Verso la terza guerra mondiale? No, verso il socialismo!

 

Mentre sono ancora in corso le manovre della NATO in Ucraina e in Palestina sono appena finiti i raid sionisti, Obama (il premio nobel per la pace!?) ha lanciato una nuova crociata internazionale contro il “terrorismo” islamico, questa volta non contro Al Qaeda ma contro l’ISIS, e dato inizio ai bombardamenti aerei (e, come da copione, per raccogliere consenso tra l’opinione pubblica i media di regime rimbalzano le immagini delle decapitazioni di ostaggi occidentali da parte dell’ISIS e l’FBI lancia l’allarme attentati negli USA). Renzi ha subito risposto all’appello: “l’Italia fa parte della coalizione impegnata nella lotta contro la minaccia terroristica dell’ISIS”. Allora è vero che dobbiamo “prepararci alla terza guerra mondiale”, che “come per un brutto film di cui intuiamo il finale senza poterlo cambiare, stiamo andando verso il terzo conflitto mondiale”? Ha ragione chi evoca scenari da IV Reich o da ventennio mussoliniano quando si lancia in previsioni del prossimo futuro? Anche nel nostro campo, vari compagni danno per scontato (o quasi) che usciremo dalla crisi attraverso nuove guerre mondiali, che prevarrà la mobilitazione reazionaria delle masse e una qualche riedizione di fascismo e nazismo. Come è successo all’inizio del secolo scorso, dicono, dimenticando che dalla prima crisi generale del capitalismo l’umanità è uscita con due guerre mondiali e con la creazione dei primi paesi socialisti, a partire dall’URSS: cioè con una distruzione di forze produttive (uomini, immobili, infrastrutture) in quantità tali da permettere all’economia capitalista di rimettersi in moto o eliminando il capitalismo.

In realtà oggi nel nostro e negli altri paesi imperialisti le condizioni sono favorevoli per sviluppare la mobilitazione rivoluzionaria, per avanzare con successo nella lotta per costituire un governo di emergenza popolare e far fronte in questo modo agli effetti della crisi generale del capitalismo e alla guerra di sterminio non dichiarata che ne deriva, prevenendo così anche la guerra imperialista.

Primo. Nei paesi imperialisti la borghesia ha molte più difficoltà di ieri a mobilitare al suo seguito la massa della popolazione. La mobilitazione reazionaria delle masse popolari che abbiamo visto affermarsi all’inizio del secolo scorso in alcuni paesi imperialisti (il fascismo e il nazismo mostrano più chiaramente di ogni altro caso il concetto) era un modo per far fronte al corso distruttivo delle cose imposto dalla crisi generale del capitalismo, ma un modo diretto dalla borghesia imperialista. Proprio perché le masse popolari facessero fronte alla crisi  restando sotto la direzione della borghesia, la parte più criminale e decisa della borghesia stessa le mobilitava per creare un nuovo ordine sociale basato sul dominio riaffermato della borghesia e sull’asservimento del proletariato, su una disciplina imposta a tutta la società ma combinata non solo con un’imponente opera di riarmo che sfociava nella guerra ma anche con imponenti realizzazioni di carattere materiale o sociale: infrastrutture, bonifiche, trasformazione agraria, colonie, industrie statali, edilizia, previdenza. Una sorta di “rivoluzione passiva” per la quale oggi non esistono le condizioni materiali (strutturali). Il fascismo e il nazismo furono espressioni politiche strettamente legate a un contesto di economia industriale e di espansione del capitalismo nell’agricoltura e nelle infrastrutture che oggi nei paesi imperialisti è completata. Alla trasformazione autoritaria del sistema politico si accompagnavano imponenti realizzazioni di carattere materiale o sociale per le quali oggi nei paesi imperialisti non esiste più il terreno adatto: oggi è la stessa borghesia che sta smantellando quanto resta delle aziende pubbliche, dei sistemi di previdenza sociale, dell’edilizia popolare, ecc.

Non possiamo escludere che la borghesia imperialista ricorra alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari. In alcuni paesi le condizioni materiali e sociali (strutturali, economiche) sono particolarmente favorevoli: sono i paesi dove con uno sforzo disciplinato da un’autorità che si presenta come superiore a tutte le classi il capitale può ancora trovare ampi margini di espansione e assorbire vaste parti della popolazione ancora estranee al circuito di valorizzazione del capitale. Queste condizioni si presentano in particolare in molti paesi emergenti dove la massa della popolazione rurale che il capitalismo può espropriare è ancora grande e le infrastrutture di un paese civile carenti. Ma l’esproprio della massa della popolazione rurale e la costruzione di grandi infrastrutture è quello che nei paesi emergenti sta già avvenendo ad opera della comunità internazionale dei gruppi imperialisti americani, sionisti ed europei contro i quali solamente però potrebbe essere diretta la mobilitazione reazionaria delle masse popolari locali. Mentre le condizioni economiche per la mobilitazione reazionaria mancano proprio nei paesi imperialisti, dove la borghesia imperialista politicamente ne ha maggiore bisogno. Nei paesi imperialisti quindi la mobilitazione reazionaria delle masse popolari con ogni probabilità potrebbe svilupparsi solo come mobilitazione direttamente per la guerra: un’operazione particolarmente difficile. Ieri i contadini partivano volontari nella guerra d’Abissinia per conquistarsi un pezzo di terra, oggi i governi della Repubblica Pontifica devono pagare fior di soldi per trovare gente disposta ad andare a uccidere e a farsi uccidere per loro.

Secondo. Ad aggravare le distruzioni prodotte dal corso delle cose che la borghesia imperialista impone al mondo si aggiungono

1. l’inquinamento dell’ambiente (terra, acqua, atmosfera, sottosuolo);

2. l’urbanesimo altamente più sviluppato nel mondo;

3. l’accresciuta “sussunzione formale e reale” della società di tutti i paesi del mondo nel capitale (è grandemente cresciuta la percentuale di attività che gli uomini presi nel loro complesso svolgono nell’ambito del modo di produzione capitalista, in conformità alle sue leggi e agli obiettivi dettati dal capitale stesso e in larga misura anche secondo procedure e con mezzi messi a punto dal capitale stesso);

4. la potenza accresciuta delle forze produttive e delle armi;

5. la creazione di grandi e pervasivi sistemi di intossicazione dei sentimenti e delle coscienze, di disinformazione e di diversione;

6. la saturazione del sistema produttivo di beni e servizi.

Le possibilità di successo della nostra lotta sono enormemente maggiori, le ferite che la borghesia imperialista e il suo clero possono infliggere all’umanità sono enormemente maggiori, la borghesia imperialista e il suo clero hanno margini molto minori per manovre diversive quali furono i vari movimenti di mobilitazione reazionaria delle masse popolari che misero in atto durante la prima crisi generale.

Le nostre possibilità di vittoria sono grandi. Sta a noi sviluppare su scala crescente la rivoluzione socialista nel nostro paese. 

carc

 

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