A chi aspira a ricostruire il partito comunista e rimpiange i tempi in cui il PCI era forte. Il PCI che c’era ed era grande (2 milioni di iscritti nel 1947 con due terzi della popolazione attuale) si è disgregato e disperso perché non ha continuato la lotta per instaurare il socialismo e ha ridotto la lotta delle masse popolari all’allargamento e difesa dei diritti delle masse popolari nelle istituzioni della democrazia borghese e al miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita. Con il ché ha ottenuto dapprima grandi risultati quando il movimento comunista era forte nel mondo, poi gradualmente le masse popolari hanno perso quello che avevano strappato e persino il partito comunista si è disgregato e dissolto. Nei paesi imperialisti il partito comunista può esistere e crescere solo se lotta efficacemente per instaurare il socialismo. Prova ne è che tutti i partiti comunisti dei paesi imperialisti hanno fatto un percorso analogo a quello del PCI e hanno trascinato nel loro declino anche l’Unione Sovietica, la Cina e gran parte dei primi paesi socialisti.
Ricostruire il partito comunista vuole quindi anzitutto e principalmente dire avere una strategia per instaurare il socialismo. Mao nel 1940 a proposito della Cina disse: abbiamo lottato vent’anni, ma abbiamo lottato alla cieca, senza strategia. Lo stesso si deve dire anche dei partiti comunisti dei paesi imperialisti. Solo che Mao e i comunisti cinesi si sono dati infine una strategia e hanno vinto la rivoluzione di nuova democrazia. Invece il PCI e gli altri partiti dei paesi imperialisti non hanno dato seguito all’appello lanciato loro da Lenin al IV congresso dell’Internazionale Comunista nel 1922 a cercare fino a trovare la strategia della rivoluzione socialista nel rispettivo paese (Gramsci fu l’unico dei dirigenti comunisti a raccogliere l’appello) e quando è venuta meno la spinta e la direzione dell’Unione Sovietica di Stalin hanno deviato completamente fino a dissolversi e a servire alla carriera di figuri come Napolitano, D’Alema, Bertinotti.
Cercare di ricostruire oggi il partito senza fare passi avanti rispetto al vecchio PCI quanto a strategia per instaurare il socialismo, non porta da nessuna parte: il corso delle cose lo mostra, dalla fine del PRC alla Lista Tsipras.
Per ricostruire il partito comunista bisogna anzitutto fare il bilancio dell’esperienza e ricavarne una strategia. E’ quello che hanno cercato di fare il (n)PCI e la sua carovana, di cui il P.CARC fa parte. Le conclusioni che abbiamo raggiunto sono esposte organicamente nel Manifesto Programma del (n)PCI e le stiamo mettendo in opera e verificando. Sono a disposizione di chi le vuole usare, non c’è esclusiva né concorrenza, perchè cercare di andare avanti alla cieca è sbagliato, non si va da nessuna parte, si moltiplicano delusioni, malcontento e disperazione.
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L’appello lanciato da Lenin al IV congresso dell’Internazionale Comunista nel 1922 era il seguente. “Nel giugno-luglio del 1921, al III congresso, abbiamo votato una risoluzione sulla struttura organizzativa dei partiti comunisti e sui metodi e il contenuto del loro lavoro. La risoluzione è eccellente, ma è quasi interamente russa, cioè quasi interamente ispirata alle condizioni russe. Questo è il suo lato buono, ma anche il suo lato cattivo. Cattivo, perché sono convinto che quasi nessuno straniero potrà leggerla: ho riletto la risoluzione ancora una volta, prima di dire questo. In primo luogo è troppo lunga: contiene cinquanta o più paragrafi. Gli stranieri, di solito, non possono leggere cose simili. In secondo luogo, anche se la leggeranno, nessuno degli stranieri la comprenderà, appunto perché è troppo russa. Non perché sia scritta in russo, essa è tradotta ottimamente in tutte le lingue, ma perché è interamente permeata di spirito russo. In terzo luogo, se anche, in via di eccezione, qualche straniero la comprenderà, non potrà applicarla. Questo è il suo terzo difetto.
Ho parlato con alcuni delegati che sono venuti qui e spero, nel periodo di questo congresso, al quale mi è purtroppo impossibile partecipare, di poter parlare ampiamente con un gran numero di delegati dei vari paesi. Ho l’impressione che abbiamo commesso un grande errore con quella risoluzione e cioè che ci siamo noi stessi tagliata la strada verso ulteriori successi. Come ho già detto, la risoluzione è stesa molto bene e sono disposto a mettere la firma sotto i suoi cinquanta e più paragrafi. Ma noi non abbiamo capito come si deve mettere la nostra esperienza russa alla portata degli stranieri. Tutto ciò che dice la risoluzione, è rimasto lettera morta. Se non comprenderemo questo, non potremo avanzare oltre. Ritengo che per noi tutti, tanto per i compagni russi che per i compagni stranieri, l’essenziale sia questo: dopo cinque anni di rivoluzione russa, dobbiamo studiare. Soltanto adesso abbiamo la possibilità di studiare. Non so per quanto tempo questa possibilità potrà durare. Non so per quanto tempo le potenze capitaliste ci lasceranno la possibilità di studiare tranquillamente. Ma ogni momento libero dalla lotta, dalla guerra, dobbiamo utilizzarlo per lo studio, e per di più ricominciando dal principio.
Tutto il partito e tutti gli strati della popolazione in Russia lo dimostrano con la loro sete di sapere. Questa aspirazione allo studio dimostra che oggi il compito più importante per noi è: studiare e studiare. Ma anche i compagni stranieri debbono studiare. Non come studiamo noi, cioè non per imparare a leggere, a scrivere e a comprendere ciò che si legge, della qual cosa noi abbiamo ancora bisogno. Si discute se ciò appartiene alla cultura borghese o alla cultura proletaria. Lascio la questione aperta. In ogni caso è indubitabile che, prima di tutto, abbiamo bisogno di imparare a leggere, a scrivere e comprendere ciò che si legge. Gli stranieri non ne hanno bisogno. Essi hanno già bisogno di qualche cosa di più elevato, intendendo con ciò, prima di tutto, anche la necessità di comprendere quel che noi abbiamo scritto sulla struttura organizzativa dei partiti comunisti e che i compagni stranieri hanno firmato senza leggere e senza comprendere. Questo deve essere il loro primo compito. È indispensabile applicare questa risoluzione. Ciò non può esser fatto in una notte. È assolutamente impossibile. La risoluzione è troppo russa: riflette l’esperienza russa e perciò è assolutamente incomprensibile agli stranieri, i quali non possono accontentarsi di appenderla in un angolo, come un’icona, e di pregare davanti ad essa. Così non si può ottenere nulla. I compagni stranieri debbono digerire un buon pezzo di esperienza russa. Come questo avverrà, non lo so. Forse i fascisti in Italia [da neanche un mese c’era stata la “marcia su Roma” – ndr], per esempio, ci renderanno grandi servizi mostrando agli italiani che non sono ancora abbastanza istruiti, che il loro paese non è ancora garantito contro i centoneri. Forse questo sarà molto utile. Anche noi russi dobbiamo cercare i mezzi di spiegare agli stranieri le basi di questa risoluzione. Altrimenti essi non saranno assolutamente in grado di applicarla. Sono persuaso che a questo riguardo dobbiamo dire non soltanto ai compagni russi, ma anche ai compagni stranieri, che nel prossimo periodo l’essenziale è lo studio. Noi studiamo nel senso generale della parola. Essi invece debbono studiare in un senso particolare, per comprendere veramente l’organizzazione, la struttura, il metodo e il contenuto del lavoro rivoluzionario. Se questo sarà fatto, sono convinto che le prospettive della rivoluzione mondiale saranno non soltanto buone, ma eccellenti” (Lenin, Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale/Relazione al IV congresso dell’Internazionale Comunista- 1922, in Opere, vol. 33).
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A proposito della riforma intellettuale e morale dei comunisti dei paesi imperialisti
“La trasformazione di un partito europeo di tipo vecchio, parlamentare, riformista di fatto e appena sfumato di colore rivoluzionario, in un partito di tipo nuovo, realmente rivoluzionario e realmente comunista, è una cosa estremamente ardua. L’esempio della Francia dimostra forse ciò nel modo più evidente. Rinnovare nella vita quotidiana lo stile di lavoro del partito, trasformare la routine quotidiana, fare in modo che il partito divenga l’avanguardia del proletariato rivoluzionario, senza allontanarsi dalle masse, ma avvicinandosi sempre più ad esse, sollevandole alla coscienza rivoluzionaria e alla lotta rivoluzionaria: ecco, il compito più difficile, ma anche il più importante” (Lenin, Note di un pubblicista – 1922, in Opere, vol. 33).
Il lavoro di trasformazione è ancora in corso 90 anni dopo e vale tanto più per quanti sono stati cresciuti e (dis)educati alla scuola nefasta dei revisionisti moderni e della sinistra borghese. Non dobbiamo disperarci: la crisi del capitalismo è tale che le persone disposte a imparare aumentano e anche noi impariamo sempre di più.