Alla AZ Fiber di Arcene (BG) gli operai sono in presidio dal 22 ottobre perché la proprietà tedesca ha deciso di aprire la mobilità per circa 40 operai, la metà delle maestranze. Già nel 2011 il padrone aveva cercato di smantellare la fabbrica, ma invano: gli operai (per 3 mesi in presidio) costrinsero alla resa la vecchia proprietà (svizzera) che ha venduto l’azienda. Durante il passaggio di proprietà la ditta era passata attraverso la fase di concordato (pre-fallimento in attesa di eventuali acquirenti) e per 6 mesi la produzione è stata portata avanti e garantita (ai livelli precedenti e in tutti i suoi aspetti) dal collettivo degli operai. Come ci sono riusciti? Ce lo dicono loro.
“La politica sindacale degli ultimi 20 anni è stata deleteria per gli interessi operai e che ciò è avvenuto soprattutto a causa del fenomeno della delega alle direzioni sindacali da parte dei lavoratori, che in tal modo non hanno più sviluppato un dibattito sui propri interessi. Questo ha portato gli operai ad agire in difesa anziché in attacco. Quando in azienda abbiamo ricevuto i primi attacchi nel 2011-2012 ci siamo organizzati su due obiettivi principali: 1) difendere fino in fondo i posti di lavoro e 2) conoscere la nostra fabbrica, il nostro lavoro, per non dover dipendere dalla relazione col padrone nella gestione della vertenza. In questo modo, nel tempo abbiamo costruito un gruppo di operai cosciente e coeso, deciso a lottare. Il continuo dibattito tra gli operai promosso dalle RSU in assemblee ha fatto maturare la coscienza di molti operai che si sono attivati nella lotta. Abbiamo imparato a trattare i fatti concreti, dicendo sempre la verità. I giovani in fabbrica hanno cominciato a interessarsi dei problemi: hanno studiato e imparato l’intero ciclo produttivo e in buona sostanza non c’eravamo solo noi tre di delegati, ma tutti lo erano. Abbiamo avuto la fortuna di avere relazioni privilegiate con l’esperienza della SAME (grande azienda della bergamasca, punto di riferimento per gli operai combattivi della provincia – ndr). (…) In genere l’80% degli operai sciopera, ma in fabbrica ci sono anche gli opportunisti, quelli che privilegiano la soluzione individuale e non vedono il problema collettivo, che hanno paura di rompere il rapporto privilegiato con la direzione. Riguardo alla FIOM va detto che la segreteria provinciale, come anche la CGIL, non si è mai interessata alla nostra situazione: solo una volta il segretario provinciale si è presentato ai cancelli. Siamo cresciuti moltissimo sindacalmente, nel processo di lotta si è vista chiaramente la crescita di molti operai, che hanno conquistato sicurezza e protagonismo. Siamo però ancora deboli politicamente, perché è vero che i nostri problemi sono i problemi di molti altri lavoratori, ma non siamo in grado di risolverli complessivamente”.
Il percorso di mobilitazione ha segnato la consapevolezza degli operai del proprio lavoro, della propria azienda come strumento per vivere e quindi hanno individuato la necessità di studiarla, imparando anche a dire la loro sulle scelte gestionali e organizzative. Come collettivo di lavoratori sono quindi stati facilmente in grado di autogestire la produzione per i sei mesi in cui l’azienda non aveva di fatto una direzione perché in concordato preventivo. Pensare di ripeterlo ora gli sembra un po’ difficile in quanto oggi l’azienda ha accumulato debiti per 800.000 euro e ci vorrebbero molti soldi e rischi per rilevarla. Non escludono la possibilità che subentri un nuovo imprenditore.
Dal rapporto del segretario della sezione di Bergamo