Madri nella crisi, dal tetto occupato della Mangiagalli di Milano: un posto di lavoro per tutte!

Abbiamo incontrato alcune lavoratrici che da giugno hanno occupato il tetto del Policlinico Mangiagalli a Milano, formando il comitato Madri nella Crisi: donne di età compresa tra i 45 e 60 anni, con figli e famiglie in certi casi monoreddito che dopo anni di servizio sono state licenziate.

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Come e perché è iniziata questa lotta?
Già da novembre sapevamo che l’appalto dell’agenzia interinale Orienta per cui lavoravamo era in scadenza. Poi dal primo marzo sono entrate nuove agenzie interinali, tra cui la Tempor e la ManPower.
Con la Tempor il contratto era a chiamata, ossia dovevamo principalmente coprire i buchi dei colleghi assenti e il contratto veniva fatto di mese in mese, in alcuni casi anche a giornata, con molte disparità tra noi. In pratica a fine mese arrivava la chiamata dell’agenzia per dirci se rinnovavano oppure no. Nel frattempo è iniziato un concorso che ha portato all’assunzione di altre lavoratrici e lavoratori, mentre noi che speravamo di essere regolarizzate dopo anni di precariato siamo state lasciate a casa. Alcuni di questi fra l’altro si sono già dimessi perché si lavora troppo, visto che insieme al concorso hanno fatto anche tagli al personale.

Che ruolo hanno avuto le organizzazioni sindacali? Eravate già organizzate sindacalmente?
Quasi tutte eravamo iscritte alla CGIL. I tre sindacati (CGIL-CISL-UIL) continuavano a dirci di stare tranquille che c’erano soluzioni per essere ricollocate e che erano in trattativa con la Tempor, ma la cosa puzzava di presa in giro. C’erano due ragazze che si erano autoproclamate delegate e che alla fine sono rimaste dentro a lavorare!! Ci dicevano che l’agenzia interinale sarebbe restata con 33 persone, con criteri di anzianità di servizio e monoreddito: quindi qualcuno era tranquillo e non pensava che sarebbe stato buttato fuori. Invece nella lista sono entrate solo quelle segnalate dalla CISL.
Poi continuavano a mandarne via e a metà maggio abbiamo capito che si doveva fare qualcosa. Abbiamo pensato di chiedere aiuto al movimento per fare una manifestazione fuori dal Policlinico, abbiamo così partecipato a un’assemblea dove abbiamo conosciuto l’USB. Allora abbiamo sparso la voce e organizzato la riunione il 24 maggio con l’USB, in cui abbiamo deciso di occupare il tetto.
Quel giorno ero in turno e continuavo a guardare per vedere se si vedevano le bandiere, se l’occupazione era stata fatta, quel giorno non sono riuscita a lavorare, continuavo ad affacciarmi alla finestra rivolta al tetto. Quando una delegazione è salita a occupare, i guardiani hanno chiuso e incatenato i cancelli: era il 30 giugno.

Con l’occupazione prima della Regione e poi di piazza della Scala davanti a palazzo Marino avete portato la lotta in città e nei luoghi delle istituzioni, avete fatto valere che la difesa dei posti di lavoro è una questione politica…
Se il datore di lavoro non fa nulla bisogna andare dalle istituzioni e noi che eravamo nel pubblico a maggior ragione.
Il 3 luglio abbiamo occupato l’EXPO Gate di Piazza Castello, poi in Regione Lombardia, il Pirellone, per attirare l’attenzione mediatica sulla nostra questione. Poi abbiamo occupato Piazza della Scala, siamo andate dall’Arcivescovo dove ci ha accolto il segretario della Pastorale. Abbiamo scritto all’Arcivescovo, a Dario Fo, al Papa e al Prefetto di Milano: la Pastorale ci ha risposto e anche il Prefetto.
In Regione abbiamo fatto una notte in tenda perché volevamo parlare con Mantovani (l’assessore regionale alla sanità). Invece si è attivato uno dell’Arifl (l’agenzia regionale che si occupa delle situazioni di crisi): ci ha detto che avrebbe trovato lui una soluzione, di non fare casino e avere pazienza, altrimenti si sarebbe creato il caso e tutti i tetti sarebbero stati occupati. È evidente che, invece, per noi è importante farsi sentire.
Siamo state alla Tempor e abbiamo bloccato il traffico, una delegazione era salita, ma era un luogo privato ed è intervenuta la DIGOS che ci voleva portare via, ma i media quantomeno li abbiamo attirati. Poi alla Prefettura è intervenuta addirittura la celere in assetto antisommossa… ridicoli!! Abbiamo chiesto che il Prefetto facesse da garante tra Tempor, Policlinico, sindacato e noi. Ma per ora non ci sono risultati concreti.
A Palazzo Marino siamo state una settimana giorno e notte… la mattina mettevamo la musica classica a palla e la gente si fermava a leggersi il giornale e a scambiare due parole, alcuni avevano richieste in merito ai pezzi musicali da mettere… Siamo state anche al Consiglio Comunale, ma erano impegnati a parlare di autovelox e di come riempire le casse e dicevano che di noi avevano già parlato. La risposta di Palazzo Marino è stata di tornarcene a casa che davamo fastidio.

Vi state anche occupando di ciò che accade nella sanità…
Ci sono un sacco di inciuci e magagne. Quando ti fai carico di un dipendente che mantieni nel precariato per 15-20 anni, dovresti poi stabilizzarlo, ma ciò non avviene. Tagliano il personale e spremono chi entra o rimane, a discapito anche dei pazienti, quando invece ci sarebbe bisogno di più personale.

Come avete conciliato impegni familiari e la lotta? Ad esempio rispetto ai figli…
Abbiamo dovuto trascurare casa e famiglie, qualcuna era sostenuta da figli e mariti, altre hanno dovuto litigare o avere discussioni, in altri casi le famiglie venivano a trovarci sul tetto. Le nostre case sembravano stalle, ma a volte anche i mariti ci aiutavano, facevano anche le pulizie. In alcuni casi i figli ci hanno spronate molto a continuare nella lotta, a fare qualcosa, a non abbassare la testa.

Avete partecipato anche al dibattito promosso alla Festa della Riscossa Popolare a Milano sulla creazione di nuove autorità popolari e avete affermato “abbiamo già vinto!” e in effetti due erano le alternative: tornare a casa o lottare per un lavoro dignitoso… avete scelto la seconda: cosa state imparando da questa lotta?
Che l’unione fa la forza, che le persone che stanno combattendo per lo stesso ideale creano un’energia positiva grandissima, che con la lotta ci siamo riprese la nostra dignità.
Negli 85 giorni sul tetto abbiamo mangiato, preso il sole, è stato un modo per toglierti dalla testa cosa ci stava succedendo, abbiamo condiviso molto, chiacchierato di tutto e di più anche per conoscersi e allontanare la depressione.

Parlando con alcune di voi è emersa una vostra proposta in termini di autorganizzazione del lavoro…
Abbiamo proposto che il Comune ci ricollochi come assistenza sanitaria agli anziani, ai bambini, ai disabili, tramite una Cooperativa che faccia capo al comune di Milano. Oppure di essere collocate nelle case di cura della Chiesa o della Regione, nelle aziende sanitarie.
Ai primi di agosto volevamo andare come volontarie all’ospedale di Melegnano dove lavorano 50 ausiliarie senza titolo: per protesta volevamo mettere fuori un gazebo a misurare la pressione agli anziani. Eravamo pronte, organizzate a farlo, ma poi l’azienda sanitaria ha ricevuto un avviso di garanzia e ci sono stati alcuni arresti proprio sulla questione di queste ausiliarie, che hanno dovuto riqualificare e stabilizzare, come avrebbero dovuto fare anche con noi. Abbiamo fatto uscire un polverone. Una sorta di sciopero alla rovescia è quello che volevamo fare a Melegnano.

A cura del Settore Lavoro Donne del P.CARC- 

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