non ci sono stati partiti comunisti che hanno posto come principio la riforma morale e intellettuale. Così anche la condizione morale e intellettuale delle masse popolari in un paese imperialista come l’Italia nel periodo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi è qualitativamente differente da quella delle masse popolari nei paesi oppressi e semicoloniali, e anche da quella delle masse popolari italiane del periodo precedente la fine della Seconda Guerra Mondiale e da quella delle masse popolari nell’Italia socialista. L’analisi concreta di questa situazione concreta è fondamento della riforma morale e intellettuale che i comunisti attuano.
Un esempio pratico. (…) La riforma morale, cioè la creazione di una nuova morale, si sviluppa su tre linee cruciali, il dibattito franco e aperto, le questioni familiari, le questioni economiche. Prendiamo un caso molto diffuso: nell’ultimo mezzo secolo parecchi lavoratori si sono comprati la casa o l’hanno comprata per i loro figli o in certi casi hanno speso non solo soldi ma anche tempo per restaurarla, ampliarla, ricostruirla. Questi lavoratori sono in gran parte figli di contadini, ultimi di generazioni che non hanno mai avuto, nei secoli, possesso di una casa. Se ora possono averla è perché le lotte della classe operaia hanno creato le condizioni necessarie, cioè hanno imposto norme che hanno fatto guadagnare alle classi lavoratrici tempo e denaro sufficienti per costruirsi una casa. Questa casa quindi solo in una certa misura è frutto del loro lavoro, ma in misura sostanziale è frutto delle lotte delle masse popolari e quindi non la possono considerare integralmente loro proprietà privata. Un caso estremo è quello del delegato sindacale che organizzava lo sciopero che farà guadagnare a uno tempo e denaro e lui, crumiro, che non partecipa perché “ha bisogno di soldi per pagarsi la casa”. È la condizione in cui l’operaio considera normale e giusto occuparsi degli affari suoi mentre di politica e sindacato si occupano gli “specialisti”. Porre mano a questa situazione con la riforma morale e intellettuale significa che i comunisti per primi, se hanno proprietà, devono rendersi conto che le hanno grazie alle lotte della classe operaia e delle masse popolari e solo in seconda istanza grazie al lavoro proprio o a quello dei loro genitori, che il loro bene, quindi, è frutto del lavoro collettivo più che del lavoro individuale, e che quindi è giusto sia messo a disposizione della collettività. (…) – dall’intervento di Paolo Babini – Direzione Nazionale e Responsabile della Commissione Nazionale Rinascita di Gramsci.
Condurre fino in fondo la Riforma Morale e Intellettuale, costruire gli intellettuali che superino i limiti indicati da Gramsci e posti in oggetto dalla LIA in Campania!
Uno dei principali insegnamenti della Lotta Ideologica Attiva (LIA) in Campania è “chi non studia non può dirigere”, perché molto semplicemente se non si studia non si riesce a tradurre la linea generale nel particolare e attuarla nel concreto della situazione in cui si opera.
La nuova Segreteria Federale, costituita a fine maggio scorso, ha iniziato ad analizzare la situazione del meridione d’Italia e i dati strutturali che caratterizzano il nostro territorio, indispensabili per fare un’analisi concreta della situazione. Abbiamo utilizzato il rapporto Svimez (Ente per lo sviluppo del Mezzogiorno), un istituto fondato e diretto a tutt’oggi dalla classe dominante (Confindustria, Vaticano e istituzioni locali), che è stato pubblicato a ottobre 2014 e da cui emerge che:
– sul totale dei posti di lavoro perduti quest’anno in Italia, l’80% erano collocati nel Meridione;
– nelle regioni meridionali, nell’ultimo anno le famiglie “povere”, che non possono permettersi beni considerati di base come la macchina o il pagamento del riscaldamenti o una vacanza l’anno, sono aumentate del 40%; il PIL delle regioni del sud è in calo progressivo dal 2008 (da quando è iniziata la fase acuta della seconda crisi generale del capitalismo) e si posiziona al -1,8% in media contro lo 0% invariato della Toscana e la crescita del PIL della Lombardia; il processo di deindustrializzazione del territorio, basta pensare alla chiusura degli stabilimenti o ai processi di ristrutturazione che hanno ridotto il personale in FIAT, all’Irisbus o quelli annunciati in Alenia (eccellenza dell’aereonautica), parimenti il blocco di qualsiasi investimento statale sulle infrastrutture, già insufficienti e precarie, e sui servizi alla persona… unito al rinnovato fenomeno dell’emigrazione, solo da Napoli sono andate via 116mila persone, e il dato di mortalità che ormai supera quello della natalità, danno il quadro di quello che lo Svimez chiama “processo di desertificazione”. Questi sono dati da bollettino di guerra, lo stesso Svimez dice che sono dati paragonabili solo ai periodi post bellici di fine ‘800 e successivi alla Prima Guerra mondiale. Noi li chiamiamo per nome e cognome: guerra di sterminio non dichiarata che la classe dominante conduce contro le masse popolari.
Già Gramsci, analizzando i dati strutturali del Mezzogiorno a inizio ‘900, definì il sud “colonia” della borghesia del nord. Il Mezzogiorno è la colonia di un paese occupato.
Gramsci ha analizzato la sovrastruttura che derivava dalle condizioni di sviluppo storico, nella raccolta sulla Questione Meridionale ha messo in luce il tipico “fermento delle masse contadine del sud”: oggi possiamo sicuramente affermare che le mobilitazioni delle masse popolari del sud sono costanti, noi non abbiamo bisogno di “crearle”; ha descritto il ruolo degli intellettuali meridionali, storicamente degli imbonitori o dei politicanti al servizio della classe dei grandi proprietari terrieri o nella migliore delle ipotesi dei “codisti” diremmo oggi e oggi possiamo affermare che la maggioranza delle forze politiche anche di sinistra sono affette da “movimentismo”; ha descritto come la tendenza a isolare ogni fenomeno rivendicativo desse luogo all’economicismo e come si sviluppasse naturalmente il localismo (la questione meridionale come fatto a sé invece che questione nazionale del proletariato) e come questo scatenasse di conseguenza una guerra tra poveri, tra “nordici e sudici”. Il sud ha espresso grandi personalità della cultura e di Stato, ma mai gli intellettuali meridionali hanno costituito una vera e propria “scuola di pensiero meridionale”, insomma l’intellettuale “organico alle masse”, di cui Gramsci ha sintetizzato il ruolo, nel sud al massimo è stato il “capopopolo”, oggi quest’individualismo nei dirigenti delle masse popolari non è superato e non a caso quindi è il principale limite ideologico con cui anche la nostra Segreteria Federale sta facendo i conti.
Questa è la melma, la cappa di oppressione, di cui con la LIA vogliamo liberarci! A differenza del passato, infatti, noi aspiranti comunisti, e cioè intellettuali organici alle masse, abbiamo una scuola di pensiero che è il Partito, il collettivo in cui è possibile rielaborare l’esperienza e sintetizzare la linea particolare e concreta per avanzare.
Noi siamo orgogliosi di essere meridionali, non ci sentiamo “sudici” in lotta con i “nordici”!
Ma l’orgoglio e il sentimento non sono sufficienti! Noi abbiamo capito che senza il Partito non è possibile andare oltre le lotte rivendicative! Questo è ciò che chi abbiamo perso con la LIA in Campania, chi ha fatto passi indietro o è stato espulso, non ha compreso.
(…) La situazione in cui operiamo è favorevole allo sviluppo della linea tracciata per uscire dalla crisi e avviarci verso il socialismo: a Napoli, in particolare, c’è una palese ingovernabilità dall’alto (e i fatti circa le posizioni assunte da De Magistris con annesse ritorsioni da parte del governo centrale li conoscete tutti) e dal basso (le tante vertenze aperte), ma per approfittarne serve condurre fino in fondo la Riforma Morale e Intellettuale, costruire gli intellettuali che superino i limiti indicati da Gramsci e posti in oggetto dalla LIA in Campania! (…) Esattamente lo studio è la tara cui ancora non mettiamo mano con la dovuta determinazione, siamo scarsi e discontinui, occorre quindi la costrizione e il controllo. (…) – dall’intervento di Fabiola D’Aliesio – Direzione Nazionale e segretaria della Federazione Campania.