Dobbiamo fare come gli operai fecero in Russia

97 anni fa, la rivoluzione russa aprì le porte al futuro dell’umanità
Altro che padroni, ricchi, privilegiati: un lavoro utile e dignitoso per tutti, chi non lavora non mangia!

Incalzati dalla crisi generale del loro sistema, in Italia e nel mondo la borghesia imperialista e il clero stanno distruggendo le conquiste di civiltà e di benessere che le masse popolari avevano strappato nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria messa in moto dalla Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, quasi cento anni fa.
Cento anni sono tanti per chi ne vive in media 80 o giù di lì, è più di una vita intera. Ma nella storia delle generazioni degli uomini sono pochi e sono una briciola a confronto con la storia dell’umanità, lunga migliaia di anni. Cento anni nella storia dell’umanità equivalgono grossomodo ad alcune settimane di vita nella storia di un essere umano. A nessuno, eccezion fatta per gli oltranzisti cattolici che credono nel peccato originale, verrebbe in mente di giudicare l’esistenza di un essere umano per quanto ha fatto nelle prime settimane di vita.
Eppure di fronte a ciò che è stato il movimento comunista per la storia dell’umanità, l’atteggiamento che va per la maggiore nella cultura dominante è quello di considerare il movimento comunista, a soli 166 anni dalla sua nascita (è nel 1848 che Marx ed Engels pubblicarono il Manifesto del partito comunista), come se fosse qualcosa di vecchio e retrivo, superato dai tempi: un fallimento seppellito dalla storia per i denigratori e una utopia di altri tempi, fallita e irrealizzabile, per i suoi estimatori. In verità quei 166 anni equivalgono per la storia dell’umanità alle poche settimane di vita di un neonato che si affaccia al mondo. Giudicare la sua esistenza principalmente sulla base di quelle poche settimane di vita non solo è poco serio, ma è ridicolo. Ugualmente lo è giudicare il movimento comunista sulla base del suo momentaneo arretramento. Che lo facciano gli scribacchini e gli opinionisti della classe dominante è per certi versi normale: loro già dichiaravano morto il comunismo prima della Rivoluzione d’Ottobre, di fronte alla repressione della Comune di Parigi. Il loro era il sospiro di sollievo per lo “scampato pericolo” e propaganda di guerra per sradicare nei proletari l’ambizione di scalzare lo stato borghese e costruire uno stato di nuovo tipo. Che il comunismo sia considerato oggi vecchio, stantio, irrealizzabile da una parte di operai, lavoratori, giovani e donne delle masse popolari è il frutto dell’influenza della propaganda della classe dominante e della debolezza attuale del movimento comunista.  

Introduciamo questo numero di Resistenza partendo dall’anniversario, 97 anni, della vittoria della Rivoluzione d’Ottobre, la rivoluzione russa, la rivoluzione sovietica. Senza nostalgie e senza retorica, senza celebrazioni e con una certezza: stiamo parlando del nuovo, del futuro, del possibile, del necessario. Stiamo parlando di qualcosa che non solo interessa oggi i milioni che per vivere devono lavorare, ma di qualcosa che 100 anni fa li ha elevati a protagonisti della storia, li ha spinti a squarciare i limiti della società per come era data fino a quel punto dello sviluppo umano e a scorgere il futuro possibile. Più precisamente, a scorgere il futuro. Illuso, oggi, non è chi quel futuro lo indica e dedica la vita per costruirlo, illuso è chi crede che gli uomini possano regolare la propria vita, ogni aspetto della propria vita secondo le leggi e le abitudini proprie del capitalismo: ogni azienda deve dare profitti altrimenti chiude; ogni attività, ogni produzione di beni, ogni servizio si inizia con un investimento di denaro, solo se ci sono prospettive che sia redditizio di denaro e dura finché rende denaro; ogni prodotto e servizio è una merce, è fatto per essere venduto; la forza lavoro stessa è una merce. Che siano le questioni economiche, lavorative, famigliari, le relazioni personali e affettive, che sia il rapporto fra individuo e società, che siano le relazioni fra individui e gruppi sociali, l’esistenza della bottega sotto casa, il rispetto dei diritti universali o il programma scolastico dei figli… tutto è travolto dal movimento della società che sta cambiando: o quel movimento riprende la marcia in avanti (va verso uno stato superiore) o va verso una regressione, un imbarbarimento. Di fronte a questo bivio la contrapposizione fra vecchio e nuovo, fra passato e futuro, fra morto e sepolto e florido e radioso è la contrapposizione di ogni aspetto della vostra, della nostra vita. Il salto nel buio non è il salto in avanti. Ma la caduta verticale, della terra che manca sotto i piedi, di chi pensa che si possa tornare indietro, a quando le cose “andavano meglio” e la situazione e il paese erano “normali”. O che il nuovo di cui c’è bisogno possa essere quello che Renzi twitta a destra e a manca. Il “nuovo” che la borghesia propone e può proporre alle masse popolari è il ritorno al vecchio peggiorato: in una situazione che è cambiata, infatti, gli istituti del passato che la borghesia cerca di restaurare sono ancora più distruttivi di quanto lo fossero in passato. Il ritorno alla libertà di licenziare ad arbitrio e al lavoro precario, ad esempio, però in una situazione in cui non esiste quasi più l’economia di sussistenza, di vicinato, ecc. con cui arrangiarsi e compensare.

“Il comunismo è roba del passato, adesso il mondo è tutto diverso”. E’ vero, oggi il mondo è molto diverso da quello di cento anni fa. Però sono ancora i padroni che comandano, che dirigono la società e quindi anche la nostra vita, perché le aziende, le banche, le autostrade, le reti telefoniche, le ferrovie, ecc. sono dei capitalisti e funzionano se e quando i capitalisti ne ricavano profitti, perché viviamo ancora in un ordinamento sociale borghese: questo non è cambiato. Ed è questo che ci sta mandando in rovina.

“L’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti sono crollati, lì la gente sta peggio di noi”. E’ vero, ma perché una parte dei comunisti e dei lavoratori non sapevano come avanzare oltre il punto in cui erano arrivati e hanno fatto degli errori: il risultato è che i partiti comunisti, gli organismi statali e produttivi sono stati presi in mano da chi sosteneva che l’importante non era sviluppare e rafforzare sempre più la direzione dei lavoratori e delle masse in ogni campo, ma solo produrre di più e meglio, diventare una grande potenza, più forte dei paesi imperialisti. Lì sono iniziati i guai per le masse dei paesi socialisti, è così che i borghesi vecchi e nuovi hanno ripreso via via potere e libertà, è così che hanno iniziato a restaurare gradualmente il capitalismo. E gli orrori sono arrivati quando i criminali e i nuovi zar alla Eltsin e alla Putin, degni compari dei potenti nostrani e del mondo, hanno iniziato a imporre su grande scala e con ogni mezzo le “delizie” del capitalismo. La lezione è che dobbiamo imparare dai nostri errori per fare meglio, per andare più avanti! E’ il modo in cui gli uomini sono passati dalle caverne a viaggiare nello spazio: se di fronte ai fallimenti dei primi tentativi di fondere i metalli avessimo concluso che era impossibile usare il metallo saremmo ancora all’età della pietra. E’ il modo in cui arriveremo anche a mettere fine una volta per tutte allo sfruttamento economico, all’oppressione politica e all’arretratezza culturale!

“La Rivoluzione d’Ottobre è roba di cento anni fa e di un paese arretrato, noi siamo in un paese sviluppato”. Cento anni fa in Russia le masse hanno dovuto costruire scuole, ospedali, fabbriche, strade, ferrovie, reti elettriche perché erano in un paese arretrato: sono riuscite a farlo proprio perché erano i lavoratori e le masse a comandare. Noi oggi queste cose ce le abbiamo già, non dobbiamo costruirle. Ma dobbiamo farle funzionare come va bene a noi, in modo che servano alle nostre esigenze, ai nostri interessi, alla salvaguardia dell’ambiente anziché per il profitto di padroni, speculatori e parassiti: questo vuol dire da noi instaurare il socialismo!

La Rivoluzione d’Ottobre, i “dieci giorni che sconvolsero il mondo”, è stata la fase conclusiva di un percorso durato decine di anni: la rivoluzione socialista non scoppia, sono i comunisti che la costruiscono con una serie di operazioni concatenate, iniziative, formazione ed educazione, organizzando la classe operaia, costruendo il nuovo potere attorno al partito comunista, guidando la classe operaia e le masse popolari ad assumere la direzione di parti crescenti della società che il potere zarista non controllava più (costruzione, consolidamento ed evoluzione dei Soviet, dei Consigli). Questo è un primo insegnamento che non ha nulla a che vedere con le questioni astratte e accademiche: dire “rivoluzione qui e ora” significa prima di tutto dire come la si costruisce, quali sono i passi concreti per costruirla, quali le tappe essenziali per avanzare in quella direzione.

La produzione di beni e servizi. La Rivoluzione d’Ottobre è stata l’avvio di quel percorso di transizione dal capitalismo al comunismo, quel percorso di costruzione del socialismo, il cui punto centrale e fondamentale era il passaggio (nelle forme e con i tempi adeguati alle condizioni concrete) dalla produzione fatta in aziende capitaliste e in piccole aziende individuali e familiari alla produzione fatta in agenzie pubbliche che lavorano secondo un piano stabilito e approvato dalle masse popolari organizzate secondo procedure e tramite istituzioni create a questo scopo. Questo è il nucleo: le forme e i contenuti della produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza. Cosa si produce, come, perché, come si distribuiscono i prodotti e con quali criteri.

La partecipazione alla gestione della società. L’inizio della costruzione del socialismo in Russia è stata la prima, così vasta e radicale, sperimentazione di partecipazione della massa della popolazione alle attività specificamente umane, in particolare alla gestione, alla direzione e alla progettazione della vita sociale, delle relazioni che compongono gli individui in società. La partecipazione popolare alla costruzione di un ordine nuovo non fu (e non sarà) spontanea e naturale: il motore del processo furono quella parte della classe operaia e delle masse popolari organizzate nel partito comunista, quelli che il percorso di trasformazione lo hanno ideato, pensato, costruito e si sono trasformati essi stessi, collettivamente e individualmente, mentre trasformavano la società, per essere adeguati ad assumere il ruolo di dirigenti del processo. In seconda battuta, la partecipazione alla costruzione del socialismo si è allargata a quei settori delle masse popolari che erano rimasti principalmente passivi di fronte alla rivoluzione: il movimento comunista li ha mobilitati, diretti, sono diventati essi stessi parte del processo, oggetto e soggetto del processo di costruzione della società nuova. Parliamo della maggioranza della popolazione, di milioni di persone (i “senza partito” come li definisce Lenin). La terza parte della società era composta da chi si opponeva strenuamente alla costruzione del socialismo. Una componente di essa è stata educata (anche attraverso quegli strumenti che tanto vengono condannati da chi concepisce “pene esemplari” per i ladri di galline nel capitalismo: i campi di lavoro). Un’altra componente, minoritaria, ma agguerrita, irriducibile, sabotatrice e mercenaria è stata combattuta, repressa. Chi si concentra sulle sorti di questa ultima parte rientra a pieno titolo fra i denigratori del movimento comunista, fissa il dito, sbraita, ma non vede o non vuol vedere la luna: milioni di persone, alla scuola del movimento comunista, hanno imparato a gestire collettivamente un paese, a costruire una società, a dirigerla. Sono diventati, a ondate di coscienza collettiva, dirigenti di se stessi e della loro vita associata.
In questo modo, pur semplificando estremamente il discorso, la parola rivoluzione si riempie di significati. Si riempie di significati per quei milioni di persone che per vivere devono lavorare e che da sottomessi, ricattati, umiliati, sempre più precari, sempre più spremuti, sempre più bestie da soma diventano la classe dirigente del paese. Si riempie di significati per i giovani, che da “malati anagrafici” (la borghesia ha ridotto la confusione degli adolescenti, alle prese con la sopravvivenza in una società di merda a una malattia psicologica generazionale, il “mistero” dell’adolescenza) diventano protagonisti della costruzione della società, da appendici disadattate diventano l’ossigeno che rinnova e spinge il mondo a progredire ancora. Si riempie di significato per le donne che da animali da procreazione o da piacere sessuale diventano esseri umani che decidono di loro e degli altri, collettivamente. Si riempie di significati per gli anziani che non devono arrivare agli ultimi giorni della loro vita sentendosi un peso morto, un’escrescenza inutile, un esubero che ruba cibo, spazio, aria e acqua a chi ha forza e lucidità per continuare a lavorare ed essere sfruttato.
Potremmo fare un elenco di quelle che sono state le conquiste dirette, concrete, “spicce” delle masse popolari russe che avanzavano nella costruzione del socialismo. Ma la comprensione che la società borghese deve lasciare il posto alla società socialista non deriva dalle conquiste realizzate in Unione Sovietica e negli altri paesi socialisti. Per dirla con Lenin, il socialismo è la trasformazione della società capitalista secondo la linea di sviluppo che le è propria. Detto più terra terra, le relazioni pratiche che già ci sono, funzionerebbero meglio, con meno problemi, con migliori risultati, senza gli inconvenienti che ora presentano, con una proprietà pubblica di un potere basato su organizzazioni di lavoratori e di masse popolari.

La costruzione del socialismo in un paese imperialista è necessaria. “Il socialismo è inconcepibile senza la tecnica del grande capitalismo, costruita secondo l’ultima parola della scienza moderna, senza una organizzazione statale pianificata, che subordina decine di milioni di persone all’osservanza più rigorosa di un’unica norma nella produzione e nella distribuzione dei prodotti. Noi marxisti questo lo abbiamo sempre detto; ma con gente che non ha capito neppure questo (gli anarchici e una buona metà dei socialisti-rivoluzionari di sinistra) è inutile perdere nemmeno due secondi a discutere.

Il socialismo è egualmente inconcepibile senza il dominio del proletariato nello Stato: anche questo è elementare. E la storia (dalla quale nessuno, tranne forse gli alti papaveri menscevichi, si attendeva che senza intoppi, in tutta tranquillità, ci desse facilmente e semplicemente il socialismo “bell’e fatto”) ha seguito un cammino così originale che ha generato nel 1918 le due metà separate del socialismo, l’una accanto all’altra, proprio come due futuri pulcini sotto l’unica chioccia dell’imperialismo internazionale. La Germania e la Russia incarnano nel 1918, nel modo più evidente, la realizzazione materiale, da una parte, delle condizioni economiche, produttive e sociali, e dall’altra, delle condizioni politiche del socialismo.

Una rivoluzione proletaria vittoriosa in Germania spezzerebbe subito, con enorme facilità, il guscio dell’imperialismo (fatto, purtroppo, del migliore acciaio e perciò capace di resistere agli sforzi di un pulcino qualsiasi), assicurerebbe senz’altro, senza difficoltà oppure con difficoltà insignificanti, la vittoria del socialismo a livello mondiale, a condizione naturalmente che la misura delle “difficoltà” sia presa su scala storica mondiale e non secondo il criterio di un gruppetto di benpensanti”. Lenin – Sull’imposta in natura – maggio 1921. Opere vol. 32 – pagg. 309 – 344

Fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Le condizioni materiali spingono tutte verso questa trasformazione.
La rete di relazioni industriali che copre l’intero paese (e gran parte del mondo), funziona ormai principalmente, se non esclusivamente, sulla base di conoscenze, esperienze e professionalità dei lavoratori. I padroni non solo non sono necessari, ma il profitto individuale è il principale freno allo sviluppo dell’umanità.
La stessa rete garantisce non solo un livello di produzione di beni e servizi adeguato a soddisfare le esigenze e i bisogni della popolazione, ma ne permette una sovrapproduzione, al punto che molti prodotti devono essere distrutti per non saturare il mercato rispetto alla domanda (ricordi le arance del sud Italia distrutte dai trattori? Conosci i parcheggi immensi di automobili invendute e invendibili per non abbattere i prezzi sul mercato? Ricordi le leggi europee che regolavano la produzione di latte e che si estendono a ogni tipo di produzione agroalimentare?).
Nei campi in cui la rete di relazioni industriali non garantisce una produzione di beni e servizi quantitativamente sufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione, esistono conoscenze scientifiche e tecniche per svilupparla, l’unico vero impedimento è il fatto che tale sviluppo, oggi, non è conveniente per i padroni (l’utilizzo di energie alternative, ad esempio, o le scoperte mediche che già potrebbero guarire malattie che invece vengono non solo tollerate, ma alimentate dai padroni delle industrie farmaceutiche).
A ciò dobbiamo aggiungere un elemento: nel periodo in cui il movimento comunista internazionale era forte ed era forte anche quello italiano (benché già sotto la direzione dei revisionisti e dei riformisti), nel periodo del capitalismo dal volto umano, sulla spinta dell’organizzazione e della mobilitazione, le masse popolari imposero ai capitalisti misure e conquiste di civiltà e benessere. Per smussare la conflittualità, i capitalisti furono disposti (costretti) a introdurre istituti che funzionavano contro le leggi della società capitalista: servizi pubblici e il complesso dello stato sociale rientrano tutti in questa sfera. Oggi la crisi generale impone ai capitalisti di riprendersi quello che gli abbiamo strappato, complice la debolezza del movimento comunista e il collaborazionismo delle grandi organizzazioni sindacali. Il processo che ne consegue ha a che vedere per certi aspetti con il peggioramento generale delle condizioni di vita di milioni di persone, per altri aspetti ha a che vedere con l’impossibilità di governare il paese per come si era sviluppato dal dopoguerra ad oggi. Un esempio di ciò è il Sistema Sanitario Nazionale: la trasformazione della sanità in merce (in un servizio che deve generare profitto) non peggiora solo le condizioni di vita delle masse popolari che non possono pagarsela, ma mina la convivenza sociale, la salute pubblica, la coesistenza dell’intera società. Se questo ragionamento lo estendiamo ai campi che i capitalisti stanno saccheggiando (privatizzazioni, liberalizzazioni) è evidente che insieme alle condizioni di vita e di lavoro della maggioranza della popolazione, i capitalisti stanno mandando all’aria il funzionamento del paese che pretendono di governare, stanno sgretolando la società che pretendono di dirigere.

Il potere in mano alle masse popolari organizzate. Come nella Russia le condizioni politiche (la vittoria della rivoluzione e l’instaurazione della dittatura del proletariato) hanno permesso di riorganizzare in una forma nuova la produzione e la distribuzione di beni e servizi (in un paese arretrato, martoriato dalla guerra, dai sabotaggi, la produzione di beni e servizi è stata messa al servizio della collettività anziché al servizio del profitto dei capitalisti), allo stesso modo oggi in Italia (un paese altamente industrializzato, inserito a pieno titolo nei circuiti del capitalismo mondiale) la produzione di beni e servizi può e deve essere riorganizzata in forme superiori. Il centro della questione è il potere in mano alle masse popolari organizzate e in primo luogo alla classe operaia organizzata attorno al partito comunista.
Attorno a questo centro si sviluppano i ragionamenti (la tattica, la strategia, la politica rivoluzionaria) per definire i passi concreti per costruire il socialismo nel nostro paese, alle specifiche condizioni storiche, economiche, sociali e alle condizioni morali e intellettuali del complesso delle masse popolari italiane. Ecco: che c’è di vecchio, superato e stantio, se non le forze della conservazione, la loro morale decadente e la loro cultura primitiva?

Questo numero di Resistenza è rivolto principalmente a chi, leggendo fino a qua, ritrova in ciò che abbiamo scritto sia l’entusiasmo per ciò che il movimento comunista è stato capace di costruire con il coraggio, la generosità e la creatività di milioni di uomini e donne che hanno dato alla storia una spinta da cui non si torna più indietro, hanno aperto la via al futuro, sia la consapevolezza che tante sono le cose che i comunisti devono imparare a fare. Proveremo a entrare nel concreto, soprattutto, di cosa significa costruire la rivoluzione socialista in Italia, consapevoli di quanta strada, quanta esperienza dobbiamo ancora fare e quanto abbiamo ancora da imparare. Siamo nel pieno dell’autunno caldo, sembra che l’inverno della barbarie del capitalismo non debba finire mai. Ma siamo consapevoli che il crollo dei primi paesi socialisti e la fase di restaurazione del capitalismo è una parentesi come lo è il lasso di tempo fra la rondine che non fa primavera e la primavera. Non basta non mollare mai. Dobbiamo vincere, vogliamo farlo.

Per approfondire

Lavoratori di Magnitogorsk (Urali) – In un anno e mezzo divenne una città operaia di 180mila abitanti in cui il 60% dei lavoratori non aveva ancora raggiunto i 24 anni. Tredici scuole, un istituto tecnico e due facoltà universitarie per la specializzazione in ingegneria meccanica e in edilizia. Nel secondo anno di vita i pionieri di Magnitogorsk avevano già il loro teatro comunale e cinque o sei cinematografi. Deve la sua nascita agli sforzi congiunti dei lavoratori di tutta l’URSS: le giovani leve operaie introducevano nuovi sistemi produttivi, imparavano a ridurre i tempi di lavorazione sulla spinta dell’emulazione di quanto accadeva nel resto dell’Unione Sovietica.

Da L’era di Stalin di A. L. Strong – Pagg 138 – 10 euro.

Ordinalo con un versamento sul CC Postale n. 60973856 intestato a M. Maj via Tanaro 7 – 20128 Milano info: resistenza@carc.it / 02.26.30.64.54

Colonia Gorki, Istituto per la rieducazione di minori responsabili di attività criminose

“Lo studio nella nostra scuola riusciva molto utile ai ragazzi e aveva approfondito notevolmente la loro maturità politica. Essi riconoscevano ormai con orgoglio di essere dei proletari e comprendevano alla perfezione la differenza tra il loro stato e quello dei giovani dei villaggi. L’intenso e spesso pesante lavoro agricolo non impediva loro di convincersi che in futuro li attendeva un’attività diversa” (…)

“Forse la differenza principale tra il nostro sistema di educazione e quello borghese consiste nel fatto che da noi un collettivo di ragazzi deve necessariamente crescere e arricchirsi, vedere davanti a sé un domani migliore e avanzare verso di esso in un gioioso sforzo comune, in un sogno tenace e allegro. Forse proprio in questo consiste la vera dialettica pedagogica”.

Da Poema pedagogico di A. S. Makarenko

Vol. 1 pagg 360 – 12 euro

Vol. 2 pagg 296 – 12 euro

Ordinalo con un versamento sul CC Postale n. 60973856 intestato a M. Maj via Tanaro 7 – 20128 Milano info: resistenza@carc.it / 02.26.30.64.54

 

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