Fermare EXPO 2015
La lotta contro Expo 2015 va avanti da tanti anni, quanti sono quelli dall’annuncio che l’Esposizione Universale si sarebbe tenuta a Milano. Ma ha dato pochi risultati concreti: cioè non è diventata una mobilitazione di massa, non è stata capace di essere la forza che rallentava i lavori (sono state invece molto efficaci le beghe fra speculatori e i colpi bassi della guerra per bande, le inchieste e gli arresti) e tanto meno è diventata il motivo per cui annullare l’evento (e bloccare la speculazione). In questo articolo non intendiamo né denigrare il ricco lavoro del Comitato NO EXPO (che è stato costante e, via via, sempre più puntuale), né limitarci a dire come e dove e cosa non ha funzionato. E’ pur vero che questa ricca e lunga esperienza deve essere sottoposta a bilancio, per due motivi. Il primo: è ancora possibile fermare lo scempio e, soprattutto, usare risorse e mezzi per fare fronte alla situazione di emergenza in cui gli effetti della crisi spingono milioni di persone. Ha davvero senso solo per chi crede sia normale regalare centinaia di milioni di euro ai soliti noti, continuare nella realizzazione di un evento inutile e dannoso. Il secondo è che il ragionamento generale fatto per il Comitato NO EXPO vale per altri movimenti, organismi, comitati popolari che si pongono l’obiettivo di costruire consenso e allargare la mobilitazione per avere risultati concreti (non vogliono quindi limitarsi a rimanere movimento di opinione).
Della speculazione di Expo e delle dinamiche del campo di chi lo promuove abbiamo già parlato nel numero 6/2014 (EXPO 2015: un monumento della crisi del capitalismo), qui ci concentriamo sull’orientamento che guida il Comitato NO EXPO e sulle potenzialità di sviluppo della mobilitazione, che recentemente ha preso nuovo vigore con la manifestazione svoltasi l’11 ottobre (che ha visto la partecipazione di molte realtà cittadine e anche nazionali) e un’assemblea pubblica nata per condividere esperienze e analisi e costruire le prossime tappe della mobilitazione.
La prendiamo alla larga, gli aspetti positivi del Comitato. A conclusione dell’assemblea del 12 ottobre è stato redatto un documento che riassume orientamento, linee di sviluppo, obiettivi e strumenti di chi vi ha partecipato. Sono molti gli aspetti positivi: la volontà di non portare avanti una lotta fatta di scadenze, ma costruita come concatenazione di tappe, ognuna trampolino di lancio per la successiva; una lotta che non sia solo contro il singolo evento di EXPO, ma si protragga nello spazio e nel tempo allo scopo di radicarsi, fino a diventare lotta contro il modello di società di cui EXPO è espressione e per un’alternativa; quindi anche una lotta che non sia solo locale, ma dove si faccia valere il legame col generale, con la situazione del paese, dell’Europa e del mondo. Scendendo più nel particolare, il Comitato si dà l’obiettivo che EXPO 2015 sia annullata e di mobilitare in questo senso una cerchia più ampia di persone.
Perché questo orientamento stenta a tradursi in pratica? E’ una questione di concezione (ideologica): fino a questo momento i promotori del NO EXPO non riconoscono il ruolo della classe operaia nelle mobilitazioni politiche e sociali, non si sono quindi mossi in questi anni con decisione e continuità (non ne hanno fatto un obiettivo) nell’ottica di unire la battaglia che promuovono a quella degli operai (e più in generale dei lavoratori) e non sono riusciti a far valere nella pratica quel legame fra EXPO 2015 e la perdita dei posti di lavoro, dei diritti, di una prospettiva di vita dignitosa, benché siano tutte manifestazioni di uno stesso capitalismo in crisi, in tutte viva la stessa lotta di classe.
Gli effetti di questo orientamento sono evidenti se si confronta, ad esempio, questa lotta con quella dei NO TAV, in cui hanno un ruolo dirigente anche pezzi di movimento guidati dalle concezioni medesime dei NO EXPO, ma dove la sostanza la fa la partecipazione popolare, che per la natura dei rapporti esistenti è determinata dalla partecipazione o almeno dallo schieramento della classe operaia (ad esempio la FIOM partecipa ai cortei e alle mobilitazioni NO TAV mentre non ha la stessa attenzione per la lotta contro EXPO). Ecco che risulta evidente anche quanto siano fragili e sbagliate le tesi secondo cui “a Milano la gente se ne frega” o “a Milano è più difficile che altrove”.
La verità è che il movimento NO EXPO non può crescere e avere seguito di massa, se nella maggioranza delle aziende (pubbliche e private), per coscienza loro o per ruolo dei sindacati di regime (e per la poca iniziativa di quelli di base, alternativi e combattivi), i lavoratori e gli operai sono abbandonati alla propaganda di regime: che EXPO sia un’opportunità o che produca posti di lavoro o che la cosa non li riguardi (cosa certamente falsa), se non sviluppano, al contrario, la coscienza che è loro interesse impedire quest’evento ed è interesse preminente indicare un’alternativa per come e dove usare i soldi destinati al malaffare, alla speculazione all’ingrasso di ricchi e padroni.
La lotta NO EXPO riguarda gli operai! EXPO è un campo della lotta di classe in cui si decide da che parte devono pendere, dove devono finire, come devono essere usate le immense risorse disponibili, i soldi, gli spazi, le strutture. In questo campo della lotta di classe, in modo determinante, la mobilitazione, la combattività, la capacità organizzativa, la tradizione di lotta e il ruolo stesso (politico, sociale) dei lavoratori e in particolare della classe operaia decidono.
Indicare l’alternativa realistica e praticabile. Senza la partecipazione cosciente alla mobilitazione di quei settori che “fanno girare il mondo” ogni proposta di alternativa possibile rimane aleatoria. Perché per creare l’alternativa a EXPO e al sistema di EXPO occorre che ad animarne l’alternativa ci sia chi può anche costruirla. E la questione del lavoro è, per certo, la questione principale su cui si combatte la battaglia fra speculazione e alternativa: lavoro precario e soprattutto “volontario”, gratuito (di cui EXPO è modello) o un lavoro utile e dignitoso per tutti?
Affidarsi alle promesse delle migliaia di posti di lavoro (che poi basta aspettare qualche mese per verificare che erano palle) o darsi i mezzi e gli strumenti necessari affinché sia impedita la distruzione dei posti di lavoro esistenti e se ne creino di nuovi, dignitosi, sicuri?
Chiedere, genericamente, che i soldi vengano spesi meglio o promuovere progetti (mobilitando tecnici, “esperti”, ecc.) e mobilitarsi per indicare come e dove quei soldi devono essere spesi?
Sono domande retoriche (e per qualcuno “idealiste”, magari), ma sono le domande attraverso cui ci si pone concretamente la questione di come sviluppare la mobilitazione operaia e popolare per annullare EXPO 2015 e costruire l’alternativa.
Alternativa, ok, ma quale? Arrivati a questo punto evitiamo di limitarci a indicare “cosa dovrebbero fare gli uni” (il movimento NO EXPO, rivolgersi alla classe operaia e ai lavoratori organizzati) e gli altri (gli operai e i lavoratori avanzati e organizzati, mobilitarsi contro EXPO) perché le cose sono, nel concreto, sempre più ricche e contraddittorie che nella teoria. Il fatto che le principali forze sindacali siano ufficialmente schierate a favore di EXPO o non siano schierate (che equivale a schierarsi), il fatto che il sindacalismo di base tratti la questione principalmente o solo in termini astratti e generali (come questione “di principio”, “di posizione”) apre il campo fra i lavoratori e anche nella classe operaia alla propaganda di regime. Cioè è normale che una larga fetta di essi si ponga la questione che “se davvero crea posti di lavoro”, “se davvero apre opportunità di lavoro per i miei figli”, ecc… La questione non è convincere qualcuno, la questione è portare le rivendicazioni, le aspirazioni e le aspettative di ciascuno in un contesto comune, un’analisi e una prospettiva che parta dalle condizioni di ognuno per diventare soluzione per tutti i settori delle masse popolari. E la questione, giriamoci intorno il meno possibile, è quella del governo (chi decide, in nome di chi e per quali interessi) del territorio e del paese.
Più si allarga l’orizzonte entro cui si sviluppa la lotta contro EXPO 2015 (ma vale per ogni lotta particolare, territoriale, da quelle grandi a quelle di quartiere) e più ampio è il raggio di referenti sensibilizzabili, attivabili, mobilitabili, che da “ascoltatori” di una denuncia possono diventare protagonisti di un percorso, costruttori di una alternativa.
Fermare EXPO è un obiettivo che sei anni fa era più realistico di oggi. Ma ancora è realistico, se non ci si limita a pretendere che a fermarlo sia chi lo promuove.