Con il loro “lasciateci lavorare” hanno assecondato per anni tutte le misure antipopolari del governo Renzi-Berlusconi (e prima quelle dei governi Monti e Letta) e oggi, costretti dal degrado e dalla miseria che essi stessi hanno alimentato (in particolare nei quartieri popolari), inseguono la destra sul suo terreno, alimentando la guerra tra poveri. Sono i degni burattini della Repubblica Pontificia e gli utili idioti al servizio delle sue autorità e dei suoi funzionari, dei finanzieri, degli speculatori e della destra reazionaria.
La natura, il ruolo e l’orientamento delle amministrazioni locali (a partire dalle amministrazioni delle capitali della Repubblica Pontificia) è uno dei campi in cui infuria la guerra per bande fra le fazioni dei poteri forti che occupano il paese: organizzazioni criminali, Vaticano, imperialisti USA, imperialisti UE, padronato. La guerra contro gli occupanti di case popolari (lasciate sfitte a migliaia per sostenere la speculazione immobiliare) e “gli irregolari” a Milano e la vittoria delle sommosse razziste a Roma sono solo due manifestazioni del livello di criminalità raggiunto dalla classe dominante e dell’accondiscendenza dei sindaci di “sinistra” di Milano e di Roma.
Insieme alla distruzione di decine di migliaia di posti di lavoro, alla chiusura di aziende, alla speculazione e alla devastazione del territorio, alle privatizzazioni dei servizi sono la manifestazione che questo paese è allo sbando: ai lavoratori e alle loro famiglie, alle masse popolari è rimasto ben poco da difendere, la società intera va allo sfascio, le forze occupanti succhiano, spremono, spolpano ogni risorsa in nome del profitto e ci trascinano alla guerra (guerra fra poveri e guerra fra popoli). Le masse popolari organizzate devono cacciare le forze occupanti e sostituire le loro autorità con nuove autorità popolari. E’ difficile da pensare? E’ difficile da credere? A Carrara ci stanno provando, insegnano a tutti quelli che vogliono imparare…
Costruire nuove autorità popolari che iniziano a indicare le misure necessarie a fare fronte alla crisi e mobilitano le masse a realizzarle ora. Leggi bene, la premessa al ruolo che Marino, Pisapia e tutti i sindaci “democratici” (quelli del M5S non sono esclusi) hanno assunto è la ripetizione a oltranza del mantra “sarò il sindaco di tutti” (De Magistris dice che sarà il “sindaco di strada e tra la gente”), ma poi sono tutti ligi al governo centrale e al sistema finanziario che soffoca il paese. In un paese dove anche la parvenza di democrazia borghese è ridotta a straccio, “essere il sindaco di tutti” vuol dire concretamente essere il sindaco dei poteri forti, di una o dell’altra fazione dei vertici della Repubblica Pontificia, vuol dire obbedire al governo centrale, vuol dire mantenere in piedi il sistema di corruzione, clientele, speculazione e rapina a cui sono ridotte le amministrazioni locali.
“E che pretendevate, che facessero la rivoluzione?” No, ma la parabola di questi personaggi l’avevamo individuata fin dall’inizio: o si mettono al servizio della parte sana delle masse popolari che li ha fatti eleggere (mobilitandosi, attivandosi, riponendo in loro fiducia e aspettative) o finiscono a fare gli zerbini, a reggere il sacco o a fare il palo dei “soliti noti”. Leggi bene perché proprio questo presupposto (essere il sindaco di tutti o essere il sindaco di una parte della società, le masse popolari) sta alla base della possibilità di costruire autorità popolari attraverso cui le masse organizzate esercitano la loro governabilità dal basso. A Carrara non tutti i cittadini occupano il Comune e promuovono la mobilitazione, solo una parte: la più decisa, generosa, combattiva, propositiva. Con la sua iniziativa promuove una mobilitazione via via più ampia che sarà tanto più ampia e capillare quanto più alla rivendicazione di dimissioni del sindaco Zubbani affiancherà l’elaborazione di misure concrete che diano una prospettiva positiva al resto delle masse popolari. Chi pensa che per iniziare a fare una cosa simile occorra essere in tanti si sbaglia: l’aspetto principale è che occorre essere decisi e avere un certo grado di autorevolezza (cosa abbastanza semplice, data l’assoluta o crescente sfiducia nelle autorità della Repubblica Pontificia, sindaci compresi) e un certo grado di organizzazione: due caratteristiche che molti movimenti popolari hanno già, se le sono conquistate e le consolidano attraverso le lotte.
La Milano dell’Expo e della mafia (e di Pisapia) in sintesi. Chi amministra Milano? Pisapia? Pisapia si è ritagliato un posticino, a fatica, dimostrando prima di essere ben disposto a reggere il sacco e a fare il palo per le speculazioni dell’Expo (se il comune si fosse sottratto tutta la “bolla” sarebbe scoppiata da tempo e se anziché elemosinare il permesso di sforare il Patto di Stabilità per avere i soldi per le opere lo avesse sforato unilateralmente per fare fronte alle emergenze vere che la crisi impone, avrebbe pure contribuito a mandare a casa la cricca di Maroni), poi leccando le scarpe a Renzi e al suo “nuovo PD”, infine si è accodato ai peggiori funzionari della Repubblica Pontificia (uno su tutti, il Prefetto Tronca) e ha assunto nei confronti della cricca reazionaria e mafiosa della Regione quel tipico atteggiamento dei ladri di Pisa, quelli che di giorno litigano e la notte vanno poi a rubare insieme. Quindi, chi amministra Milano? Chi sceglie quali sono le priorità, come si interviene, affermando quali interessi? E’ chiaro: la cricca dell’Expo ha preteso tanti soldi (dai privati, dal governo, dalla Regione e dal Comune) per fare opere inutili e dannose, il sindaco ha messo la testa sotto la sabbia fino alla nona esondazione del Seveso nel 2014, dopo la quale, timidamente, inizia a suggerire che i più di 40milioni di euro destinati alle opere inutili e dannose come le vie d’acqua potrebbero essere utilizzati per rimettere in sicurezza il Seveso (ma perché non le ha fatte queste opere di messa in sicurezza in questi anni?). Meno timidamente Pisapia si è posto di fronte all’infame gestione di ALER (un buco di centinaia di milioni di euro, migliaia di appartamenti lasciati vuoti e in mano al racket di mafiosi, ecc.): di fronte all’evidenza e all’impunità l’Amministrazione Comunale ha preso l’iniziativa di non rinnovare la convenzione con ALER per la gestione del patrimonio immobiliare del Comune. Uno “strappo coraggioso e necessario” dicono in Comune, ma il prezzo di questo salto nel buio lo vediamo in questi giorni e vediamo anche chi lo paga: il prefetto chiama a raccolta ALER (il cui Commissario è Lombardi, già Prefetto che dichiarò che in Lombardia la mafia non esiste…), Regione e Comune di Milano per illustrare il piano di ripristino della legalità: centinaia di sfratti e di sgomberi, una dichiarazione di guerra contro le masse popolari. Sotto la copertura di questa loro legalità convivono varie necessità e sperimentazioni: i tentativi delle fazioni della destra reazionaria (fascisti, razzisti e mafiosi: la nuova santa alleanza di Salvini&C) di fare una campagna elettorale che specula sul degrado di interi quartieri, sulla precarietà e sulla miseria degli italiani (che hanno il diritto di voto) contro gli immigrati, i tentativi di “bonificare” qualche appartamento vivibile da mettere nel pacchetto delle grandi svendite (privatizzazioni) del patrimonio immobiliare pubblico per fare cassa, il tentativo di dare un messaggio a livello nazionale a quanto esiste di organizzato, combattivo e solidale nel movimento popolare: la lotta per la casa diventa una guerra (repressione, arresti, prigionieri, feriti).
Da una parte il Seveso che esonda e l’Expo che preme, dall’altra una amministrazione che si lascia commissariare nella sostanza e permette mano libera a cosche, cupole e gabinetti prefettizi [leggi il testo del piano operativo, guarda chi governa Milano].
La Roma di Tor Sapienza (e di Marino) in sintesi. Per Marino la questione è un po’ diversa rispetto a Pisapia. Intanto la sua elezione non è stata sostenuta dallo stesso grado di partecipazione e mobilitazione dal basso di comitati popolari. Poi Marino era uno uomo del PD, più di Pisapia, appartenenza che lo ha direttamente sottoposto alle oscillazioni provocate dalla guerra interna fra Renzi e i nipotini dei revisionisti e infine Marino doveva amministrare la città che più di tutte costituisce il verminaio di clientele, favori, relazioni della Corte Pontifica. Benchè non abbia brillato per aver assunto iniziative apertamente favorevoli alle masse popolari (anzi ha ceduto a mille e una pressione di cricche, lobby, correnti, cordate) il governo Renzi/Berlusconi lo ha messo sulla graticola fin dai tempi del decreto Salva Roma e delle inaspettate posizioni che il sindaco ha assunto di fronte allo scarica barile sulla situazione del bilancio del comune. Una iniziativa di rottura l’ha presa con il riconoscimento eclatante dell’unione gay: questo l’ha messo in contrasto aperto verso il sistema di potere della Repubblica Pontificia (Vaticano, CEI, ecc.). Che il sindaco della Capitale della Repubblica Pontificia si metta a fare i capricci è per il governo Renzi/Berlusconi un fastidio particolare: non si tratta del sindaco di un comune minore, sperduto in qualche provincia, se non collabora (o se non si limita a dire anche solo sì e basta) si complicano le cose: il Salva-italia, ma soprattutto lo Sblocca-Italia (che a proposito, l’Amministrazione di Napoli ha impugnato legalmente) sono a rischio. Quindi, lungi Marino dall’essere un riferimento per il movimento popolare di questo paese, è scomodo. E’ scomodo a una parte dei vertici della Repubblica Pontificia, ma è scomodo anche alle masse popolari di Roma, come Pisapia chiude gli occhi di fronte alla situazione di emergenza prodotta dagli effetti della crisi e dalla loro gestione delle città e si lascia intrappolare dalle beghe di palazzo (ad esempio il caso delle multe per la sua auto in divieto di sosta: “l’ho pagata anche se non dovevo”). Ma se un sindaco come Marino non amministra una città come Roma, più precisamente se un sindaco come Marino non prende il coraggio di affidarsi ai vasti, articolati, organizzati movimenti popolari della capitale che resistono agli effetti della crisi, rimane triturato fra i diktat delle autorità dalla Repubblica Pontificia e le esuberanti, infami e odiose manovre della destra reazionaria. L’esito delle sommosse razziste a Tor Sapienza (tutto, tranne che una spontanea manifestazione contro il degrado della periferia), la deportazioni di rifugiati in altre strutture, il tavolo di dialogo con i “cittadini” in rivolta, è una porta che si apre a chi ha soffiato sul fuoco, ha speculato sul disagio (perchè quello c’è, è vero) e non calma e non calmerà le acque, le agiterà ancora di più (si moltiplicano i comitati di cittadini che alimentano la guerra fra poveri). Con la sua ottusa convinzione che il rispetto delle regole democratiche e il buon governo (?) siano adeguati a governare Roma e il Paese in tempi di guerra, Marino sta regalando la città alla destra reazionaria.
Arrivati a questo punto sono evidenti tre cose.
La prima è che parlare a Pisapia e Marino non serve a niente. Hanno avuto, ognuno, mille e una occasione per smarcarsi dal carrozzone della speculazione, per smetterla di reggere il sacco e fare il palo, per non essere complici della guerra contro i poveri e le masse popolari ma non l’hanno fatto. Da loro non ci si può aspettare niente. Detto in altri termini: rivendicare a loro diritti, servizi, un governo meno infame delle città non serve a niente; bisogna obbligarli con argomenti e con metodi più che convincenti (con le buone o con le cattive).
La seconda è che se le organizzazioni popolari e le organizzazioni operaie, se la parte organizzata delle masse popolari non interviene in modo coordinato, sinergico, le Amministrazioni Comunali di Milano e di Roma saranno sempre più pienamente coinvolte nella guerra contro i poveri e contro le masse popolari (cioè ne diventeranno strumenti in mano a Prefetti o altre autorità della Repubblica Pontificia) e saranno laboratori di ricomposizione politica per la destra reazionaria (solo uno sciocco può credere che sia un caso che sempre la Lega aspira a sfondare sia a Milano che a Roma, con una geometria di alleanze variabili fondate sul nazionalismo, il populismo e la guerra fra poveri).
La terza è che nel marasma generale, nessuno deve convincere nessuno a fare quello che dovrebbe fare e non fa: basta iniziare.
Iniziare da dove? Sembra semplicistico portare l’esempio di Carrara e rapportarlo a situazioni come Milano o Roma, è evidente che sono contesti e condizioni molto differenti. Va considerato che nelle condizioni diverse, però, ci sta non solo il fatto che “il Comune è più piccolo”, “è tutto più circoscritto”, “è più facile”… ma anche che il movimento popolare di Carrara è rapportato, numericamente, a quel contesto. La qualità nuova è che a Carrara le masse popolari sono passate dalla protesta e dalla rivendicazione alla condizione di voler governare loro. Ci riusciranno? Dipende da loro e da quanto sostegno ed emulazione trovano dal resto del paese.
Sia che ci riescano e sia che non ci riescano mettono comunque al centro che la questione del governo delle città e la salvaguardia del territorio e dell’ambiente è un problema strettamente connesso al governo del paese, che la soluzione è in mano alle masse popolari organizzate, sono loro che devono costruire un governo di emergenza popolare (il GBP) e Amministrazioni locali di emergenza.
Si tratta, quindi di iniziare a battere sull’anello debole della catena infame che lega governo centrale e amministrazioni locali.
A Milano per rompere la catena infame che lega Prefettura, Regione, ALER e Comune bisogna battere sul comune di Milano, è l’anello debole della catena. I tentennamenti di Pisapia, che finiscono sempre per schierare il Comune al carro dei “poteri forti” è la breccia attraverso cui possono aprirsi la strada le fazioni della destra reazionaria e del governo centrale, ma possono aprirsela anche le organizzazioni operaie e popolari e le loro nuove autorità dal basso. E’ l’operato del comune di Milano che ha voce in capitolo, determinante, su che fine devono fare i soldi stanziati per le vie d’acqua e su come può essere gestita l’emergenza abitativa. Ma anche su molto altro, prima di tutto come operare per difendere i posti di lavoro esistenti e per crearne di nuovi (sembra una banalità, ma decidere unilateralmente che le ristrutturazioni delle case popolari non debbano passare per appalto alle aziende del sistema mafioso di CL a beneficio dell’autorecupero o della costruzione di un consorzio formato ad hoc con il sostegno delle forze sane dei sindacati cittadini significa concretamente garantire alcune centinaia, se non migliaia, posti di lavoro; così come la messa in sicurezza di Seveso e Lambro: basta aspettare permessi e concertare soluzioni, iniziare!). Il movimento NO Expo e il movimento di lotta per la casa, che si guardano da lontano e a volte si intrecciano, non possono che “fare come a Carrara”: superare la rivendicazione e occuparsi (e occupare) del Comune.
A Roma per rompere la catena infame che lega Prefettura, Ministeri, uffici cardinalizi e Comune bisogna battere sul Comune, è l’anello debole della catena. Il democraticismo di Marino è il meccanismo attraverso cui l’amministrazione accumula macerie sulle spalle e sulla pelle delle masse popolari e finisce con il coprire fatti e misfatti della corte pontificia (con il suo buono stuolo di fascisti in doppio petto). La rete capillare che va di quartiere in quartiere, la rete dei movimenti di lotta per la casa, la rete di disoccupati e precari deve “fare come Carrara” e occuparsi (e occupare) i municipi e il Comune, approfittare del vuoto di potere, delle assenze, dei ritardi, dei tentennamenti per occupare lo spazio politico, di governo, sbarrare la strada ai fascisti e iniziare a dare risposte, misure concrete, alle masse popolari.
Il fronte della amministrazioni comunali, a partire da Roma e da Milano, è un fronte in cui si decide l’orientamento del paese. O Amministrazioni che funzionano come tentacoli del governo centrale o amministrazioni comunali di emergenza che si strutturano sulla base di quanto e come le masse popolari organizzate diventano nuove autorità, organismi di una nuova governabilità dal basso dei territori.
Le condizioni materiali sono favorevoli, mettiamo nel ragionamento l’esperienza di Napoli e del siluramento di De Magistris: è bastato che lui si mettesse di traverso (“farò il sindaco di strada”) per avviare due tendenze parallele: da una parte gruppi di cittadini, associazioni, lavoratori, disoccupati lo hanno preso alla lettera e hanno iniziato, anche se ancora molto timidamente, a “metterlo a lavorare” (adesso vediamo se farà tesoro di questa esperienza valorizzando la mappatura che ha potuto fare di persona sulle tante spinte sane di cui le masse popolari di Napoli sono protagoniste), dall’altra ha costretto i vertici della Repubblica Pontificia (Governo, Prefetto, Presidente del Senato) a fare un passo indietro, a ingoiare il rospo che il TAR lo abbia riabilitato. Ciò dimostra che ai piani alti del paese, in ogni regione, in ogni provincia, in ogni comune regna il caos. Ciò dimostra che di questo caos le masse popolari possono trarre vantaggio.
Le organizzazioni popolari napoletane hanno un terreno favorevole su cui far leva in questi settimane, altrimenti si ripeterà il “passata la festa, gabbato lo santo”.
Le condizioni oggettive sono tali che se il movimento popolare inizia, si porta dietro prima di tutto quanto c’è di sano sul territorio (e Carrara lo dimostra) e via via si porta dietro (e può mettere a contribuzione) anche ciò che fino ad oggi temporeggiava.
Leggi anche:
Fuori Zubbani: costruiamo a Carrara un’Amministrazione comunale di emergenza (comunicato della Segreteria Federale Toscana del P.CARC)
Governo – Enti locali: prove di disobbedienza (Resistenza n. 11/12 – 2014)